Esistono ancora i ghost writers? Ma certo che sì!
Qualche giorno fa su LinkedIn una persona ha condiviso un articolo estrapolato dal suo sito aziendale specificando, dopo una lunga didascalia, che l’articolo in questione non era suo.
Non ha specificato però chi fosse l’autore.
Per curiosità quindi ho aperto l’articolo e in fondo non ho trovato alcuna firma. L’articolo era in pratica anonimo. Di certo appartenente al team aziendale che gestisce il sito, ma dell’autore non era dato sapere il nome.

Ora provate a fare un giro online tra siti aziendali e non. In quanti di questi trovate testi che riportano il nome di chi li ha scritti?
Fate un altro esperimento spostandovi dai contenuti generici ai contenuti specifici: andatevi a guardare tutti i siti aziendali che hanno una sezione blog e scovate in quanti di questi articoli è riportato il nome dell’autore.
Senza contare alcuni siti di notizie in cui l’autore dei testi è spesso un anonimo e improbabile “Redazione”.

A me tutto questo fa un po’ tristezza. E mi chiedo: perché invece in altri siti più piccoli, magari di chi segue progetti o scrive per passione senza compenso, il nome dell’autore c’è?
Come funziona? Se ti pago per scrivere testi, il compenso ti deve bastare e se invece non ti posso pagare ti ripago almeno riportando il tuo nome?

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La questione si fa interessante.
Per un attimo accantoniamo il caso dei siti che riportano i nomi degli autori dei testi: faccio un applauso a tutti loro, a prescindere dal perché lo facciano.

Per tutti gli altri un po’ di domande invece le avrei.
Perché il nome degli autori è un tabù?
Del resto, se spulciamo banalmente su LinkedIn, possiamo risalire al nome di chi cura quel tipo di contenuti in un’azienda. Eppure è pratica diffusa lasciare i testi di molti siti in una allure di anonimato e fascinoso mistero.
Sarà il fantasma formaggino a scrivere i testi? Si preferisce non scrivere il nome degli autori perché il sito dev’essere percepito come un’entità celeste auto scrivente?

Questa non vuol essere una polemica ma una riflessione condivisa sulle motivazioni che spingono a mantenere viva questa pratica dell’anonimato.
Il ghost writer è anche un lavoro: quand’è così, la persona che lo svolge viene pagata per scrivere testi per altri. Naturalmente su quei testi non comparirà la sua firma, ma in tal caso si tratta appunto di un lavoro apposito che prevede nella sua stessa definizione l’anonimato dei testi.
Non scendo nel dettaglio di quanto vengano pagati quei testi, diamo per scontato che l’anonimato va bene solo se hai un contratto da ghost writer. Lo hai accettato e firmato tu, dunque non commento le scelte lavorative di ciascuno. Ogni lavoro merita rispetto.


Continuo questo piccolo viaggio nel mondo dei ghost writers a loro insaputa specificando che le parole contano, che molto spesso hanno (e devono avere) un prezzo, che di sicuro hanno un valore e che meritano di essere corredate quantomeno dal nome del loro autore.

Detto ciò, vorrei raccontarvi di “quella volta che” una persona che si definisce giornalista ha usato un mio testo e lo ha pubblicato sul sito che gestisce firmandolo semplicemente “L.”
Del resto quante e quanti L. vuoi che ci siano nel mondo? Sarebbe stato facilissimo capire che quella L. ero proprio io, no?


Dacché anche sul blog specifico sempre che i miei contenuti, come minimo, devono riportare il mio nome in ogni luogo e in ogni lago li si voglia usare, la mia reazione alla celere pubblicazione del mio scritto anonimo fu la richiesta di rimuoverlo immediatamente dal sito su cui era stato pubblicato.

Vi racconto brevemente come andò.
Un mio conoscente, sapendo della mia passione per la scrittura, mi disse che sarei stata perfetta per scrivere un articolo su un tema delicato e che sarebbe stato bello pubblicare quel testo sul sito di un’associazione con cui era in contatto.
L’articolo lo avevo già in mente, sarebbe andato comunque online sul mio blog e quindi pensai che sarebbe stato bello divulgarlo anche altrove.
Davo per scontato che sarebbe stato pubblicato riportando il mio nome.
Su questo aspetto il conoscente mi disse che chi gestiva il sito, se lo avessi voluto, avrebbe messo il mio nome.
Mi suonò un po’ come un “se proprio ci tieni, mettiamo pure il tuo nome”. Comunque accettai.

Scrissi il testo con gioia e lo inviai al conoscente, che a sua volta lo girò ai gestori del sito su cui sarebbe stato pubblicato.
In questo scambio non ebbi mai contatti diretti con chi lo avrebbe pubblicato.
Il risultato fu che il testo, appena inviato, andò online sul sito in un batter d’occhi, senza che mi arrivasse da nessuno dell’associazione un ringraziamento per il mio impegno e per il mio dono.

Eh già, perché si trattava di un dono! E quando qualcuno ti dona qualcosa, almeno un grazie è d’uopo. Manco pagassero in visibilità poi e manco stessimo parlando di una testata giornalistica nazionale. Se cerco gloria, modestia a parte, mi basta il mio blog.

Fui contenta della celere pubblicazione ma rimasi sgomenta perché il mio testo era senza nome. Un testo anonimo firmato L.

Feci presente la cosa al conoscente che aveva fatto da tramite tra me e chi aveva pubblicato il mio testo.
La risposta, sempre a voce, fu: no, loro non mettono il nome dell’autore se non firmi la liberatoria. Ah quindi c’era una liberatoria? E chi lo sapeva.

Quando mi arrivò il modulo da firmare, mentre il mio testo era già online e solo perché avevo chiesto delucidazioni sulla mancanza del mio nome, colsi la palla al balzo.
Nella liberatoria non c’era alcun riferimento al fatto che sarebbe stata aggiunta firma al testo e no, non è che se ti firmo la liberatoria tu poi metti il nome.
La liberatoria semmai la mandi PRIMA di pubblicare, dacché riguarda proprio il permesso a divulgare contenuti di terzi realizzati senza scopo di lucro.

Avevano toppato, non c’erano scuse plausibili.
Mi fu scritto che pensavano fosse cosa gradita anticipare la pubblicazione e accelerare i tempi. Si scusarono, devo riconoscerlo, ormai era il caso di farlo.

Le scuse però non furono neanche credibili. A loro dire, c’erano state persone che prima avevano fatto pubblicare i propri testi e poi avevano chiesto di rimuovere la firma dal testo. E a quanto pare la rimozione del nome da questi testi si era rivelata un’operazione difficilissima per i gestori del sito…

In conclusione: avrebbero inserito il mio nome e cognome completo solo se avessi firmato la liberatoria (postuma alla pubblicazione). E chissà se realmente lo avrebbero fatto visto che la liberatoria non parlava in alcun punto della firma dell’autore.

Non avvenne alcuna comunicazione diretta fra me e chi gestiva il sito, se non dietro mie reiterate richieste di chiarimenti. Rimasi sulle mie posizioni: avrebbero dovuto informarmi delle policies di pubblicazione prima della pubblicazione stessa.
Tornai a ribadire che non ero disposta a firmare moduli postumi e feci eliminare il mio testo dal sito.

Questa esperienza, ancora una volta, mi ha insegnato che i “NO” servono! Anzi, sono fondamentali quando ci vogliono far credere che ci stanno facendo un favore e invece è proprio il contrario!

Dire “no” serve a dare dignità a ciò che facciamo, scriviamo e divulghiamo.

Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti