Ogni Natale mia nonna manteneva saldo quello che io reputavo uno strano rito: regalare a mia madre un pacco di farina e un pacco di zucchero. Racchiusi insieme in incarti di fortuna, legati con nastrini colorati che la nonna conservava come qualsiasi altro oggetto che le sembrasse utile: cioè tutti. Scatoline di cartone, vasetti vuoti di yogurt, buste di varie dimensioni, elastici, lembi di cotone, bottoni di ogni forma e colore.

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La scelta di quel dono faceva sorridere. Perché regalare proprio un pacco di farina e uno di zucchero? Due ingredienti utili in cucina, certo, ma che si potevano acquistare ogni giorno e che non avevano nulla di straordinario. Mi sembrava un regalo senza particolare significato, di quelli che fai quando non hai la possibilità di comprare un oggetto diverso.

Le capitava spesso anche di regalare confezioni di caffè o bottiglie di olio e io associavo quella scelta all’epoca nella quale la nonna aveva vissuto la sua giovinezza e ai tempi di guerra in cui anche ciò che oggi ci sembra scontato era un lusso.

Il regalo poi magari non si limitava solo a quegli ingredienti: spesso la nonna passava le “bustarelle”. Con nonchalance ci chiamava in disparte per darci piccole somme in denaro, somme che si potevano scambiare da una mano all’altra. Era una brava pusher.

Il pacco di farina e il pacco di zucchero però continuavano ad essere un mistero per me, ed è stato così per molto tempo.
Perché scegliere un dono che possiamo acquistare ogni giorno al supermercato?

Mi sono fatta di nuovo questa domanda a distanza di tanti anni probabilmente perché ora è troppo tardi per avere una risposta. Cerco di dare un senso primordiale a quel gesto e provo a spiegarmelo in tanti modi: facile reperibilità o reminiscenza delle ristrettezze di un tempo che ci ricordano quanto siamo fortunati a non aver vissuto la guerra.

Forse è tardi per farsi queste domande, non potendo più risolvere tutti i dilemmi attingendo alle parole della donatrice di zucchero e farina.
Ma non mi arrendo, voglio pensare a una risposta differente, una risposta che dia senso a quei due ingredienti. E il senso degli ingredienti, di solito, è dato dalle ricette nelle quali essi vengono impiegati.

Pensandoci su, mi fermo a riflettere su cosa rappresenti il dono. Un dono – mi dico – deve sorprendere e rendere felice chi lo riceve.
Quindi cosa mi rende felice? Un dolce spesso ha questo potere: gustare una torta realizzata dalle mani di mia madre sa donarmi soddisfazione e gioia.

La nonna allora stava regalando qualcosa che riempisse lo stomaco e desse l’energia per affrontare una giornata o per riportare il sorriso su un volto triste. Stava donando una bacchetta magica.
Farina e zucchero moltiplicano così le possibilità e possono trasformarsi in altro.

Che significa, quindi, donare?
Credo di aver cominciato a capirlo in queste righe: donare può voler dire anche moltiplicare le possibilità, partire da un ingrediente e mettere a frutto le proprie abilità, mettere in moto manualità e inventiva.
Un ingrediente ti moltiplica e regalarlo ti dà la possibilità di moltiplicare le opportunità.

Magari non era esattamente questo il significato che mia nonna attribuiva a farina e zucchero, e allora ecco un altro significato del dono: spingerci a vedere la magia anche laddove forse non era stata prevista.

Farina e zucchero per me contano molto più di allora perché un regalo non sbalordisce per il prezzo o per la grandezza. O almeno per alcune persone non sono queste le ragioni per le quali sbalordirsi.
Un dono ti sorprende quando ti moltiplica, quando rende prezioso e incancellabile un ricordo, quando lo fa vivere ancora anche a distanza di molti anni.

Gli anni sono quel che serve per cercare di capire la profondità di alcuni gesti.

Lontani dalle ipocrisie delle feste forzate, degli scambi di convenevoli e convenienze ammantate di plastica finzione, di fiocchetti e pillole indorate, c’è una realtà sommersa in noi che ci chiede ogni giorno di comprendere ciò di cui abbiamo davvero bisogno nel traffico dei bisogni inutili e indotti.

Il traffico stordisce, un traffico fatto di volti che è il traffico umano di cui vogliamo infarcire forzatamente le nostre vite pur di farci notare. E allora oggi sono qui, seduta alla mia scrivania a ripensare al passato. Lontana dalla folla, a godere delle luci dell’albero e del calore delle poche persone che ho scelto. Con i vestiti intrisi del profumo degli ingredienti basilari della tradizione culinaria, in un focolare che non si perde nel tempo ma che ogni anno spero possa aggiungere un tassello nuovo all’esperienza.

Il Natale, mia nonna, gli esempi, le persone reali che ho incontrato sul percorso mi hanno insegnato quanto sia essenziale sfoltire la propria vita, renderla un posto ogni volta più vero dove non devo agire secondo contingenza ma aprire le braccia a chi sa rendere denso ogni momento. Un luogo in cui non conta il quanto ma il come, un luogo in cui c’è spazio per scrivere, per sognare, per condividere, per vivere apertamente le paure e provare a superarle facendo un passo alla volta.

Auguro una vita di pacchi di farina e zucchero, perché è utile non soltanto augurarci il meglio ma essere felici con ciò che abbiamo. Con quelle due, tre o quattro cose davvero essenziali nella nostra vita.

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Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti