Da qualche anno grazie a questo blog mi sono appassionata alle interviste, una forma per me nuova che sto sperimentando e che mette in relazione la mia scrittura con quella di altre persone o che prevede la modalità di intervista telefonica e successiva sbobinatura e editing.
Qui vi racconto alcuni passi chiave del mio processo di avvicinamento all’intervista: come ho cominciato, perché, come imposto le domande, quanto mi informo sulle persone che intervisto. Chissà, magari può tornarvi utile se domani scoprirete che anche a voi piace intervistare le persone. Oppure già lo fate o ci vorreste provare?

All’inizio, quando questo mio progetto di scrittura muoveva i primi passi, ero molto timorosa all’idea di poter chiedere a qualcuno un’intervista. Mi aspettavo un no a prescindere oppure mi chiedevo cosa avrebbe pensato la persona in questione e se sarei stata in grado di fare domande realmente interessanti e pertinenti.

Mi sono avvicinata alle interviste da autodidatta. Come qualsiasi idea o progetto che si voglia portare avanti, anche in questo caso la scelta di fare il primo passo è tutto. I passi successivi vengono poi tarati in base alla nostra evoluzione e a chi abbiamo di fronte e potremo sempre migliorarci sulla scorta degli approcci e delle modalità utilizzati in precedenza.

Prima di cominciare a realizzare le mie, ho trovato molto formativa la lettura di un po’ di interviste fatte da altri. Non parlo solo di quelle a firma di giornalisti famosi ma anche delle interviste che possiamo reperire ovunque online. Sia in formato audio e video, sia in forma scritta. L’intervista è una modalità assai diffusa e possiamo navigare in un mare ricco per tipologia di argomenti, stili e lunghezza del testo (o del video). Le domande che vengono poste poi possono toccare qualsiasi argomento: da caratteristiche e interessi più strettamente personali dell’intervistato alla sua sfera professionale.

Ogni intervista porta in sé lo stile di chi pone le domande, ma l’abilità sta anche nel creare ogni volta una certa simbiosi con la persona intervistata e tra la storia di chi intervista e la storia di chi risponde: due mondi che si intrecciano e si uniscono nel tempo dell’intervista e che alla fine costruiscono un prodotto fatto insieme.

Questione di garbo: per entrare nelle vite degli altri devi bussare piano

Chiedere a qualcuno che non conosci di rispondere alle tue domande richiede un’abilità di cui a volte ci dimentichiamo: il garbo.

La definisco abilità perché il garbo non è quella finta gentilezza di cui siamo tutti capaci se ci sforziamo un poco. Il garbo è nello stile, anche linguistico, con cui ci avviciniamo a una persona per chiederle di dedicarci qualche minuto del suo tempo. Il garbo è un’abilità da allenare in ogni ambito per dare rispetto a chiunque abbiamo di fronte e va allenata bene perché il tempo è prezioso per tutti e una persona che non ti conosce e non sa nulla di te deve poter capire dalle prime parole e dal tuo approccio se sei una persona affidabile, se hai secondi fini, se può essere interessante avere uno scambio con te anche solo epistolare.

Quindi ci si deve chiedere prima di tutto: qual è il mio obiettivo? Ed io me lo sono chiesto quando ho deciso che volevo provare a fare interviste. I miei obiettivi erano e sono questi: conoscere qualcosa in più, crescere grazie alle esperienze e ai racconti degli altri, scandagliare le vite di persone che conosco più o meno bene e capire così, di domanda in domanda, anche cosa voglio dalla scrittura e a quali scoperte la scrittura mi conduce. Il bello delle interviste è che ti portano anche in lidi non previsti dall’itinerario, e questo avviene sia nella forma scritta sia nelle interviste telefoniche. Magari si parte da una domanda in apparenza lineare e poi si vola insieme verso un brainstorming infinito fatto di suggestioni e racconti in cui intervistatore e intervistato seguono un labirinto, un vortice, cercano insieme il bandolo della matassa e alla fine approdano altrove, là dove non avevano nemmeno previsto di atterrare.

Molte cose si imparano scrivendo, e provando. La scrittura è terapeutica, come dico spesso, e ti aiuta a far meglio man mano che la sperimenti e le tieni fede ogni giorno, come un patto o un giuramento. La scrittura è anche un ponte verso gli altri, un ponte sincero su cui l’unico vero obiettivo è condurre un piccolo itinerario di viaggio in compagnia e magari donare qualcosa di bello a chi legge.

Ho imparato moltissimo in questi anni dalle persone che ho intervistato! Molto più di quanto avrei imparato se la mia scrittura si fosse fermata solo alla concezione di un blog diario o se mi fossi limitata a raccontare di me soltanto o solo delle mie esperienze. In fondo quando scriviamo online dobbiamo anche chiederci: a chi possono essere utili le mie parole? Io credo che le interviste siano molto interessanti proprio perché ci permettono di osservare l’interazione tra due o più persone ma anche di riconoscerci in loro, di ritrovare noi stessi, di capire qualcosa che non sapevamo, di approfondire la conoscenza circa una professione o un modo di lavorare, di notare alcune caratteristiche della scrittura delle persone, di trovare domande curiose a cui non avremmo pensato.

Cerco qui di spiegare nel dettaglio il mio approccio a ogni nuova intervista e soprattutto a ogni nuova richiesta di intervista. Parto dal presupposto che le persone che mi interessa intervistare sono di solito professionisti di cui ho già letto qualche articolo o libro o di cui seguo l’attività sui social. Parto dunque da una conoscenza pregressa almeno minima, perché non è bello e non è professionale “sparare” richieste nel mucchio ed è sempre buona norma (questo vale anche per le presentazioni dei libri) documentarsi sulla persona e farlo non soltanto se accetta di essere intervistata ma anche a monte della richiesta stessa.

Come porsi nella richiesta di un’intervista?

Dato che scrivo per il mio blog personale e non ricavo nulla in termini economici da questa mia attività, nelle mie richieste di intervista (che di solito avvengono via email) mi presento brevemente, chiarisco l’obiettivo del mio messaggio (ovvero l’intervista) e del mio blog, specifico perché vorrei intervistare proprio la persona a cui sto scrivendo (e magari cito qualche lavoro o articolo che mi ha colpito in riferimento alla persona stessa), specifico che sono disponibile a svolgere l’intervista nella modalità più comoda per entrambi: via email, via telefono, o tramite videochiamata. Infine saluto cordialmente, ringrazio e inserisco il link al mio blog affinché il destinatario possa dare uno sguardo al sito, capire chi sono e decidere così se accettare.

Credo che questo approccio sia una base solida da cui partire e penso che proprio nelle parole che scegliamo di dire e non dire nel primo approccio si esplichi la nostra correttezza e la nostra professionalità. La richiesta di intervista, posta in questi termini, verrà dunque recepita davvero per quello che è: la possibilità di uno scambio virtuoso. Sì perché l’intervista per me è questo: un momento distante anni luce dalle interviste che si fanno a pagamento o pagando l’intervistato, laddove esiste chiaramente un interesse commerciale o economico di mezzo. Nel mio caso la questione è diversa: io non possiedo un giornale e scrivo perché mi piace farlo, per donare qualcosa di me agli altri, perché nella scrittura fatta in questo modo vedo anche un certo valore sociale. E credo che in questi tempi bui e ormai quasi privi di etica, ritornare a fare qualcosa per il gusto di farla sottolinei il nostro valore nel mare magnum di progetti, testi e idee realizzate senza una reale etica.

In una bella intervista di Elvira Serra a Gianni Minà alla domanda “Come spiega l’affetto di personaggi così diversi?” lui risponde «Credo sia una questione di intimità. Io ho i modi che soddisfano le relazioni umane. E quando mi dicevano no, non insistevo».

Ecco, se dovessi scegliere una definizione per tutte del termine “garbo”, lo descriverei con queste parole di Minà. Credo che la grandezza di un giornalista, un cronista, una persona qualsiasi che scrive per passione o per lavoro stia tutta lì: distinguersi per la capacità di accettare con serenità anche un no, senza insistere. Io in questi anni ho imparato a farlo e da quel momento le interviste non sono state più perle preziose in sé per il contenuto che mi regalavano, ma diventavano importanti anche tutte quelle interviste mancate e i no che ho imparato piano ad incassare senza restarne delusa e senza decidere, per questo, di arrendermi.

“Una domanda è fior di virtù”

Mi è capitato di ricevere dei rifiuti, e questo è normale per me adesso anche se all’inizio ci restavo male. Mi chiedevo se avessi sbagliato approccio o se potessi in qualche modo migliorare, ma a volte quello in cui davvero possiamo migliorare è la capacità di accettare. E devo dire che ho capito che molte cose vanno accettate che ti piacciano no, in vari ambiti della vita.

Mia nonna, che amo citare spesso, diceva “Una domanda è fior di virtù” perché pensava che fare una domanda non fosse mai sbagliato. Non dobbiamo mai partire dal presupposto che le nostre domande siano stupide o che la risposta sia sempre scontata. Chiedere presuppone, anzi, la consapevolezza di aver accettato la propria ignoranza su un argomento e di essere desiderosi di sapere e capire.

Lo stesso principio vale per le interviste. Una volta imparato come avvicinarsi, in punta di piedi, alle vite degli altri e dopo aver imparato come adoperare garbo e professionalità nella misura giusta, la risposta non sta più a voi e non è più una scelta vostra ma dell’altra persona. Quando lanciate il vostro messaggio la palla ormai è partita e starà a chi la riceve farla rimbalzare verso di voi o accoglierla tra le mani invitandovi a fare una partitella insieme.

Cosa chiedere e come impostare le domande?

Anche su questo aspetto io ho lavorato da autodidatta e ovviamente non posso dirvi che esista un manuale da cui attingere per trovare l’impostazione dell’intervista perfetta. Osservate i grandi innanzitutto, uno fra tutti lo stesso Gianni Minà, e poi leggete tante altre interviste anche di giornalisti sconosciuti o di persone che scrivono per hobby. Non fermatevi ai giornali più noti, scavate e cercate oltre perché il mondo della scrittura è fatto anche di persone che tessono le loro parole in sordina.

Dal canto mio posso raccontarvi come ho fatto a cercare la mia dimensione, senza la pretesa di dirvi che questa sia la strada migliore anche per voi perché ognuno trova il proprio stile e i propri obiettivi. Anch’io domani potrei decidere di cambiare la mia impostazione, per esempio.

Quando devo stilare le domande, la fase di scrittura è preceduta dalla Ricerca e dalla Riflessione.

Ricerca: cerco e leggo un buon numero di informazioni sull’intervistato, spulcio i suoi profili social, leggo gli articoli che ha scritto o mi informo sui libri che ha pubblicato. Cerco di capire come interagisce con il suo pubblico, in cosa crede, quali sono i suoi hobby e le sue passioni, i suoi libri preferiti, che tipo di foto pubblica, cerco video di eventuali suoi interventi durante eventi o speech.

Riflessione: metto insieme tutto il materiale che ho raccolto cercando di fare una cernita e scegliendo gli argomenti su cui voglio focalizzarmi e che sento anche affini a me o, di contro, molto distanti da me. L’intervista non è una materiale asettico e non dipende solo dall’intervistato, chi pone le domande deve avere la sensibilità tale da cogliere qualcosa che magari nessuno nota della persona e correlarlo anche alla propria esperienza personale. C’è moltissimo di me nelle interviste che faccio! Ma cerco di mettere allo stesso tempo moltissimo della persona che intervisto, e alla fine il risultato può essere davvero una somma di fattori che in realtà moltiplica le prospettive.

Dopo aver messo insieme il materiale e averci riflettuto su, apro un file di testo e comincio a buttar giù le mie domande, tenendo sotto mano il materiale che ho raccolto sull’intervistato. Posso inserire anche sue citazioni o linkare altri contenuti sulla persona in questione. Rileggo più volte e quando sono convinta delle mie domande, le invio all’intervistato che deciderà se rispondermi a voce o per iscritto.

Nella fase di redazione vera e propria dell’intervista, quella in cui unisco domande e risposte seguo lo stesso schema: introduzione con breve descrizione dell’intervistato, domande (numerate) + risposte, conclusione con qualche mia riflessione e una specie di insegnamento (o chiamiamola morale) che ho tratto dalle risposte dell’intervistato. Al termine della fase di editing, quando nella mia mente è chiaro il quadro generale dell’intervista, attribuisco un titolo. Il titolo per me dev’essere qualcosa di memorabile, ma può essere anche solo informativo se volete. Per me la cosa importante è che sia comprensibile e possa dare l’idea, anche in maniera creativa, del messaggio di fondo dell’intervista.

Attenti poi a inserire i corsivi per i termini stranieri o le citazioni e occhio a evidenziare bene e sottolineare i link, magari con un colore diverso. Questi sono miei accorgimenti tecnici ma voi potete anche trovarne altri, non credo vadano considerate come regole fisse.

A corredo del testo inserisco sempre 3-4 foto: si può trattare di fotografie scaricabili e riutilizzabili liberamente dal sito Unsplash oppure (meglio) di foto fornite dall’intervistato e che lo ritraggono. Citate sempre la fonte delle foto che utilizzate e chiedete all’intervistato il permesso esplicito ad inserirle a corredo del testo.

Fate dunque molta ricerca, inserite link pertinenti se necessario, ma soprattutto cercate voi stessi nelle risposte oltre che nelle domande.

La vostra conclusione sarà la chiave di volta dell’intera intervista.

Sì, credo che sia a quel punto che tutto il lavoro fatto sino a quel momento si snodi e trovi il suo e il vostro respiro. Un testo deve pulsare, deve respirare, deve avere un battito cardiaco.

E quand’è che un testo (in questo caso un’intervista) trova il proprio battito? Credo accada quando, negli ultimi righi, chi legge immagina l’intervistatore e l’intervistato che passeggiano insieme chiacchierando. Se al termine di un’intervista ve li immaginate così, come due buoni amici che si confrontano con piacere, forse è lì che l’intervista ha raggiunto il suo punto di svolta più bello, quello in cui tutto diviene più chiaro.

In quel momento, mentre viene letta e diventa di tutti, l’intervista e la storia che essa porta con sé entrano anche nella vita del lettore che sta dall’altra parte.

Non è in fondo questo il traguardo più bello per chi scrive?

 

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Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti