“Mangia ché devi essere mangiato” diceva nonna. Vivi ché non c’è nessun altro che possa vivere la tua vita al posto tuo – ho capito oggi parlando con Enrica Moccia, giovane studentessa del mio ex liceo che questa mattina mi ha invitata a partecipare ad un incontro a scuola dedicato al libro “Il partigiano ritrovato” di Pasquale Martino.

Il libro ricostruisce la vita di Giuseppe Zannini, classe 1917, bancario barese, antifascista cattolico catturato a Bologna, internato a Mauthausen e morto nel lager nazista. Zannini è stato studente del Liceo Scientifico Arcangelo Scacchi di Bari e il professor Pasquale Martino si è imbattuto casualmente nella documentazione riguardante la vita di Zannini quasi per un curioso effetto serendipity: Martino stava infatti conducendo ricerche presso l’Archivio di Stato a Bari ma le ricerche in questione riguardavano altre vicende storiche. Come sostengo spesso, le cose migliori a volte accadono per caso.

Enrica ha letto il libro ed è stata colta da quella vivace curiosità intellettuale che oggi dobbiamo sperare sia il motore delle generazioni che ricostruiranno il futuro dalle macerie di un presente che ci è stato consegnato in cattive condizioni.
Enrica è una giovane donna, risoluta ma dolce, determinata ma umile, caparbia e con lo sguardo accogliente di chi sa cosa vuol dire imparare senza sentirsi mai arrivati in nessun posto se non in un nuovo punto dal quale ripartire.
Quando mi sono complimentata con lei per il suo intervento sul tema della Liberazione e su Giuseppe Zannini, mi ha ringraziato per la mia presenza e lo ha fatto altre mille volte. Non ho contato quante volte mi ha ringraziato, ma l’impressione che ho avuto è che il suo abbraccio, il suo sguardo e il suo porgersi verso gli altri abbassando il busto quasi a volersi scusare della sua curiosità, sia destabilizzante.
Destabilizzante perché oggi, Enrica in primis e poi il gruppo di studenti che era lì ad ascoltarla, mi hanno dato una lezione importante. Una lezione che difficilmente riusciamo a cogliere, presi da una società che ci vuole stampati in serie omologate. Se sei omologato non chiedi di sapere, non vuoi migliorare, non ambisci ad altro se non a quello che ti capita sotto gli occhi e dunque se resti omologato fai il gioco di chi non vuole che tu riesca a pensante.

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Giovani studenti riuniti nella biblioteca della scuola per ascoltare i docenti e le parole di una loro coetanea, basta questo per capire che non è vero, come ci insegnano da adolescenti, che il giovane curioso è un secchione. Il giovane curioso è un modello da seguire, ha qualcosa da dire, ha una visione del mondo spesso libera da preconcetti “adulti”, guarda in avanti, non si ferma, scopre, crea, immagina, realizza, il più delle volte mostra il vero significato della parola “impegno” a chi ha già mollato ogni remo in barca e si fa trascinare dalla vita come un padrone stanco si fa trascinare dal guinzaglio del suo cane che corre avanti veloce.
Gli occhi di Enrica e di Marco, che oggi era con lei a sostenerla prima e dopo la presentazione del libro, sono occhi grandi, e non è solo una metafora. Penso che i loro occhi siano così grandi perché hanno una sete incontentabile di contenere cose nuove, immagini e parole che li riempiano di consapevolezza. Sono occhi desiderosi di ricolmarsi di tutto ciò che la vita ha da riservare.

Facendo un passo indietro nel racconto dei due giorni appena trascorsi, ammetto di essere stata colta di sorpresa da un messaggio di Enrica che mi ha invitata ad ascoltare una conversazione a scuola sulla Liberazione in occasione della commemorazione del 25 Aprile. Ha specificato che mi avrebbe citata durante il suo discorso e, benché io non possa negare di essermi sentita onorata, con questa spinta in più sono stata ancora più decisa a partecipare perché sono sempre più rare le persone che sanno cogliere le parole degli altri e che le citano nominando anche la fonte.

Sembra controintuitivo forse, ma davvero è difficile ragionare in termini di ascolto e di attenzione a ciò che gli altri scrivono o dicono. Siamo così presi dalla competizione e da noi stessi da cadere spesso nell’annoso inganno, in quel tranello secolare che ci fa credere che le nostre idee e parole siano migliori di quelle degli altri. Chiniamo l’ego al massimo dinanzi alle parole di qualche scrittore illustre o di qualche guru del nostro settore perché facciamo una gran fatica ad accettare quanto di bello e migliore ci possa essere fuori da noi. Non lo facciamo perché questo significherebbe sentirsi sconfitti, ma credo che ogni persona che abbia qualcosa da dire possa arricchirci in maniera illimitata.

Il testo integrale di cui Enrica ha deciso di citare alcuni passaggi durante il suo discorso è questo:

“La libertà non è nella nostra natura. Raramente ne capiamo il senso, spesso ne calpestiamo l’utilità. La libertà è una parola vasta, ma spesso si ferma alle lettere che la compongono o alle cose che ci scriviamo su. Basta ogni tanto ricordarsi che c’è e che a volte possiamo usarla come cipria sul volto in un discorso qualsiasi.
Libertà è tutto quello che non ci fa schiavi. Libertà delle nostre idee, libertà delle nostre scelte, libertà dalle persone, libertà dai giudizi nostri sugli altri e dai giudizi degli altri su di noi. Libertà, spesso confusa con aderenza alle circostanze, spesso allineata al “mi faccio andar bene tutto” perché in fondo mi sento libero.
Libertà è scelta, libertà è poter dire “questo mi va bene, questo no”, ma io credo che nessuno di noi alla fine sia realmente libero di scegliere ogni cosa. Siamo solo relativamente liberi. Liberi in relazione a qualcosa: al luogo in cui andare in vacanza, alla scelta di un vestito o di un’auto. La libertà in senso assoluto non ci appartiene perché il confronto sociale non ci concede di essere liberi e di seguire la nostra essenza. Inoltre i discorsi sulla libertà ci fanno venire pure qualche sbadiglio e oggi la libertà non ha nemmeno il senso di una conquista collettiva o politica, dacché conoscere la storia è troppo oneroso e siamo portati a pensare che lottare, soprattutto per la libertà altrui, sia quanto di più inutile si possa fare.” 

Ho scritto questo post su Facebook, ben consapevole che Facebook non è un luogo preposto al ragionamento e alla scrittura. Lo interpreto come il luogo degli affari privati esposti in pubblico, delle vacanze o al massimo delle tavolate. Il luogo per eccellenza dell’esposizione, quella stessa esposizione che fa sentire tante persone protette dalla insoddisfazione e insicurezza che provano nella propria vita. Al termine di quel post ho volutamente ridotto il mio discorso sulla libertà virando sul cinismo, convinta che una riflessione lì dentro non avesse ragione di esistere.

Nonostante il mio cinismo, Enrica ha però colto il bello di quello che stavo pensando nel momento in cui ho scritto il post. Lei ha aggiunto una direzione nuova alle mie parole, le ha elaborate, le ha maneggiate e ha proposto come soluzione per il futuro, al termine del suo intervento, il pragmatismo e una indomabile speranza che, nonostante tutto, campeggia sempre nei suo grandi occhi chiari e curiosi.

Al termine dell’incontro il preside del liceo ha scoperto la targa realizzata in ricordo di Giuseppe Zannini, un ricordo che deve accompagnarci sempre perché è la storia la nostra prima maestra. La storia ci dirà sempre la verità, a patto che ci trovi disposti ad ascoltare la sua vera voce.

Al termine dell’incontro sono rimasta nel corridoio, sotto quella targa, a lungo. Sono rimasta a lungo in compagnia di Enrica e dei suoi racconti. Racconti di vita e di quotidiane lotte, racconti in cui ho rivisto la me adolescente che piangeva nei giorni in cui pensava che non avrebbe spiccato mai il volo, in lacrime mentre faticava a immaginare come si sarebbe liberata dai suoi demoni e delle sue catene.
Il percorso di ognuno è un viaggio avvincente e in tanti punti il nostro viaggio è simile a quello delle persone che incontriamo. Qualcuno ha avuto più chance, qualcuno le ha dovute attendere a lungo, qualcuno ha creduto di essere sfortunato pur nella fortuna, qualcuno ha creduto di avere mille opportunità anche quando non aveva nemmeno una mano pronta a sostenerlo.

La vita di ognuno è un attraversamento, un transito. Farsi le spalle larghe navigando in acque agitate, vivere di quel che ci fa sentire appagati e con uno scopo, vivere per dare un senso a ogni parola e a ogni meta raggiunta. Vivere per dare senso anche alle mete su cui non abbiamo ancora issato la nostra bandiera, poiché anche da quelle riceviamo una grande lezione: capiamo quali passi fare per arrivarci in seguito o per imparare a non arrivarci e a proseguire lo stesso.

Nel tempo trascorso insieme, queste giovani menti mi hanno ridonato una speranza a volte sopita dal cinismo. Così ho scoperto che le loro parole sono enormi frecce scagliate dall’arco e arrivano nette mentre parlano di Resistenza, di storia, di passato da cui imparare, di concretezza con la quale vivere. Enrica durante il suo discorso ha detto che non esistono parole che contano se non quelle che si traducono in pragmatismo, azione, impegno. Non possiamo, in effetti, parlare di libertà se siamo i primi a non applicarla alle nostre scelte e se tendiamo a conformarci a una linea politica, a un credo, a un modo di vivere e di fare verso il quale siamo stati indotti.

Dobbiamo avere il coraggio di essere liberi perché il futuro ci pone domande e stavolta ci chiede di rimediare per migliorare la qualità della nostra vita.

Enrica ed io ci siamo fermate al centro del corridoio della mia scuola, che tante volte ho attraversato con lo zaino pesante. Siamo rimaste lì nel mezzo a parlare anche mentre intorno a noi si accalcavano orde di studenti che correvano verso l’uscita al suono della campanella.

Enrica in questi ultimi mesi, prima con l’intervista alla redazione di Skakkinostri e ora con il suo intervento in ricordo di Giuseppe Zannini, mi ha donato più di quello che certamente pensa. Aprendomi una porta anche sulle sue insicurezze e paure, ha riposto fiducia in me: un regalo speciale da non disattendere.
I suoi occhi grandi, curiosi, determinati, spaventati, attenti sono stati una spettacolare sferzata al mio cinismo, o a quel poco che talvolta ancora resta nei miei discorsi quando penso che sia inutile ormai scriverne.

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Photo by Daniel Tafjord on Unsplash

Ha usato una bellissima espressione: “crollare a pezzi e cercare poi di ricomporli, di prendere tra le mani quel cumulo di cenere che resta di te e farne di nuovo una persona”.
Non c’è niente di più bello che ascoltare giovani menti speciali come la sua. Non ci sono parole più grandi, potenti, dense delle parole di una giovane donna che si affaccia alla vita con fiducia, con speranza invincibile, con curiosità, con la voglia di indipendenza e concretezza, con la voglia di dare il massimo che può anche a costo di sbagliare tutto e dover ricominciare daccapo.

Non ci sono parole più grandi di quelle di chi sa ascoltare, pensare bene, mantenere spalancati occhi e mente, abbracciarti come se avessi fatto tu il dono più grande e invece è lei ad averti donato con generosità una bellissima fetta del suo mondo.

Non sbaglia la canzone quando dice “la storia siamo noi”, perché noi siamo in ogni passo che facciamo fuori dall’appiattimento mentale. Siamo la libertà di scegliere cosa essere, soprattutto quando si è adolescenti e si teme il giudizio spietato dei coetanei, soprattutto quando si è adulti e si teme il giudizio di chi, dormendo, conta le pecore seguendo il proprio gregge.

Un abbraccio e grazie ad Enrica e a Marco per questa mattinata.
L’augurio per loro e per i giovani come loro è sempre lo stesso: continuate il cammino intrapreso, ché il mondo vi aspetta! 

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Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti