
Leggere tra le righe, leggere nei moti perpetui della mano e del cuore. Andare oltre.
Saper leggere (e scrivere) non vuol dire arrivare all’ultima pagina di un romanzo o ricordarne a memoria ogni parola o capitolo. Leggere per me vuol dire saper guardare.
E questo non lo penso solo perché sono una di quelle persone che preferiscono scrivere e accumulano libri che poi impiegano anni a leggere.
Ho avuto il mio incontro folgorante con la scrittura quando ero molto piccola.
La scrittura è una nobile arte ed è per tutti, il che non significa che tutti la sappiano adoperare ma vuol dire che tutti ci possono provare e sperimentare l’istinto di mettere se stessi su un foglio spulciando in ogni increspatura della propria essenza le parole perse e quelle ritrovate. La scrittura si nutre di pacche sulla spalla.
Viviamo con gli altri e a volte (forse troppo spesso) anche in funzione di ciò che gli altri pensano di noi.
Il loro parere diventa importante per aiutarci a lanciare fuori dal nostro recinto la passione che coltiviamo. Per accogliere critiche e complimenti come strumenti indispensabili nella costruzione del nostro edificio, dei punti di fuga e delle prospettive che vogliamo sperimentare.
Più aumentano le prospettive più il nostro sguardo si fa ampio, grande, accogliente.
La mia insegnante di italiano delle scuole medie mi disse che sapevo scrivere bene ma che avrei potuto perdere quella dote di lì a pochi anni.
Non sono diventata scrittrice di best seller ma ho mantenuto le promesse: dicevo che sarei diventata una scrittrice e oggi l’attività che occupa la maggior parte del mio tempo è la scrittura.
La scrittura è un bagliore negli occhi
Scrivere rivela la voce del sé.
Non esiste un momento della vita nel quale potremo essere certi di aver raggiunto piena consapevolezza di noi stessi e degli altri.
Il punto d’arrivo è la strada.
Passeggiavo con un’amica giorni fa e con lei parlavo della luce negli occhi delle persone.
Ci abbracciavamo forte e ci guardavamo negli occhi come ci si guarda al termine di un lungo viaggio pieno di pericoli scampati o affrontati.
Quando guardi negli occhi una persona capisci cos’ha nel cuore, ma scoprirlo davvero non è facile. Serve empatia, ci vuole ascolto, ci vuole la sensibilità di andare oltre il luccichìo iniziale che spesso è solo un abbaglio. Ci vuole conoscenza e serve avere alle spalle altri mille volti e altri mille occhi.
Serve imparare a guardare la realtà per ciò che è, resistendo all’istinto di idealizzarla.

La scrittura, come gli occhi, rivela il pensiero e le intenzioni. È specchio delle crepe interiori che non esterniamo.
Le parole, come gli occhi, diventano lucide e vivide quando sanno colpire al cuore chi le guarda.
La scrittura è un dono quindi, un abbraccio di un amico caro che ci avvolge. La scrittura è il ricordo di chi non c’è più, è l’esplosione del cuore che ci sorprende quando scaviamo nel profondo di un abisso che nemmeno noi conosciamo bene.
Nella condivisione di questo dono elaboriamo pensieri, interpretiamo le vite degli altri condensandole nella nostra. E questo nella scrittura è indispensabile perché ognuno cerca se stesso nelle parole scritte dagli altri.
Cercare la propria storia sulle basse frequenze, nelle onde delle parole e nel loro battito
“Le mie parole diventano nelle tue mani forme nuove e colorate. Onde profonde mai ascoltate.”
Chi scrive decide di mettersi a nudo dando colore e ritmo a zone grigie nascoste. Chi scrive ha scelto di buttare la carta da parati mostrando chiazze, imperfezioni e incostanza.
Chi scrive mescola le parole tra le mani come fossero gli ingredienti di una torta: sta attento alle dosi, al sapore e al gusto che percepisce con le papille.
Assaggia prima di far provare la torta ad altri e cerca di anticipare le reazioni di chi la mangerà: la butta via se non è buona, la taglia a fette e la adagia su un piatto da portata se è pronta per essere assaporata dai commensali.
La scrittura, come una torta, è un atto di dolcezza e di attenzione verso chi riceverà fra le mani il prodotto delle nostre.
Scrivere è guardare lontano in un movimento che va oltre le dita agitate sulla tastiera, va oltre la mano sul foglio e va oltre i polsi che si muovono sinuosi nell’impasto.
Quel movimento esprime un moto che avviene a metà strada tra l’inconscio e gli ingranaggi della razionalità: là dove vale la pena cercare il non detto, là dove vale la pena rielaborarci, scoprirci. Là dove vale la pena capire ancora il senso di ogni parola e intuire dove ognuna di esse vuole condurci.
Scrivere è una strada in salita
Quando scrivi accade che ti ritrovi a perdere ore di sonno per cercare frasi e immagini perché la strada della scrittura ti porta a scavare e non ha orari. Sul percorso non trovi mappe né cartelli stradali e nessuno ti spiana la strada appianando i dislivelli e riempiendo le buche.
Scavare ti mette di fronte a ciò che sei. Senza troppi ancoraggi ti mette davanti all’inutilità di ciò che hai scritto, al rischio di non piacere o alla delusione di non piacerti.
Scrivere è camminare nelle scarpe del lettore
Finché non proviamo a metterci nei panni degli altri, non scriveremo mai nulla che riesca ad andare oltre noi. Finché non entreremo in empatia, non sapremo come utilizzare la nostra arte oratoria, i riferimenti letterari, le conoscenze che abbiamo accumulato. Non sapremo come usarli se non sapremo dar loro forma e scopo.
Ludovica De Luca, nel suo post Webwriting: quando un testo è indimenticabile [e come scriverlo], a proposito del lettore ha scritto: “mi fermo per un attimo e mi metto nei suoi panni: cosa vorrei sapere io al suo posto? In che modo vorrei che le mie esigenze fossero soddisfatte? Quali emozioni vorrei provare? Quali sogni vorrei vivere? Scrivere un buon testo per il Web è riuscire a mixare introspezione ed empatia, guardarsi dentro e specchiare in noi stessi l’altro.”
Scrivere è mettersi a nudo
Quando la penna era il principale strumento di scrittura, sulle nostra dita avevamo grossi calli.
Oggi i calli non si vedono perché siamo più avvezzi alla tastiera che alla penna. Ma loro ci sono ancora, si trovano sottopelle, nascosti. Tirarli fuori costa fatica tanto quanto crearli.
Sono simili alle rughe perché impieghiamo anni a crearceli e quando li abbiamo sono loro a parlare per noi. Parlano del tempo che è passato e dei solchi che abbiamo tracciato.

Sai, a volte, mentre ti scrivo, provo una strana sensazione, totalmente fisica, come se prima di poterti parlare fossi costretto a vedere le parole che mi abbandonano in una lunga fila per giungere fino a te, per consegnarsi nelle tue mani.
(David Grossman, Che tu sia per me il coltello)
Scrivere è gratitudine
Per cominciare a scavare dentro me, cerco spunti negli altri. Nel suo blog Nicoletta Cinotti ha parlato di gratitudine e scrittura.
Sottolinea l’importanza di essere grati e di esprimere la gratitudine in forma scritta.
Io sono una fanatica del decluttering: mi piace il vuoto nell’armadio e nelle stanze. Ogni stagione elimino qualcosa e cerco in tutti i modi di evitare accumuli. Eppure conservo ogni biglietto che mi è stato regalato. Ogni lettera. Ogni cosa in cui ci sia la calligrafia di chi me l’ha scritto. Quel tempo dedicato a scrivere mi sembra che renda tutto più prezioso. Così è come se il tempo della relazione si dilatasse.
Scrivere è riconoscere la bravura negli altri
Chi scrive bene merita di sentirsi dire “bravo!”
Perché la scrittura è gratitudine, scoperta, paura, ricerca, generosità, ricordo, confronto e suggestione.
Ma è mille cose ancora: è la radice di un albero che corre lungo l’asfalto e pulsa nelle viscere del terreno. In una terra che, in fondo, è la nostra stessa pelle.
La scrittura, come i pensieri, è un magma in divenire.
Ogni giorno rileggo e cambio ciò che ho scritto giorni fa, mesi fa, anni fa.
Non siamo mai gli stessi. Cambiamo e la scrittura cambia insieme a noi rivelando la velocità con cui cresciamo, capiamo, mutiamo.
“Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso” ha scritto David Grossman.
“Sarebbe bello poi un giorno, sfogliare le pagine dei tuoi libri, soprattutto di quelli che abbiamo in comune, veder sottolineate le tue emozioni, scoprire se combaciano con le mie.”
Amare la scrittura per farla maturare.
Maturare per far passare tempo tra una consapevolezza e l’altra.
Raccogliere i doni che la scrittura ci fa.
Ho impiegato mesi a scrivere questo post, convinta che ciò che volevo dire non fosse abbastanza emozionante, utile, vero.
Non volevo scrivere solo per riempire uno spazio vuoto.
Ma c’è una ragione se questo post ha richiesto più tempo del previsto: dovevo capire cos’è per me la scrittura, dovevo incontrare gli altri sul mio cammino. Soprattutto dovevo capire che la scrittura non è il termine di un processo di scoperta ma l’inizio.
I testi sono creature vive! Non smettono mai di pulsare, non smettono mai di mutare.
Alcuni testi vivi sono cresciuti dentro di me mentre scrivevo questo.
Nicoletta Cinotti mi ha svelato la bellezza delle pagine bianche:
A volte basterebbe scrivere un titolo. […] Scriverlo per lasciarlo andare. Scrivere per distillare l’essenza. E lasciarlo insieme al sonno. Per ricominciare nuovi il giorno dopo. Con una pagina bianca. […] Forse scrivo perché sono innamorata delle pagine bianche.
Riccardo Scandellari mi ha ricordato che il lavoro di cesello di questi mesi non è stato vano.
La scrittura è un collante. Se non ci fossero persone che scrivono, forse non esisterebbero questi felici giorni di scoperta.
Scrivere non è sempre divertente, ma potrebbe diventare un incubo se non hai intenzione di donare ai lettori qualcosa che li trasformi, li faccia ragionare e crescere. Scrivere è un’attività energetica con la quale doni la tua energia.
[…] Il Blog è il luogo in cui diventi una persona migliore. Crescere significa strutturare le proprie idee, esporle e rendersi disponibili alle critiche. Non esiste un posto migliore in cui verificare la bontà di una idea o di un pensiero.
(Attraverso i contenuti diventi una persona migliore)
Come una folgorazione, tra le tante pietre preziose trovate per caso in questi ultimi mesi, è arrivata, inaspettata, una pepita di Riccardo Falcinelli.
La scrittura, mentre la fai, produce pensiero. L’attività fisica di scrivere produce “le cose”.
Risale a pochi giorni fa un altro dono che la scrittura mi ha fatto.
Una bimba di 7 anni, figlia di una collega, ha scritto un racconto per partecipare a un concorso letterario che verte sul tema della luce e sul legame con il territorio.
Ho il letto il suo racconto e mi sono commossa. Quella giornata è cominciata con lo sguardo che un bambino ha sul mondo, uno sguardo che ti fa tirare quel profondo sospiro di autentica felicità che solo un abbraccio, un tramonto, un’alba o un testo sanno aprire.
Scrivere è uno slancio, un rimbalzo del cuore sul foglio, un tuffo al di là dei limiti, al di là delle righe e dei caratteri.
Dal foglio il cuore si getta altrove, si estende scagliato lontano da forze sconosciute. Arriva ovunque e può trovarsi in tanti luoghi contemporaneamente.
Il cuore, una volta posato e tramutato in parole, sopravvive a noi stessi, sopravvive al tempo per rivivere di nuovo in altri cuori continuando ad espandersi come un riverbero.
Chi vuole scrivere impari prima a leggere
Chi vuol suonare prima deve imparare ad ascoltare
Chi vuole ridere impari prima a piangere
Chi vuol capire prima deve riuscire a domandareChi vuole vincere impari prima a perdere
Chi vuol tenere prima deve sapere cosa lasciare
Chi vuole insistere impari prima a cedere
Chi vuole amare prima deve imparare a rinunciare
Laura Ressa
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Ciao Laura,
ti saluto con un’espressione che mi accompagna ogni volta in cui parlo di scrittura.
La scrittura è vita.
Grazie mille per la tua citazione e per l’approfondita riflessione.
Alla prossima,
Ludovica
🙂
Ciao Ludovica. Ti ringrazio per aver condiviso con me questo tuo pensiero sulla scrittura. In corso d’opera, mentre scrivevo questo post, il tuo articolo sul web writing mi ha fatto riflettere molto sugli sconvolgimenti e i mutamenti che la scrittura porta con sé. Avrà sempre sorprese da riservarci.
A presto.
Laura
Questa scrittura arriva al cuore!
Grazie Quentin! Sono davvero felice di questo e ti ringrazio, non a caso, con il cuore.