L’esigenza di mostrare è figlia del nostro tempo e dei dispositivi tecnologici di comunicazione.
Dalla natura e dal numero di contenuti che osserviamo online, è evidente che decidere di non mostrare il proprio privato farebbe sperimentare ad alcuni una frustrazione tale da guidare la conseguente scelta di sfogarsi mostrando.

Ogni nostra azione sul web potrebbe essere sottoposta a spicciole interpretazioni psicologiche, tuttavia non ci sono dubbi sul fatto che il desiderio di essere apprezzati, la necessità di ricevere attenzioni o attestati di stima e l’estetica dell’esibizionismo guidino spesso la nostra presenza social.

Condividiamo per sentirci apprezzati?

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In alcuni casi sì. Si arriva a scrivere sui social frasi e riflessioni legate a un particolare stato d’animo, senza che tale informazione sia utile a chi la leggerà, e senza argomentare ciò che pensiamo in una forma che abbia una parvenza interessante.

I pochi che sostengono di non aver bisogno della soddisfazione effimera provocata dai like probabilmente hanno già raggiunto un livello superiore della scala evolutiva.

Alcune piattaforme social di grande successo sono nate proprio con l’intento di favorire la condivisione di aspetti privati ma, in un quadro sociale nel quale la nostra credibilità passa sempre più anche dal web, è impossibile non imporsi filtri e non operare selezioni.

Non si tratta più soltanto di web reputation ma del divario tra pubblico e privato. Un divario che negli ultimi tempi ha cominciato a vacillare.

Abbiamo a disposizione più strumenti di quanti ne avessimo in passato eppure non sempre siamo in grado di utilizzarli in modo virtuoso, di produrre contenuti, di veicolare creatività o idee, di favorire uno scambio di opinioni che non sfoci in litigio.

Possiamo decidere di incentrarci sui contenuti che vogliamo, anche leggeri, cercando di promuovere, al tempo stesso, argomenti utili anche agli altri o che diano conto di ciò che sappiamo fare o mostrino che siamo in grado anche di argomentare un messaggio di senso.

Come si fa a decidere cosa postare?

Si potrebbe cominciare impostando un pubblico diverso a seconda della tipologia di contenuti che pubblichiamo.
Se condividiamo foto personali chiediamoci a chi serva conoscere tutto della nostra vita e magari creiamo una lista apposita di contatti (ad esempio i parenti stretti) ai quali affidare la visione delle nostre foto private o delle foto dei nostri figli.

Ciò che decidiamo di condividere è espressione del nostro lato egocentrico ma ci sono tanti modi per esprimerlo.
Produrre contenuti significa anche creare un’altra versione di sé.

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Photo by Alicia Steels on Unsplash

Sul tema segnalo un interessante articolo nel quale si fa riferimento a uno studio pubblicato sulla rivista Personality and Individual Differences e condotto dai ricercatori Jesse Fox e Margaret C. Rooney.
La ricerca analizza la crescente passione per gli autoscatti.
Fox sottolinea che:
Le persone che dimostrano una maggiore auto-oggettivazione tendono a postare un maggior numero di selfie sui loro profili social. Questo porta un maggior feedback da parte degli amici online, che li incoraggia a postare ancora più foto di se stessi.

Per chiarire il concetto, mi affido alle parole di Riccardo Scandellari e a un suo video.
L’annoso tema del confronto sociale qui è riproposto in chiave selfie.

 

Consiglio la lettura dell’articolo Le notifiche sono tossiche di Alberto Puliafito.

 

Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti