

A scuola, nell’ora di disegno tecnico, io ero quella con le matite stemperate e le squadre spuntate.
Queste ultime le usavo ormai da anni senza averne mai comprate di nuove. A detta della mia insegnante del liceo, però, avevo una “buona grafica”. Sì, non “grafia” ma “grafica”.
Con quel termine penso si riferisse alla capacità di tracciare linee e realizzare figure anche a mano libera.
Credo intendesse il tratto, la precisione, la mano ferma e caratteristiche che magari per altri occhi potevano risultare impercettibili oppure secondarie.
Ricordo bene le risatine dei miei compagni quando la prof. disse che avevo una buona grafica. Cosa avessero da ridere mi è sempre sfuggito, forse pensavano di essere loro i migliori in tutto. Alcuni ragazzini sono un po’ più avvezzi a credersi migliori degli altri: per certi passa quel periodo della vita, per alcuni invece perdura e la smania di essere più degli altri fa crescere adulti che vogliono imporsi in ogni contesto.
Risatine sciocche a parte, rimasi stupita quando la prof. disse quella frase: non sono mai stata brava a ricevere i complimenti o a reputarli reali. Non ho mai più di tanto creduto nella mia possibilità, non perché non sapessi in fondo di avere una buona mano ma perché non ero abituata a sentirmi davvero capace di fare qualcosa di buono o che valesse un complimento.
Io ero quella delle matite stemperate, delle squadre spuntate, del compasso decrepito e dei pochi pennarelli.
Ero quella che non riusciva a realizzare bene le tavole da disegno, pigra e impaziente.
Ero quella che se solo avesse potuto fare a meno di righe e squadre, le avrebbe volentieri gettate via scagliandole contro il muro.
Mi stufava stare nei bordi, squadrare il foglio, stare attenta a non macchiarlo con matita e riga.
Eppure oggi amo i colori e i pennarelli, ma senza regole: seguo solo le mie e poi quando mi stanco chiudo tutto anche senza terminare.
Quella mattina la prof. di disegno mi fece per la prima volta sentire efficace, mi fece capire che non gliene fregava niente dei primi della classe, che era in grado di vedere le qualità delle persone al di là delle etichette, al di là delle apparenze.
Grazie a lei ho imparato il disegno tecnico a mano libera, in un’aula da disegno in cui proiettava i suoi lucidi e teneva le sue lezioni.
Ricordo l’atmosfera di quella stanza, ricordo il suo trasporto nel trasmetterci ciò che sapeva. Si capiva dal tono della sua voce che quello che faceva, ciò che insegnava, lo amava in modo viscerale.
Si chiama Caterina la mia professoressa di disegno del liceo.
Qualche giorno fa raccontavo delle sue lezioni, di come con lei ho potuto disegnare senza dover spendere una fortuna in attrezzature: perché per lei non contava quanti pennarelli comprassi, quanto fossero spuntate le mie squadre, ma come usassi la mano per muoverli e la testa per muovere la mano.
Non è forse tutto lì?

Laura Ressa
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