
Maurizia Cacciatori, dopo una lunga carriera da pallavolista che le ha regalato molti traguardi, si occupa attualmente di comunicazione e tiene corsi di formazione e attività di team building in azienda.
Si descrive così: “La mia vita è stata dedicata allo sport ad alta competizione. Ho indossato per 12 anni la maglia della Nazionale Italiana di pallavolo, con 228 presenze in azzurro vincendo titoli e premi a livello internazionale. Esserne stata la capitana ha significato mettermi in gioco, assumermi responsabilità, gestire lo stress, allenare l’empatia e saper adattare il mio Team al cambiamento. Lo sport mi ha insegnato che la comunicazione e l’obiettivo condiviso sono l’essenza di una squadra vincente.”
Maurizia ha vinto 4 Scudetti Italiani, 3 Supercoppe Italiane, 4 Coppe Italia, 1 Scudetto Spagnolo, 1 Copa de la Reina, 1 Coppa CEV, 3 Champions League, Oro ai Giochi del Mediterraneo, 2 Argenti e 1 Bronzo agli Europei. Nel suo curriculum anche la qualificazione alle Olimpiadi di Sidney 2000.
Cosa insegna lo sport? Quale impatto può avere nella vita di una persona e quanto la fa crescere? In che modo lo sport diventa maestro di vita e a che punto del percorso il mondo sportivo e quello aziendale si incontrano? Cosa possono trarre di utile le aziende dalle dinamiche sportive? Maurizia Cacciatori me lo racconta in questa intervista.
1) Dopo la tua carriera da pallavolista professionista, ora ti dedichi alle aziende in attività di formazione e supporto per la gestione delle risorse umane, la collaborazione e la comunicazione interna.
Data la tua esperienza su entrambi i fronti, in cosa le squadre nello sport e i team aziendali si somigliano e in cosa differiscono?
“Le coppe e i trofei che ho vinto durante la mia carriera non hanno nulla a che vedere con le soft skills che ho allenato. Le ho allenate inconsciamente.
Quando ho smesso di giocare e sono entrata nel mondo della comunicazione, mi sono resa conto che avevo sviluppato il senso di collaborazione, lo spirito di squadra, la leadership, il coraggio, il non tirarmi mai indietro, la capacità di far fronte agli eventi in maniera positiva. Credo che queste siano caratteristiche che all’interno delle aziende non devono mai mancare. Tra azienda e sport ci sono punti in comune importanti: la competizione, l’obiettivo, la collaborazione. Queste caratteristiche le vedo in tante aziende ma ciò che spicca in maniera evidente è la differenza tra l’azienda che ha un team forte e quella che invece pecca nel costruire il team. Mi è successo spesso di svolgere giornate di formazione in aziende in cui mi rendevo conto di avere a che fare con tante individualità. Di certo ognuno deve dare il meglio di se stesso come singolo, ma all’interno di un team bisogna anche avere spirito collaborativo e quella vision che per me nello sport è stata fondamentale.
Quando giocavo nella nazionale femminile di pallavolo, non siamo mai scese in campo senza la consapevolezza che il team era forte e preparato per disputare una partita.
Mai ragionare al singolare quindi ma sempre con la concezione del Noi e non dell’Io.”

2) Lo sport è un grande maestro, a maggior ragione se praticato a livello agonistico e da professionista. In che modo lo sport ha migliorato la tua vita e quale insegnamento dello sport ti è servito di più o ti ha aiutato ad affrontare gli ostacoli?
“Lo sport è stato maestro di vita. Sono uscita di casa molto giovane, avevo poco più di 16 anni e mi si è aperto un mondo in cui sono cresciuta velocemente. Gli obiettivi da raggiungere erano palesi e non c’erano scuse o alibi: questo per una ragazzina non è semplice. Sono entrata nelle dinamiche sportive da subito perché ho capito che se volevo essere una giocatrice forte non dovevo mettere in campo solo le mie doti tecniche ma anche quelle di squadra. Il passaggio più difficile è stato quello di confrontarmi con compagne di squadra che avevano già vinto e con più esperienza di me: mi è servita molta umiltà e l’idea di restare sempre con i piedi per terra. Questo nello sport è la base di tutto!
Nel mio mondo se pensi di essere arrivata, quello il momento in cui hai già l’avversario che ti batterà. Questa mentalità mi è servita molto nella mia vita personale perché ho allenato il coraggio, il rispetto delle regole e il pensiero ottimista. Lo sportivo può anche perdere ma il giorno dopo sa che c’è un’altra opportunità, e questa è una filosofia di vita che ho allenato giorno dopo giorno in più di vent’anni di attività sportiva.”
3) A proposito di Team building nel tuo sito scrivi “La pallavolo è la rappresentazione perfetta di un’attività in cui la collaborazione è la vera essenza del gioco, in quanto non concepisce azioni individuali. Attraverso l’attività sportiva è possibile trasferire ai gruppi di lavoro metodologie per migliorarne le dinamiche.”
Individuo vs squadra, ci si interroga spesso su questa distinzione anche nello sport. C’è chi ama misurarsi solo con se stesso e chi sceglie lo sport di squadra per valorizzarsi insieme agli altri e raggiungere l’obiettivo. Considerato che in azienda il lavoro di tutti è importante e bisogna dare i giusti meriti anche ai singoli, come si può fare lavoro di squadra evitando gli atteggiamenti di individualismo (ovvero il rischio di offuscare l’apporto dei singoli per emergere sul gruppo)?
Se ti è capitato di osservare un comportamento individualista da parte di manager o di membri di un team, quali considerazioni ne hai tratto?
“Mi sono trovata a giocare in squadre dove spiccava molto più l’individualità e con giocatrici poco versatili. Questo accade anche in azienda.
Se hai solo forti individualità puoi vincere delle partite ma difficilmente riesci a vincere il campionato: infatti le squadre con le quali ho vinto scudetti e champions league avevano un concetto di team che andava oltre l’individualità. E questa è una grande arma!
Nessuno nasce con il pensiero di fare squadra, tutti nasciamo con la predisposizione di lavorare al singolare. Ricordo che quando avevo 13 anni, se facevo trenta punti ero felice. Se poi la mia squadra perdeva non mi importava granché, perché tanto io avevo fatto trenta punti e questo mi bastava. Ma era un modo di pensare sbagliato, ero piccola e avevo un mondo davanti. Grazie a coach formidabili e al senso dello sport più tardi ho capito quanto fosse importante ragionare e lavorare come team. Questo è stato un insegnamento prezioso che porto con me in tutto ciò che faccio anche oggi.”
4) Cito di nuovo una frase estrapolata dal tuo sito. “E’ necessario che tutti i componenti di un gruppo vadano d’accordo e si vogliano bene per diventare una squadra? La risposta è no. Il requisito principale e fondamentale che unisce i componenti di una squadra è la voglia di collaborare al fine di raggiungere un obiettivo comune.”
Secondo te come si costruiscono obiettivi che stiano a cuore a tutti e non solo alla dirigenza o al capo che chiede di raggiungerli?
Come si costruisce un’altra vittoria?
“Una squadra vincente non è necessariamente una squadra di amici. La squadra vincente ha l’obiettivo chiaro e, a prescindere da chi ne fa parte, va dritta verso quell’obiettivo. Ho vinto campionati con compagne di squadra con cui non avrei mangiato neanche una pizza, però quando hai la consapevolezza di indossare la maglia dello stesso colore questo ti aiuta a condividere il valore di ciò che stai facendo. Dunque devi onorare chi ha scelto te, i tuoi principi e i tuoi obiettivi.
Gli obiettivi si costruiscono solo se sono cercati e voluti. Quando hai tanta fame, hai voglia di raggiungerli. Quando sei appagato, forse l’obiettivo lo vedi più lontano.
Una squadra vincente ha sempre fame!
Dopo le vittorie mi hanno spesso chiesto “adesso che hai vinto lo scudetto, come hai voglia di ripartire per vincerlo di nuovo?” e io ho sempre risposto che quando si vince, si gioisce e si festeggia ma poi si pensa subito alla vittoria successiva. Questa mi sembra una filosofia utile sia in ambito sportivo sia in azienda. Quando non hai obiettivi diventa un problema perché vivi il tuo lavoro in maniera passiva. Ho visto tante atlete fare il loro compito passivamente e poi tornare a casa.
Dico sempre che le medaglie si ritirano la domenica ma si conquistano dal lunedì mattina. Ci deve essere cioè la consapevolezza di essere anche un esempio perché il lunedì mattina nessuno ha voglia di andare in azienda o di allenarsi, però è quell’inizio a fare la differenza, è la preparazione e quanto cerchi di migliorare.
A me hanno sempre detto che ad ogni allenamento buttato via ci si allontana sempre di più dal proprio obiettivo. Questa idea mi è servita molto nella pallavolo ma anche in quello che sto facendo adesso nell’ambito della comunicazione.”
5) Sul tuo sito c’è un testo che recita “Un altro elemento importante che non può mancare in una squadra è un leader, che collabori con i propri compagni e si ponga al loro livello, guidandoli al tempo stesso.” L’esempio che fai è quello del termine tecnico ‘’Il muro è alto, gioca mani e fuori’’ che significa che quando il giocatore si trova davanti a un muro insormontabile non ha scuse valide per tirarsi fuori e arrendersi, deve trovare una soluzione. “Anche quando la vita ti alza un muro, spetta a te costruire, giocare a mani fuori per superarlo.”
Secondo me essere leader non vuol dire credersi vincenti, arrivati, completi, aspettarsi che siano sempre gli altri a trovare le soluzioni ma credo consista piuttosto nel saper ammettere gli errori, e nel fare qualche passo indietro per lasciar spazio agli altri.
Per te cos’è la Leadership e cosa i manager dovrebbero migliorare nei loro stili di gestione delle persone?
“Il momento che stiamo vivendo è come il muro insormontabile della pallavolo: quando il muro si alza tu giochi a mani e fuori. Ora stiamo giocando tutti il nostro mani e fuori, cioè stiamo cercando delle strategie per cambiare quello che avevamo programmato. Il Covid-19 ci ha posti in una situazione di poco controllo ma è proprio ora che dobbiamo trovare soluzioni per guardare avanti con gli strumenti che abbiamo.
Io adesso sto lavorando con i webinar, una modalità di lavoro diversa dal comunicare di fronte alle persone vedendo i volti di chi ho accanto. So che il distanziamento sociale non significa prendere le distanze dalle persone e lo sto verificando nel mio lavoro. Mettersi in gioco è riuscire a gestire i vari momenti: il vero vincente non è colui che vince tutti i giorni ma è quello che trova il giusto equilibrio tra un’esaltante vittoria e un momento difficile o una grande sconfitta.
Penso che ogni leader abbia un suo stile e un suo modo di essere. Ho visto grandi leader comunicare pochissimo perché i loro silenzi valevano più di tante parole. Ho visto anche coach che mettevano anima e corpo nella comunicazione. Ci sono tanti modi di essere leader perché credo che in fondo il leader sia semplicemente se stesso.
Il vero leader cerca soluzioni, non ha paura di agire, è consapevole di avere la propria squadra al fianco e quindi non cerca scorciatoie o modi di fare poco corretti. Credo che in questo momento storico il leader emerga, e chi ha pensato di esserlo magari ora si accorge di non esserlo mai stato davvero. Adesso possiamo imparare prima di tutto a essere leader di noi stessi e allo stesso tempo capire che il cambiamento può essere un’opportunità e uno specchio per verificare se il nostro team sia pronto ad affrontare un avversario sconosciuto con strategie di lavoro e metodi differenti da quelli che avevamo in passato.”
6) Cos’è per te il senso di appartenenza? Lo citi anche nella tua biografia quando scrivi che “il vero senso di appartenenza vale più di qualsiasi medaglia al collo”. Vale lo stesso in azienda?
“Il senso di appartenenza è il sunto di tutto quello che ti ho raccontato perché, ritornando a una risposta precedente, quando indossi la maglia della squadra per cui giochi devi onorare quella maglia. Se non hai forte dentro di te questo sentimento, difficilmente potrai capire il valore dell’appartenenza.
Il senso di appartenenza vale più di ogni medaglia: è quel percorso fatto insieme agli altri, il percorso che ti ha fatto crescere, che ti ha reso una persona migliore, che magari non ti ha portato alla vittoria ma ti ha fatto capire quanto lavorare insieme, creare progetti e non lamentarsi né cercare alibi o scuse ti renda davvero grande.”

7) Si parla spesso di gestione delle risorse umane, è un tema che riguarda tutti. A me il termine “gestione” in realtà lascia pensare: una persona non va gestita secondo me, ma coltivata. Bisogna far sentire le persone protette, aiutate e al tempo stesso responsabilizzate senza che ciò voglia dire solo “ti prendi tu le bastonate se qualcosa va storto”. Si tratta di un tema delicato, spesso trattato solo in eventi “esclusivi” o con proclami che però non si traducono in realtà.
Cosa manca per fare il guizzo culturale e dare davvero rispetto ai lavoratori, restituire ai giovani il diritto al lavoro, far crescere le persone in azienda e dar loro il giusto merito, superare uno stile di dirigenza aziendale con una visione spesso stantia e legata alla logica dei privilegi?
“Penso che ora su questo fronte la situazione sia un po’ cambiata. Oggi noto che, a seguito anche della problematica virus, tante aziende si stanno mettendo in gioco in maniera più attenta anche nella gestione delle risorse umane. Questo mi fa molto piacere perché vuol dire che stiamo rispondendo bene alle difficoltà. Ed è una prova importante che nessuno immaginava di dover affrontare, ma vedo da parte di chi si occupa di risorse umane la voglia di dare ancora di più rispetto a prima. Su questo aspetto sono quindi positiva e mi auguro che si continui a lavorare così.”
La competizione, la sconfitta, i soprusi, l’idea che in qualche modo una fase della vita debba terminare. Avrei voluto chiedere tantissime più cose a Maurizia Cacciatori, perché lo sport è un mondo che non comprendi davvero finché non ci sei dentro. E io che ne sono sempre stata fuori mi perdo e mi innamoro dei racconti di sportivi che, a qualsiasi livello, hanno fatto della filosofia dello sport il proprio albero maestro.
L’obiettivo, la gara, l’insegnamento, la tecnica, il fischio d’inizio, il colpo di pistola che dà il via alla competizione: nello sport tutto si fa per un intento preciso. Man mano che si va avanti, però, quell’intento chiede di essere costruito un passo alla volta, giorno dopo giorno.
Rileggendo le risposte di Maurizia, mi torna in mente la famosa frase di Gino Bartali “certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca.”
Per chi non fa sport, forse risulta difficile credere che una medaglia non sia l’unico apice della soddisfazione di un atleta. Provate a chiederlo a chiunque pratichi sport a livello agonistico: la medaglia è un momento, il momento in cui raccogli. Ma quello che ti regala la preparazione e la gara stessa è la consapevolezza dell’impegno, della tecnica, del tuo miglioramento, del lavoro di squadra che c’è dietro, di tutte le giornate, i mesi e gli anni passati a costruire e che precedono il momento culminante.
La chiamano trance agonistica: in psicologia il flusso o esperienza ottimale (spesso citato appunto come trance agonistica nel linguaggio sportivo) è “uno stato di coscienza in cui la persona è completamente immersa in un’attività. Questa condizione è caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo: focalizzazione sull’obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito.” (fonte: Wikipedia).
Anche la delusione per Maurizia Cacciatori “è stata una grande lezione di vita”, come ha affermato in un’intervista del 2018. “Ero abituata dallo sport che se sei bravo, e quindi utile, giochi. C’è una meritocrazia semplice, evidente. Che invece nella vita può essere mascherata da altre cose”.
L’insegnamento dello sport allora vale davvero per tutti: la voglia di rialzarsi dopo un errore, di accettare anche l’inaspettato, di imparare dai compagni di squadra, di ripartire ogni volta senza considerarsi completi ma inseguendo il miglioramento continuo.
Sono tutti punti cardine che in un’azienda fanno la differenza tra chi dà tutto per certo e lavora passivamente e chi insegue l’obiettivo e aiuta le proprie persone a valorizzarsi, a lavorare come team riconoscendo e premiando anche i meriti del singolo come tasselli preziosi per costruire insieme.
Grazie Maurizia! Grazie per il tuo tempo e per quello che mi hai raccontato.
Laura Ressa
frasivolanti di frasivolanti.wordpress.com/ è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Le foto contenute nell’articolo sono state gentilmente fornite da Maurizia Cacciatori.
Copertina: Maurizia Cacciatori agli esordi della sua carriera nella pallavolo