salute mentale lavoro narrato

Sono passati cinque anni dalla notte che trascorsi a digitare freneticamente sulla tastiera del computer per scrivere il mio primo articolo dedicato alla Notte del #LavoroNarrato. Al di là del nome dell’iniziativa, a cui ovviamente si può partecipare anche di giorno, io scrissi davvero a notte fonda.
Terminai e pubblicai il testo sul blog alle 5 del mattino. Non dormii nemmeno un’ora o forse, stremata, mi gettai sul letto proprio alle 5: sinceramente non me lo ricordo. Se ci penso, il 5 qui è un numero ricorrente.

Quanta speranza esprimevo in quell’articolo del 2018!

Se la speranza sia l’ultima a morire davvero non saprei dirlo. So però che la speranza serve solo in una certa misura: accanto ad essa sono necessarie le azioni, l’impegno quotidiano, l’essenza delle persone al di là dei loro finti proclami intrisi di buoni sentimenti tutti da verificare.

Parole vacue prive di riscontro pratico

In questa giornata dedicata ai lavoratori probabilmente ne leggerete tante di parole: a volte sono riflessioni personali interessanti, a volte sono parole buttate al vento, altre volte parole prese in prestito da qualcun altro.

Ma le parole sono un mezzo potente quando corrispondono davvero alle nostre azioni! Le parole sono potenti quando le usiamo per difenderci da ogni tipo di violenza (più esplicita oppure più latente e subdola), quando le adoperiamo per rispondere con cognizione di causa ai passivo aggressivi che nel tentativo di calpestare gli altri cercano una forma di effimera soddisfazione che non trovano più altrove. Le parole sono utili quando ci rendono lavoratori e cittadini consapevoli dei nostri diritti e dei nostri doveri.

Non sprecate parole se poi non siete in grado di metterle in pratica!
L’ampia diffusione dei canali di comunicazione ci fa illudere che chiunque abbia qualcosa di utile da dire. A volte invece è un bene enorme saper ascoltare, sapersi fermare, saper imparare dalle persone giuste, da quelle che nella vita hanno operato solo per il bene.

Qual è il prezzo della nostra dignità?

Ai lavoratori, alle persone in generale, vorrei dire: non rinunciate mai, per nessun favore e per nessun prezzo, alla vostra dignità!
Non ragionate con la frase “quella persona mi può sempre servire” o con “meglio se è capitato a un altro che a me”. Sono “regole” sociali purtroppo assai diffuse: si fa spallucce, si pensa al proprio orticello e si va avanti senza dignità, tacendo spesso anche l’ovvio.
Ma non è così che dovrebbe funzionare! Una società che va avanti seguendo questi parametri fasulli è una società drammaticamente malata e corrotta: per amore dei soldi, del finto benessere, di apparenze che nascondono profonde ed evidenti lacerazioni dell’anima.

Tutti hanno bisogno di lavorare, questo è certo. Anche se esiste pure chi non ne ha un reale bisogno perché potrebbe tranquillamente vivere di rendita ed evitare di occupare posti a cui potrebbero accedere persone che economicamente hanno più bisogno di lavorare per sopravvivere (aggiungo anche che tra questi bisognosi ci sono sicuramente persone più competenti di chi, come scrivevo, può vivere agiatamente di rendita).
Casi eccezionali a parte, la necessità di lavorare non ci autorizza ad essere persone peggiori di quelle che potremmo essere in nome del mantenimento di un posto di lavoro che (vorrei ribadirlo) PER TUTTI DEVE ESSERE UN DIRITTO E NON CONCEPITO COME UNA GENTILE CONCESSIONE CHE QUALCUNO CI HA FATTO!

In questo giorno, in cui più che festeggiare si dovrebbe profondamente riflettere (per evidenti ragioni che emergono dai dati ISTAT e dalle vicende di cronaca), ognuno dovrebbe rispolverare la propria coscienza, purtroppo spessissimo sopita e dimenticata.
Una coscienza che curi un sano amor proprio e ci ricordi che lottare per i nostri diritti senza scendere a compromessi (economici, politici, legati a relazioni di favore, ecc.) è l’unica via per vivere una vita degna.

Ispirazioni per un 1° maggio fuori dai circuiti delle solite banalità

Oggi navigando tra i social, e cercando di non farmi troppo turbare da un mare fatto di onde anomale di banalità miste a idee che si collocano persino più in basso rispetto al livello chiacchiera da bar, per fortuna ho trovato anche stimoli interessanti, reali prese di coscienza, direi ispirazioni vere e proprie.

Ne propongo un paio qui sotto, virgolettati. Si tratta di post pubblici apparsi su LinkedIn e Facebook. Sottoscrivo ogni parola, e invito chiunque le legga a un pensiero non superficiale su questi temi.

Post pubblicato su LinkedIn del giornalista Ciro Pellegrino:

“Questo è indubbiamente il «social del lavoro». Se ne deduce che dovrebbe essere anche il social dei lavoratori, ma così non è . Si parla di pratiche, di eccellenze, quasi mai di sconfitte, men che meno di lavoro salariato e di contratti.
Ormai gli spazi per discutere il miglioramento delle condizioni di chi lavora sono ridotti al minimo e inaccettabile.
I sindacati, in special modo nel mio lavoro, sono un giornalista, stanno esaurendo la loro funzione (non fate sarcasmo su quello “stanno”, non v’è da riderne) i contratti collettivi sono rimpiazzati da accordi di secondo livello, le cause di lavoro ormai si riducono a stabilire un magro conquibus transattivo.
Si fanno corsi di formazione per spiegare come istruire le AI e ottenerne risultati, nessuno che sappia leggere una busta paga o una fattura; corsi intensivi per l’inglese tecnico ma gran parte delle persone non è in grado di accedere al proprio cassetto fiscale e capire che situazione ha e avrà.
C’è un analfabetismo dei diritti e in questa situazione è chiaro che le persone saranno sempre più intimorite da chi sui luoghi di lavoro gli impone doveri spesso fuorilegge.
Non la vedo nera: almeno avremmo cognizione del quadro. Se è tutto nero davanti a te tu non ti muovi. La vedo fumosa che è peggio: avanzi e non sai se verso una via o un baratro.”

Post pubblicato su Facebook dal linguista Federico Faloppa:

“Due pensieri, oggi, Primo maggio 2023.
Il primo è per chi lavora a tempo pieno e facendo anche straordinari, ma non riesce ad arrivare a fine mese, comunque. Mi raccontava Bill di “StopHate UK”, qualche giorno fa, di quante persone con contratti full-time, in Gran Bretagna, debbano ricorrere alle “food bank” ogni giorno: sono sempre di più, e sono sempre più avvilite, scoraggiate, abbandonate anche e soprattutto da chi dovrebbe rappresentarle. “Sta diventando una delle piaghe di questo paese”, mi diceva Bill “lavorare 8-10 ore al giorno, pur con contratti regolari, non basta più neppure per sfamarsi: perché i salari sono al palo, e il costo della vita è aumentato vertiginosamente. Solo che di povertà dei lavoratori e delle lavoratrici non parla nessuno, men che meno i laburisti, e l’estrema destra sta capitalizzando anche qui il malcontento”.

Il secondo pensiero va a chi – per i ritmi e le pressioni sul lavoro, e per la paura e la vergogna di rivolgersi a qualcuno – va in “burn out”. Perché se non sei performante la colpa è sempre e solo ‘tua’, che non reggi, che non sei in grado, che non sai organizzarti. E questo non va bene. Al punto che preferisci tacere (e inabissarti in una spirale d’ansia) invece che cercare aiuto: non sia mai che pensino che la tua performance è insufficiente, che tu sia inadeguat*, che l’azienda possa fare a meno di te. Ecco, mi piacerebbe sentire parlare di più di queste cose, di queste persone. E di povertà, e di depressione malgrado il lavoro, a causa del lavoro. E mi piacerebbe che ci proteggessimo di più, tutt quant* insieme, consapevolmente, raccontando e raccontandoci. Perché salari di merda (e costi della vita fuori controllo) e condizioni/prassi di lavoro che portano al burn out non possono né devono essere considerati la normalità. Ma un abuso da denunciare, da condannare, da combattere.
Povertà e depressione non sono una vergogna, né una colpa individuale. Sono un fallimento sociale e politico che non va né nascosto né taciuto. E di cui dobbiamo chiedere conto.
Buon Primo maggio a chi soffre sul lavoro, malgrado il lavoro.”

Checché ne dica il qualunquista fintamente soddisfatto della propria vita e tristemente attaccato a una ricerca di appagamento che possa derivare dal denaro e dai ruoli sociali, sono questi i temi cruciali di cui discutere quando si parla di lavoro!

Notte del #LavoroNarrato 2023: Il rapporto tra lavoro e salute mentale

E torno al tema che ho toccato in apertura. Dal 2018 partecipo (e ne scrivo qui su Frasivolanti) alla Notte del Lavoro Narrato, la splendida iniziativa ideata dal sociologo Vincenzo Moretti per diffondere storie di lavoro in tutta Italia e nel mondo.

Non mi dilungo qui in descrizioni ulteriori ma, a chi dovesse essere a digiuno sul tema, consiglio una bella passeggiata nel blog inserendo la chiave di ricerca “lavoro narrato” e dando una sbirciata alle storie delle persone che ho interpellato e intervistato gli scorsi anni. In tutti gli articoli ci sono sempre i link ai gruppi Facebook dedicati e ad altri siti in cui approfondire ulteriormente la storia dell’iniziativa.

Per il 2023, come ho raccontato diffusamente qui, ho scelto di legare il tema del lavoro a quello della salute mentale.

In questo articolo voglio dunque mostrare tutte le testimonianze che ho raccolto per questa edizione della Notte, con alcune mie riflessioni a margine.

📸 GIACOMO DONI

LA MEMORIA STORICA MANICOMIALE PER FAR RIEMERGERE LE STORIE DIMENTICATE

“LavoroNarrato, per me il lavoro vale!” è la frase simbolo di questa iniziativa.

Su questa frase ci ho riflettuto spesso e per me, in particolare, vale quel lavoro che rispetta davvero le persone, che le fa crescere come individui, come professionisti e come appartenenti a una comunità. Per me vale il lavoro che ha senso, che ti fa sentire di apportare un contributo tangibile e positivo nel mondo.
Il 30 aprile Giacomo Doni mi ha regalato il suo tempo, la sua storia e le sue parole. Abbiamo chiacchierato su lavoro e salute mentale. E dopo ci siamo intrattenuti ancora un po’ nel “backstage” a fine diretta.
Giacomo ti travolge: è una scoperta continua, un racconto inarrestabile.

Alla fine gli ho chiesto “ma tu pensi davvero che le cose in questa società possano cambiare?”
Lui, senza esitare, mi ha risposto di sì, e che dobbiamo crederci per regalare qualcosa di buono alle nuove generazioni, ai ragazzi che oggi si preparano ad affrontare il mondo e a diventare adulti.
Non credo affatto che tutti ne siano coscienti, anzi penso che moltissimi genitori non sappiano nemmeno cosa trasmettere di buono ai propri figli e non abbiamo le basi per concedere loro di pensare con la propria testa. Forse la maggior parte li prepara solo ad essere come il mondo vuole che siano, totalmente assuefatti e conformi allo standard e a ciò che il sistema richiede.
Ma uno spiraglio c’è? Giacomo crede fermamente di sì. E voglio crederci insieme a lui. Bisogna continuare a operare, a divulgare, a confrontarsi affinché là dove ci sono spiragli di luce, crescano anche consapevolezza e coscienza. Coscienza e consapevolezza sul fatto che siamo una comunità di persone, che i problemi sociali esistono e che possono riguardare tutti, che non esistono i “pazzi” e i “normali”.
Infine, ma non per importanza, la coscienza dev’esserci anche nel lavoro: per garantire a tutti la possibilità di averne uno e la dignità di portarlo avanti con onestà smontando le prassi della corruzione e del mancato rispetto delle persone, tipiche di un sistema che premia gli incompetenti e basato su scambi politici o di favori, criteri utilitaristici e di “fedeltà”.

Il video (link)

✍️ ELENA BILOTTA

SENSIBILIZZARE CONTRO LO STIGMA ATTRAVERSO IL DISEGNO

Il 29 aprile Elena Bilotta ci ha raccontato il suo progetto comunicativo per combattere lo stigma: DSM – Disegni per la Salute Mentale.
Ci ha offerto anche la sua prospettiva sulla salute mentale e sul benessere psico-fisico nell’ambito dei contesti lavorativi.

Diffondere questi temi è importante per renderci parte attiva delle nostre comunità e per far sì che gli argomenti “sensibili” non finiscano solo nel calderone del lucro e dell’interesse economico ma diano vera linfa e spinta alle persone per cambiare nel concreto le cose! A partire dai propri pregiudizi.

📌 A tal proposito, mi sembra doverosa una precisazione che dà, per me, senso a quel che faccio.
Tutti i progetti personali che porto avanti (compreso questo) non hanno finalità di lucro, non percepisco denaro per il mio blog e nemmeno per realizzare le mie interviste né per portare avanti tutto ciò che non rientra nelle mie attività lavorative. Allo stesso modo, le persone che gentilmente accettano di regalare il loro tempo a questi temi e iniziative, lo fanno a titolo gratuito. E di questo sarò loro grata sempre!
Nella stessa logica, non ho sponsor che sostengono queste iniziative.
Perché – qualcuno si chiederà – ha senso per me specificare tutto ciò? Non per sembrare una “martire” del bene comune, ma piuttosto perché credo che abbia molto senso impegnarsi, come appartenenti a una comunità, in attività di libera espressione e divulgazione. Perché non siamo il denaro che riusciamo ad accumulare o le “community” di cui facciamo parte. Soprattutto credo che sia necessario imparare a fare una sana distinzione e cernita nel mare magnum di eventi o iniziative sui cosiddetti “temi sensibili”.
Chi lo fa davvero per una spinta emotiva e per un’esigenza sociale di confronto con gli altri? Chi invece lo fa solo per ricavarne qualcosa in cambio che non sia la divulgazione e la sensibilizzazione su certi temi?
Credo sia una distinzione essenziale da fare: oggi più che mai dato che il confine tra sensibilità reale e opportunismo è sottile e molto spesso invisibile.
Sicuramente questo non vale per tutti gli ambiti, c’è anche chi grazie ad attività nobilissime e temi particolari (anche, appunto, nel proprio lavoro) porta pure il pane a casa. Ma è importante conoscere il confine tra volontariato/hobby e lavoro. Sui temi sensibili poi si può creare una gran confusione.

Una persona su Facebook ha commentato così l’intervista a Elena Bilotta:
“Bella la parola “liberamente” e voi avete parlato liberamente. Ascoltarvi mi ha arricchita dal punto di vista umano. Grazie”

Cogliendo al volo il concetto di libertà ho risposto:
Parlare ed esprimersi liberamente è spesso la chiave per porsi dubbi e porli agli altri, per non considerare come assodato e scontato l’appiattimento sociale e di pensiero che ormai dilaga ovunque. L’idea di libertà è spesso appositamente travisata, viene fatta passare per sfrontatezza, spregiudicatezza e mancato rispetto delle norme di espressione comunemente considerate “giuste”. Ma libertà non è dire la prima cosa che ci passa per la testa senza controllo. Anzi, è il più nobile esercizio che possiamo fare di ricerca, di comprensione del mondo e delle persone, di confronto. Ci serve più che mai per parlarci fuori dai luoghi comuni, per non essere schiavi delle regole del sistema, perché siamo quello che facciamo e che davvero pensiamo e non il vestito che ci cuciamo addosso per sentirci “accettati” in quel posto che chiamiamo società e che somiglia sempre più a una messa in scena.

Un’altra persona ha scritto:
“Quando avete parlato di malattia fisica e malattia mentale mi è venuto in mente che sui media viene dato grande risalto alle pratiche di salvaguardia della propria salute fisica (palestra, dieta, niente fumo, ecc) e si va molto fieri della loro applicazione mentre si parla pochissimo di come mantenere la propria salute mentale nella quotidianità.
Grazie per questa bella chiacchierata.
I disegni sono molto belli e colpiscono al cuore.”

Il video (link)

📰 VERONICA ROSSI

IL GIORNALISMO CHE RACCONTA LA SALUTE MENTALE

Il 28 aprile alle 18.30 Veronica Rossi ha fornito un racconto onesto, lucido, di speranza e di consapevolezza sul giornalismo, sulla responsabilità dei giornalisti nel raccontare storie di disagio mentale e disabilità, sul ruolo che ognuno di noi deve avere o spera di poter avere nella società.

Una persona su Facebook ha commentato il video scrivendo:
“Bella chiacchierata. Riascoltare le parole di Stefania Zolotti in apertura mi ha messo i brividi. Siamo messi malissimo in tema di benessere psicologico e sembra non importare a nessuno.”

Per scoprire a quali parole si riferisse, consiglio di guardare e ascoltare l’intervista.

Il video (link)

📚 IGNAZIO GRATTAGLIANO

PSICODIAGNOSTICA FORENSE E SALUTE MENTALE NEI LUOGHI DI LAVORO

Il 29 aprile il professor Ignazio Grattagliano mi ha rilasciato un’intervista telefonica offrendo una panoramica sulle sue aree di intervento, con particolare riferimento alla valutazione dei rischi per la salute mentale nei contesti lavorativi.
L’argomento è senza dubbio molto ampio, non esauribile nei venti minuti, ma in questo podcast troverete una panoramica approfondita e circostanziata che dona anche ampie riflessioni su ciò che ognuno di noi può fare come individuo, come lavoratore, come cittadino, come membro di una comunità.

Il podcast (link Spreaker)

🧩 CARMENÇITA Serino

Dalla psicologia sociale al vivere quotidiano: una panoramica su temi cruciali che si riflettono anche sulla salute mentale

Il contributo video della professoressa Serino è un excursus su tanti temi che riguardano la nostra quotidianità e che si riflettono, di conseguenza, sul nostro stato di salute mentale e sulla nostra vita come individui e cittadini.

Tutto quello che faccio è improntato a questo tipo di condivisione e bellezza genuina, e sono molto felice che la professoressa Serino l’abbia voluta cogliere insieme a me capendo perfettamente l’urgenza che c’è dietro a questa iniziativa e che sento forte.

Il discorso affrontato qui abbraccia molti ambiti in cui, come persone e come lavoratori, siamo chiamati ad agire, ad essere presenti a noi stessi e parte di una comunità. Dalla psicologia alla vita quotidiana di ognuno di noi il passo è breve e necessario, perché il sapere ci aiuta a capire e a interpretare la realtà e spesso può anticipare certe derive della società.

Non basta più farsi trasportare dagli eventi e dalla storia, non basta inseguire il mito della produttività e delle tasche piene che tanti danni hanno fatto e continuano a fare. Quello che accade a noi e intorno a noi, al nostro collega o al nostro vicino di casa o all’indigente, ci riguarda. Saper osservare con vero spirito critico quel che accade nel mondo è la chiave che ci resta per essere persone migliori e per costruire un futuro migliore.

Degli scambi intercorsi tra me e la professoressa Serino, porto con me tra le altre una bellissima frase che mi ha scritto: “Cara, il mondo è stato sempre cambiato dai pochi che hanno saputo tenere gli occhi aperti, e lucidi la mente e il cuore”. In effetti le persone che potrebbero cambiare in meglio la società sono davvero poche, e devono anche resistere e mantenere salda la volontà di farlo. Perché il rischio più grande è che quei pochi, schiacciati dal peso di un mondo che va a rotoli, rinuncino e gettino la spugna pensando che una via d’uscita non ci sia più.

Voglio continuare a sperare che non sia troppo tardi.

Il video (link)

Perché raccontarsi il lavoro ha ancora senso?

La sera del 29 aprile sono uscita e ha piovuto quasi per tutto il tempo. Forse la mia uscita serale è sembrata troppo insolita dalle parti del cielo e le nuvole si sono allineate per scherzare un po’ e prendermi in giro. No, non sono così mitomane: non credo davvero di poter condizionare il meteo, ma di questa faccenda ho riso molto con le persone con cui ho passato la serata.

Il pretesto dell’uscita è stato proprio la Notte del Lavoro Narrato! Eravamo partiti con l’idea di raccontare cos’è il lavoro per noi e cosa secondo noi nel lavoro potrebbe compromettere la salute delle persone.

Come immaginerete, all’inizio abbiamo parlato anche di molto altro. Poi, nel corso della serata, ci siamo fatti prendere la mano e abbiamo tirato fuori vissuti, testimonianze, racconti.

Quello che dobbiamo imparare a riscoprire, quello a cui dobbiamo dare realmente valore, credo siano i confronti di questo tipo. E non parlo di quelle finte conversazioni davanti a un caffè tiepido in cui ci si narra solo delle vacanze o si ripete a pappagallo ciò che si è ascoltato in un video, un podcast o un articolo, schermando il proprio essere attraverso il nozionismo più classico. No. Io parlo di confronti veri, dove le persone mettono sul tavolo quel che sono realmente, gli ideali vissuti, i valori sperimentati, anche le difficoltà affrontate. Quei confronti in cui le persone si chiedono che fine abbia fatto la collettività, il senso di comunità, quei nobili valori tanto spesso proclamati e ostentati quanto, allo stesso tempo, disattesi all’atto pratico.

Chi si fa ancora seriamente tutte queste domande? Chi sceglie di non accettare la distorsione che la società ha fatto del nostro modo di vivere e agire?

Abbiamo di nuovo l’occasione di dire: per noi il lavoro vale!
Fatelo allora, raccontate le vostre storie, perché secondo voi ha senso fare bene le cose, quali sono invece tutte le storture del mondo del lavoro che dovremmo buttare per sempre o cambiare per sempre.


Abbiamo ancora molto da raccontare, ci sono tantissime parole da scrivere ancora. E ci sono persone che vale la pena ascoltare, pur se disperse in un mare pieno di voci di cui invece potremmo fare volentieri a meno.

Qual è il modo di lavorare che vale? Come il lavoro è stato distorto e calpestato nel tempo? A quali compromessi è scesa la società? Di fronte a cosa le persone si arrendono e si adeguano?

Oltre alle storie di chi sceglie di raccontarsi, ci sono tante altre storie ancora sommerse. Perché a volte chi ha una visione davvero etica e una morale elevata, teme che ormai sia tutto perduto e che non si possa fare nulla di concreto per risollevare le cose. E quindi non si racconta, non dà voce alle proprie idee.

Abbiamo gli strumenti per comunicare, sta a noi decidere come farlo, chi interpellare, cosa approfondire, su quali argomenti e su quali idee portare avanti le nostre “lotte” (passatemi il termine).

La lotta è di certo un’azione concreta individuale, una presa di posizione politica o un’azione collettiva, ma la lotta costante e quotidiana è anche quella che facciamo nei nostri luoghi, per difendere la nostra libertà e i nostri diritti. E tutto questo, credetemi, non è scontato!
Lotta è anche libertà e volontà di scrivere di certi temi usando ogni mezzo. E sappiamo bene quanti rinunciano alla propria libertà e dignità per un caffè offerto, una cento euro in più o “un bicchiere d’acqua”.

Nella società del benessere, non possiamo davvero più accettare di venderci! E quando si tratta di lavoro, vendere la propria dignità mettendola a tacere a fronte di un favore o di un contentino, vuol dire calpestare i propri diritti ma anche quelli degli altri lavoratori!

Laura Ressa

In copertina: la locandina della Notte del #LavoroNarrato Frasivolanti, realizzata con Canva

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti