
Avete presente il manuale delle giovani marmotte? Immaginate che a darvi consigli sulla vita sia un’umile marmotta e che quei consigli non siano stati richiesti.
La situazione potrebbe essere questa: due persone parlano. Uno dei due interlocutori, dall’alto di un excursus lavorativo fatto di poche esperienze, intavola un discorso sull’umiltà incitando l’altro a fare la gavetta e a restare umile.
La retorica dell’umiltà ha lo stesso fastidioso rumore di un consiglio non richiesto, lo stesso suono insopportabile di un commensale che mastica facendo troppo rumore. Ricorda il gesto di chi mangia a bocca aperta e sgomitando sui lati non curandosi della presenza di altre persone al suo stesso tavolo.
L’indignazione di alcuni giovani sul tema dell’occupazione può esprimersi, ahimè, con la frase “devi fare la gavetta”. Sì, io c’ero. L’ho sentita. C’è chi ancora ha il coraggio di pronunciarla.
Un colpo al cuore sentire quella frase, un graffio sulla lavagna quando capisci che hai sentito bene, un raschio di forchetta nel piatto quando realizzi che nessuno dovrebbe pronunciarla.
Esprimere giudizi sugli altri (oltre ad essere un comportamento orrendo) purtroppo è facile quanto respirare.
Alla prima esperienza si può essere tentati di pensare di dominare il mercato del lavoro.
Si può incappare nell’idea che il mondo non ci valorizzi e che le cause non dipendano da noi ma da un fato avverso. Questa visione apocalittica da giovane marmotta (umile per finta) fornisce la spinta decisiva a voler insegnare ad altri come si sta al mondo.
Nulla di più sbagliato! La lamentela da bar porta solo a grandi errori di valutazione, circa noi stessi e circa gli altri.
Imparare a convivere senza giudicare, senza la presunzione di sapere cosa sia giusto e sbagliato, senza la convinzione di aver raggiunto una vetta morale che non ci appartiene costa molta fatica alle marmotte umili!
Eppure la facoltà di parola è strumento prezioso e non andrebbe mai sprecata. Possederla è un privilegio, adoperarla bene vuol dire comprendere le situazioni e moderare i comportamenti a seconda degli interlocutori, discernere, dosare le parole.
Un vero peccato che la propensione al giudizio si esprima soprattutto nei momenti di maggiore crisi. Triste notare che spesso si radichi anche tra i più giovani, tra coloro che dovrebbero guidare il cambiamento e invece si esprimono già come anziani prossimi al pensionamento e perennemente delusi dalla vita.
Non si cambiano le cose giudicando da fermi.
Luoghi comuni e frasi fatte dunque non sono buone competenze trasversali. Meglio fornire aiuto e supporto a chi riscontra difficoltà di inserimento.
E, se le cose ancora stentano a seguire la direzione auspicata, ci si può impegnare nel raggiungimento di un obiettivo.
In caso contrario, si rischia di diventare tuttologi esperti in vite degli altri. E questo sarebbe più fastidioso di un’unghia incarnita.
L’umiltà, che sia applicata sul luogo di lavoro o al di fuori di esso, non si insegna.
E chi ha la presunzione di poterlo fare, quasi certamente non ne possiede neanche un briciolo.

Laura Ressa
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