
JEToP, Junior Enterprise del Politecnico di Torino, è un’associazione no-profit e apolitica gestita da studenti con l’obiettivo di creare contatto tra il mondo dell’università e quello del lavoro.
Nei giorni scorsi si sono concluse le selezioni ed è stato costituito il nuovo board. Qualche settimana fa ho intervistato i membri del precedente direttivo: Sofia Peroncini (Presidente), Davide Taddei (Vicepresidente) e Matteo Turchetti (Tesoriere). L’intervista si è svolta in una chiacchierata telefonica in cui i protagonisti si sono raccontati parlando della loro esperienza in JEToP ma anche di crescita personale, impegno, notti insonni, lavoro e mondo universitario.
Il nostro confronto è stato guidato da riflessioni sull’universo professionale e sul modo in cui esso viene percepito oggi dagli studenti universitari.
1) Prima di cominciare a lavorare ho sempre avuto idee contrastanti sul mio ingresso nel mondo professionale. Il lavoro per me era una chimera lontana e agognata, e spesso nei racconti degli altri intravedevo sia il risvolto positivo sia quello meno lucente della medaglia.
Cos’era per voi il lavoro prima di entrare in JEToP e quale visione avete adesso?
Davide: JEToP mi ha aperto una serie di opportunità che neanche avevo valutato prima. Sono al terzo anno di Ingegneria informatica e ho sempre sognato di lavorare nel mondo dello sviluppo software, guardando solamente a quel settore. Grazie a questa esperienza sono riuscito a capire ciò che c’è intorno alla realizzazione di un software, quindi la gestione del rapporto con il cliente, gli aspetti legali e contrattuali. Il focus ora per me non è più solo sviluppare ma anche pubblicizzare la mia idea sul mercato, capire chi può essere interessato e come proteggerla.
Sofia: Vivere un ambiente aziendale in JEToP mi ha fatto capire quanto sia importante l’esperienza che ci si porta dietro nel proprio percorso lavorativo. Lo studente classico di solito pensa solo all’esame e alle lezioni, uno junior entrepreneur è focalizzato sull’apprendimento ma allo stesso tempo capisce quanto sia importante saper gestire un team e sapersi relazionare con gli altri.

2) Quali sono stati i vostri ruoli all’interno del board?
Matteo: In qualità di tesoriere io mi sono occupato della gestione di ogni aspetto finanziario dell’associazione. Ho gestito la liquidità, il conto, le fatture, i pagamenti. Mi sono occupato delle relazioni con la banca, con il nostro commercialista e ho gestito le richieste interne.
Davide: L’iter decisionale iniziava sempre da noi tre. Ci arrivavano le proposte da esterni o dai soci e dopo averne discusso ne parlavamo sempre con i responsabili dei vari team assicurandoci che loro le implementassero. In precedenza sono stato Responsabile dell’area IT, ora mi occupo anche della gestione di strumenti come la piattaforma Google per le email e il Drive.
Sofia: In veste di Presidente, io ho gestito i contatti con l’esterno. Quando fissavamo gli appuntamenti svolgevamo la prima chiamata conoscitiva con un potenziale cliente per capire se portare la proposta al Consiglio. Il nostro compito poi era quello di monitorare l’implementazione delle strategie per fornire al cliente i servizi richiesti.
3) Quali sono i settori in cui operate e come avviene il contatto con i potenziali clienti?
Sofia: Sono spesso i clienti a entrare in contatto con noi scrivendoci dal sito o tramite i canali social. Parlo in particolare del singolo imprenditore o della piccola media impresa che ha bisogno di un servizio ad un costo meno elevato.
Le grandi aziende le cerchiamo noi per richiedere esperienze presso di loro o formazione.
Ci occupiamo di campagne marketing e sviluppo di applicazioni e il core business è legato al settore IT. Il nostro valore aggiunto è la multidisciplinarità, in virtù della quale vorremmo seguire in futuro l’intera catena di valore di una startup: dall’analisi di mercato alla realizzazione del business plan, fino all’implementazione attraverso sviluppo di piattaforme informatiche e campagne marketing online e offline.
4) Far parte di JEToP significa andare oltre il percorso universitario standard, imparando nuove competenze secondo la filosofia del learning by doing. Questo rappresenta un valore enorme perché vi permette di sperimentare le vostre capacità in un contesto che replica gli ambienti lavorativi.
Come applicate il metodo learning by doing in JEToP?
Davide: Sugli aspetti di gestione impariamo molto sia da chi ci ha preceduto sia tramite la formazione durante i meeting.
Nelle relazioni con il team e con i soci ho imparato tanto soprattutto grazie ai consigli delle persone con cui ho lavorato e grazie alla possibilità di mettermi alla prova come membro del direttivo. Gestire un team di 70-80 soci non è facile e richiede determinazione: è importante essere uniti e ascoltare le critiche senza farsi condizionare troppo.
Sofia: Ognuno di noi sviluppa le proprie soft skills lavorando. Ci focalizziamo sul learning by doing per quanto riguarda le competenze tecniche e per i nuovi soci organizziamo dei workshop focalizzati sulle competenze base che bisogna possedere per lavorare in JEToP. Manteniamo un forte contatto con gli alumni al fine di ottenere formazione e approfondimenti che ci consentano di imparare tanto anche da loro.
Alle imprese offriamo servizi e spesso scegliamo di ricevere in cambio formazione.
5) Vorrei soffermarmi su un aspetto che mi interessa molto: il recruitment. La selezione è la base per poter costruire un gruppo di persone non solo tecnicamente valide ma anche affini al contesto organizzativo e ai valori del team. La preparazione conta, ma non è tutto. Conta tanto saper praticare empatia e sapersi relazionare.
Quali criteri seguite per condurre le selezioni in JEToP?
Matteo: Svolgiamo due sessioni di recruitment all’anno e per un periodo mi sono occupato io dei colloqui. La scelta di un candidato si basa, oltre che sul curriculum, sulla nostra percezione personale perché la persona può essere anche bravissima sul versante tecnico ma se non rientra nella visione di associazione e di condivisione, non è adatta a JEToP. Ovviamente non possiamo capire a fondo una persona, ci vorrebbero anni e a volte non basterebbero nemmeno, ma coinvolgiamo il candidato in un lavoro di gruppo per capire come si comporta e infine lo ascoltiamo durante il colloquio individuale.
Selezionare non è facile ma mi sono innamorato di questo compito proprio per la sua complessità. L’approccio con le persone è fondamentale perché il lavoro sul campo riguarda la gestione di se stessi all’interno di un ambiente condiviso e questo non ha nulla a che vedere con la formazione tecnica ma riguarda la formazione della persona. Nella mentalità italiana l’università è ancora vista come una branca del liceo in cui bisogna immagazzinare solo conoscenze. Nella realtà non è affatto così, e fuori ce ne rendiamo conto.

6) Motivazione e vocazione sono aspetti per me indivisibili. L’uno si appoggia all’altro e insieme costituiscono la base per costruire un percorso lavorativo caratterizzato da crescita costante e voglia di fare meglio ogni giorno. Quanto contano per voi motivazione e vocazione?
Sofia: Ho ricoperto il ruolo di Presidente durante l’ultimo anno della magistrale ma ero spinta da una forte motivazione. Ho tolto tempo allo studio, che poi ho dovuto recuperare di notte, però ho imparato tanto. Lavorare per i nostri obiettivi mi ha riempito di nuovi stimoli, mi ha dato la possibilità di capire che l’unico modo per riuscire a fare le cose è saper organizzare i tempi e conciliare gli impegni.
Davide: Io sono entrato in JEToP con l’idea di mettere in pratica la mia passione per l’informatica. A questa motivazione se ne sono aggiunte tante altre, come ad esempio la possibilità di condividere i miei valori con altre persone.
7) A molti studenti universitari può sembrare impossibile studiare e dedicarsi contemporaneamente ad altre attività. Credo che la scelta di non chiudersi nel solo obiettivo di stare sui libri tutto il tempo fino al giorno della laurea apra molte più possibilità, soprattutto legate alla sperimentazione di se stessi e del proprio lato professionale, umano, relazionale.
Come avete conciliato gli impegni accademici con le attività in JEToP?
Sofia: Ho sempre dormito poco e quando sono arrivata a Torino la prima cosa che ho fatto è stato chiedere di entrare in JEToP. Se frequenti la facoltà di Ingegneria è fondamentale frequentare le lezioni e seguire i progetti con i compagni di corso. Quindi per le attività in JEToP ci siamo organizzati in modo da non perdere gli esami.
Il fatto di non avere mai tempi morti ci ha reso molto vivi.
Davide: Tempo fa partecipai ad un evento JEToP al Lingotto e da lì mi candidai perché mi affascinava il fatto che ci fosse qualcun altro che aveva intenzione di metter su progetti oltre lo studio. Riesco a conciliare gli impegni perché trovo che le attività extra-universitarie siano fondamentali.
8) L’università italiana fa ancora molto poco per avvicinare gli studenti alla prospettiva lavorativa che li attende una volta laureati. Secondo voi in che modo università e mondo del lavoro possono dialogare? Quali politiche introdurreste per diffondere esperienze aziendali in tutte le università?
Sofia: Da parte delle aziende stiamo riscontrando un grande entusiasmo ad accogliere realtà come JEToP. Dal punto di vista universitario c’è invece un grosso gap e io incentiverei gli studenti ad avvicinarsi ad esperienze aziendali offrendo loro qualche riconoscimento o CFU. Il tecnicismo non è più solo per pochi, in tanti conseguono la laurea e quindi ciò che fa la differenza nel mondo del lavoro sono proprio le soft skills. Un altro incentivo interessante potrebbe essere quello di dare la possibilità a tutti gli studenti di fare un’esperienza all’estero.
Matteo: L’università dovrebbe invogliare gli studenti a svolgere un’attività sportiva e associativa perché queste attività formano una persona. Solo così si riesce a vivere a 360° questo periodo della vita e quindi penso che ci debba essere un rapporto simbiotico tra aziende e università. Il tirocinio extra-curriculare serve a poco e sarebbe più utile seguire corsi tenuti da manager o da professionisti. Se l’università riuscisse a far entrare le aziende all’interno delle proprie attività quotidiane, sarebbe in grado di formare dei professionisti: ora invece l’università forma solo studenti, ma quegli studenti fuori dovranno essere in grado di lavorare.
9) Cos’è per voi un lavoro fatto bene e un compito portato a termine con passione?

Sofia: Secondo me un lavoro è fatto bene quando vediamo la soddisfazione da parte del cliente.
Per quanto riguarda il rapporto con gli altri soci la domanda per me è: come riuscire ad essere leader di un gruppo di coetanei lavorando bene? Quello che ha funzionato sino ad ora è stato trasmettere positività, ascoltare le persone, essere imparziali. Un lavoro fatto bene in JEToP è quello che ti permette di sbagliare. Noi stiamo imparando e quindi vale la pena sbagliare: però se sbagli ti devi rimettere in carreggiata e cercare di rimediare all’errore.
Davide: La mia percezione del lavoro è cambiata quando mi sono messo alla prova sul campo. Voglio fare le cose con attenzione minima ai dettagli ma ho anche spostato il focus sul prodotto finale e quindi sulla valutazione del cliente.
10) Riconoscere la bravura degli altri è secondo me un aspetto importante del lavoro che però non sempre capita di trovare in azienda. Quanto conta per voi motivare le persone circa le loro competenze e aiutarle in questo modo ad evolversi?
Matteo: La professione di manager dovrebbe essere tutta lì: far star bene le persone e saper riconoscere che gli altri possono essere più preparati di te. Secondo me questa capacità viene prima dell’aspetto tecnico e credo sia necessario riuscire a trasmettere sicurezza e convinzione in quello che si fa.
Sofia: Non è facile però per un manager essere sempre motivatore. Se sei in un team non ti aspettare che ti venga sempre detto che sei bravo. Anzi, di solito se i capi stanno in silenzio vuol dire che stai facendo bene il tuo lavoro e quando sbagli, come avviene in azienda, sono subito pronti a sottolineare l’errore.
11) In Italia anche dopo l’università si continua a proporre formazione sotto forma di corsi o master: un po’ per mancanza di opportunità di lavoro e necessità di specializzazione, un po’ per il concetto che si debba continuare a dare più spazio agli aspetti teorici. Mi capita di notare che alcune persone, al termine di un percorso di studio o di tirocinio di pochi mesi, ritengono di essere già pronte per diventare leader o ricoprire ruoli dirigenziali. Trovo paradossale e deleterio diffondere una percezione professionale di sé che non corrisponde a quella reale.
Avete notato anche voi questi atteggiamenti? Cosa ne pensate?
Davide: In alcune persone ho visto anch’io questa tendenza a valorizzare molto di più un percorso di studi lungo e teorico piuttosto che uno pratico e progettuale. Credo che sia una conseguenza della percezione che ci viene data durante l’università, ovvero l’idea secondo cui un percorso di studi portato a termine con ottimi risultati sia fondamentale, prioritario e soprattutto sufficiente per poter avere successo e portare avanti la propria carriera.
Quando si comincia davvero a lavorare si riescono a vedere invece altri aspetti della realtà aziendale che in pochi mesi di tirocinio non si toccano neanche.
12) Nel 2016 avete organizzato il Wearable Tech Torino, fiera dedicata alle tecnologie indossabili, e nel 2017 avete vinto il premio per il Miglior progetto di una Junior Enterprise italiana nell’ambito del Turin Cybersec Hackathon.
Quali altri progetti avete in cantiere?
Matteo: Un paio di anni fa abbiamo realizzato il Wearable Tech Torino perché le tecnologie indossabili in quel periodo erano un tema innovativo e lo scorso anno il Cybersec ci ha portato notorietà nel nostro network.
A maggio 2018 abbiamo cercato di ampliare il target con l’evento “La carriera ha un genere” in cui abbiamo discusso di gender gap nei contesti professionali attraverso i racconti di 4 manager. Adesso ci stiamo concentrando sul Politecnico di Torino e stiamo programmando un incontro con un docente del Contamination Lab per parlare di contaminazione tra facoltà universitarie. L’idea è quella di discutere di IoT e di tematiche riguardanti il mondo connesso.
Per noi gli eventi sono un’occasione per entrare in contatto con altre realtà e far conoscere JEToP, quindi puntiamo molto su questa possibilità per ampliare il nostro orizzonte e la nostra rete.
Le giovani menti che si confrontano con il mondo del lavoro hanno una freschezza di approccio dalla quale bisognerebbe sempre imparare.
Da Sofia, Davide e Matteo io ho imparato molto. Le nostre due ore di chiacchierata sono volate e nelle loro parole ho trovato molto della me studentessa e tanto della me lavoratrice inserita in un contesto aziendale e relazionale completamente diverso da quello universitario.
Lavorare non è una passeggiata, e si arriva ad alcune consapevolezze solo dopo molti anni di esperienza. Dunque il primo fondamentale approccio consiste nella consapevolezza di dover imparare ad ogni età e in qualsiasi condizione ci si trovi. Se hai voglia di imparare e di mettere in discussione le tue convinzioni, il tuo percorso sarà in salita.
Grazie ragazzi, vi auguro ancora molte notti insonni passate a rincorrere i vostri sogni.
Auguro agli studenti e a chi muove i primi passi nel mondo del lavoro di mantenere sempre alta l’attenzione alle persone e alle relazioni. Volare basso cercando di planare sempre più in alto prendendo quota poco alla volta è, forse, un segreto trasversale da tenere a mente in ogni stagione della nostra vita.
Laura Ressa
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L’immagine di copertina è stata fornita da Sofia Peroncini. Le foto inserite nell’articolo sono pubblicate sulla Pagina Facebook di JEToP