
Through the barricades cantava Tony Hadley degli Spandau Ballet, con il suo inconfondibile ciuffo e l’aria alla baby stasera sarai mia.
Ognuno ha delle linee di confine, gli ostacoli da scavalcare, la staccionata da superare con un balzo alla Nino Castelnuovo.
Come scavalcare l’ostacolo e quali mezzi utilizzare dipende da quanta strada siamo stati abituati a fare a piedi e da quanta agilità abbiamo accumulato, per passare facilmente da un lato all’altro della barricata con la stessa agilità di un atleta.
Castelnuovo superava la staccionata saltando a piedi uniti.
Alcuni però possono decidere di aggirarla lateralmente, altri passando al di sotto in stile limbo, altri ancora possono evitare il confronto con la barriera sradicando l’ostacolo, altri impiegano qualche minuto in più e la staccionata la superano posizionandosi al di là della barriera un piede alla volta.
In quest’ultimo caso l’agilità non sarà la stessa di un atleta ma quella di una nonnina con difficoltà motorie. Il risultato finale però sarà il medesimo: approdare sulla sponda opposta.
A prescindere dal come, il dove definisce chi siamo e la meta raggiunta o da raggiungere.
Il sudore del cammino.
Non sono mai stata un’atleta ma sul lavoro mi è capitato spesso di dover sudare, e non solo in senso metaforico. Raggiungere degli obiettivi consiste nel dover impiegare uno sforzo in più, anche fisico.
Le esperienze professionali sono state spesso caratterizzate da un filo conduttore costante: il tragitto a piedi, la scarpinata, la fatica che precede l’arrivo.
Ogni acquisto ha il suo luogo giusto e non tutte le strade sono un percorso.
Come per un corridore, farsi strada nel mondo del lavoro può significare anche dover scegliere la via meno facile, allungare il percorso, intraprendere nuovi itinerari, cercare la strada migliore.
Citando il mondo musicale, Niccolò Fabi qualche anno fa cantava “Ogni acquisto ha il suo luogo giusto e non tutte le strade sono un percorso”.
Aggiungerei che ogni insegnamento professionale ha il suo luogo giusto e non in tutti i luoghi di lavoro sosteremo per sempre.
La fluidità del lavoro mi ha spesso spaventato.
Dopo un po’ di anni passati a conoscere colleghi, a reinserirmi in contesti nuovi, ad imparare nuove procedure, a riempire quaderni di appunti, questa fluidità mi ha arricchito aggiungendo tasselli in più non solo al mio lato professionale ma soprattutto al mio lato umano.
Parlo di quella sensibilità che permette di capire quando parlare e quando tacere, quando fare un passo avanti o uno indietro, quando è il caso di coltivare alcuni rapporti e lasciarne altri.
Questo non si impara dagli appunti: te lo insegna la fluidità stessa e ciò che si riesce a ricavare da essa quando cominci a non vederla più come una barriera di filo spinato.
Potrei riassumere così quello che ho imparato dal lavoro e dalle persone:
– Prudenza: fidatevi di chi avete intorno ma non troppo, dite il giusto nei contesti adatti e, per dirla usando un detto barese, “una parola di meno e tornatene a casa”;
– Low profile: mai esporsi troppo sui canali online e offline se non si padroneggia al meglio la propria lingua madre, e parlo soprattutto di chi fa il recruiter di professione;
– Do less but do your best: questa è facile;
– Trappole psicologiche: un termine abusato ma utile per riassumere l’innescarsi di strani rapporti di lavoro che vogliono sfociare in legami stretti, in richieste di intimità amicale.
No! A questo proposito suggerisco la lettura di “A che gioco giochiamo” (Eric Berne);
– Estendi il sapere, dona e ti sarà dato: non fare delle procedure aziendali acquisite una tua dote personale. Andrebbero sempre condivise, nulla di ciò che condividi con gli altri ti farà perdere tempo, anzi ti arricchirà;
– Tratta i colleghi (e i dipendenti) come vorresti essere trattato tu: facile anche questa;
– Professionalità: ritorno al punto low profile e lo approfondisco aggiungendo che la professionalità si impara, ma questo è vero solo in parte.
In larga parte la professionalità esiste già in ognuno di noi in forme diverse. La si costruisce a scuola, nel gruppo di amici, a partire dalle persone di riferimento e dalla famiglia. Sì, parte tutto da lì!
– Umorismo ma non troppo: intervallare e alleggerire le attività quotidiane con delle battute ogni tanto non fa male ma attenti alle prove che possono essere raccolte su whats’app, ad esempio.
Non scrivete lettere aperte ai CEO senza cognizione di causa, non siate amici delle persone con cui lavorate, non raccontatevi segreti e non dite mai troppo chiaramente se c’è qualcuno che non potete digerire o di cui non apprezzate i modi. Non siate però neanche falsi, dite sempre ciò che pensate con stile e alle persone giuste. La comunicazione efficace si fonda su una corretta scelta del canale ma soprattutto del destinatario;
– Al mercato si vende il pesce, la verdura e la frutta ma non le persone: l’idea che si possa fare della propria professionalità un trofeo da condivisione social è radicato quanto l’aggiornamento selfie della propria timeline.
Definire la propria personalità prima della propria professionalità.
Saltare la staccionata giusta forse è il segreto, macinare chilometri dentro noi stessi (e fuori) ci porta lontano.
Laura Ressa
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