
Si chiama Una Storia Semplice ed è il film di Goffredo d’Onofrio e Giuseppe Garau sulla favola sportiva e umana di Anna Rita Sidoti.
Donna, moglie, mamma, amica, atleta, campionessa di marcia che ha raggiunto le più alte vette del mondo muovendo i suoi piccoli passi da un paesino della Sicilia.
Anna Rita ha rappresentato la perseveranza nello sport ma anche nella battaglia più grande: quella per la vita.
Ho chiesto a Giuseppe e Goffredo cosa li abbia spinti ad incrociare la propria vita con quella di Anna Rita Sidoti.
Il confronto è stato sorprendente e disarmante, come Anna Rita.
Il vostro film racconta la storia di un’atleta. Che tipo di rapporto avete voi con lo sport?
Giuseppe:
Ho praticato diversi sport da ragazzo ma credo mi sia sempre mancata la costanza e la determinazione per portarli avanti negli anni con continuità.
Goffredo:
Ho un rapporto molto stretto con lo sport, sia dal punto di vista professionale che personale. Una passione professionale nasce sempre da un semino personale ed è per questo che mi sono spesso occupato di sport anche per lavoro. Mi è sempre piaciuto e ora cerco di praticarlo in maniera amatoriale.
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Durante un’intervista avete detto di esservi avvicinati alla storia di Anna Rita Sidoti dopo l’incontro con suo marito. Conoscevate già il suo passato agonistico?
Goffredo:
Conoscevamo già Anna Rita come atleta e sapevamo che era scomparsa di recente.
Quello che ha fatto scattare la voglia di raccontare la sua storia in un documentario è stato l’incontro, avvenuto qualche anno fa, tra Giuseppe Garau e Pietro Strino (marito di Anna Rita) a Macerata.
Giuseppe si trovava all’Overtime, festival dedicato al racconto e all’etica sportiva, per presentare un suo lavoro e in quell’occasione ha assistito ad un incontro in memoria di Anna durante il quale ha conosciuto Pietro, raccogliendo subito il suo invito a raccontare la storia di questa grande atleta.
Pietro si è rivelato per noi essenziale, un ponte tra Anna Rita sportiva e Anna Rita donna. Nel film abbiamo cercato di restituire la sua tridimensionalità: non solo atleta ma donna di grandi valori, simbolo di abnegazione e sacrificio affrontati sempre con il sorriso.
Una storia semplice si sviluppa in un intreccio di interviste.
Perché avete costruito il documentario in quel modo?
Giuseppe:
È stata una precisa scelta formale che abbiamo stabilito prima di iniziare le riprese. Sapevamo da subito che sarebbe stato un film di talking heads perché ci sembrava il modo più efficace per lasciare spazio al racconto senza aggiungere elementi che potevano solo togliere spazio ad Anna Rita.
Una scelta minimale, semplice appunto, come il titolo.
Goffredo:
Abbiamo cercato di mettere lo spettatore davanti alla possibilità di immaginare.
Il nostro è un racconto in cui devi essere concentrato per capire ciò che hai di fronte: devi ascoltare le parole, ascoltare la musica, guardare le foto ma devi anche immaginare.
Secondo noi lo spettatore deve farsi prendere dal racconto, deve immaginare com’era quella Sicilia negli anni ’90 e che cosa volesse dire essere una donna che faceva marcia e si allenava su una statale con i camion che le passavano accanto.
Lo spettatore va rispettato, deve uscire dalla sala quanto più possibile emozionato e coinvolto.
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Quale effetto volevate ottenere raccontando Anna attraverso le parole di altre persone?
Giuseppe:
L’obiettivo era quello di rappresentare la vita di Anna Rita e ci è sembrata la scelta più corretta quella di farlo attraverso le voci di chi la conosceva bene, facendoci da parte e lasciando a loro il compito.
Quello che non potevamo aspettarci era che tutti pensassero di lei le stesse identiche cose. Per questo il montaggio si è creato da solo.
Avevamo costruito i binari, ma dove il treno ci ha portati non era prevedibile.
La storia di Anna Rita ci ha stupiti continuamente nel corso dei mesi di interviste e se siamo riusciti a restituire al pubblico anche solo una parte della nostra meraviglia possiamo ritenerci soddisfatti.
Goffredo:
Abbiamo fatto una selezione di scene per costruire il film ma ti assicuro che alcune parti del girato sono pazzesche perché sembrano far parte di un copione.
Questa è la vera forza di Anna Rita: lei era così e le persone che l’hanno conosciuta, da una parte all’altra del mondo, dicono tutti le stesse cose di lei. Questo vuol dire che lei era autentica.
La fase di montaggio e scrematura è stata relativamente semplice perché le frasi si rimpallavano in maniera sconvolgente.
Alcuni degli intervistati, ad esempio, hanno voluto approfondire molto il periodo della malattia, altri invece non ce l’hanno fatta e in quel caso abbiamo deciso di spegnere la telecamera.
Credo sia un segno di rispetto spegnere tutto quando le emozioni private diventano troppo forti e troppo intime per essere mostrate sullo schermo.
Quello che ho apprezzato molto del vostro lavoro è stata la delicatezza con cui avete affrontato il tema della malattia e della vita privata di Anna Rita.
Ho ammirato la scelta di non mostrare foto in cui compaiono i suoi figli, ad esempio.
Forse sarebbe stato più d’impatto puntare su contenuti invasivi ma mi piace quando un film riesce a toccare le corde delle emozioni usando le carezze anziché i pugni allo stomaco.
Si è trattato di una precisa volontà?
Giuseppe:
Inserire le foto dei figli in questo film non è mai stata un’opzione per noi.
Sono ancora piccoli e non hanno tutti gli strumenti per poter scegliere di comparire o no.
Ci è sembrato giusto dedicare a loro il film con una scritta, un piccolo omaggio finale, ma senza farli apparire.
Goffredo:
Grazie di cuore, questo è il complimento più bello. La nostra è stata una scelta etica e mi emoziona sapere che questo messaggio sia arrivato.
Quando si racconta una storia, si entra inevitabilmente a gamba tesa nelle vite degli altri e i sentimenti vanno maneggiati con cura. Se usi il pietismo non racconti nulla.
Il pubblico ha capito che Anna ha dovuto lottare per anni contro un tumore e non c’è bisogno di farlo vedere sullo schermo.
Il cinema è straordinario proprio perché ti mette di fronte al tuo inconscio e ti lascia immaginare.
Avremmo potuto inserire, sul finale, una foto gigante di lei con la parrucca o l’ultima foto con i figli, ma probabilmente la gente avrebbe ricordato solo quella.
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Il tema della fatica per gli atleti agonisti è molto importante e voi lo avete affrontato in maniera implicita.
Perché avete deciso di far percepire la fatica in maniera indiretta senza menzionare, ad esempio, le tabelle di allenamento?
Giuseppe:
Le interviste sono state meno tecniche di quello che pensavamo, probabilmente è una conseguenza del carico emotivo degli intervistati.
Per noi comunque si è sempre trattato di raccontare più la donna che l’atleta, cercando di universalizzare il più possibile.
Goffredo:
Anche la fatica è un aspetto che abbiamo voluto far immaginare allo spettatore, ma nel film ci sono foto e video in cui emerge tantissimo il gesto atletico.
Dietro al gesto atletico si può ovviamente immaginare l’abnegazione di mesi e mesi di allenamenti e preparazione.
La fatica si intuisce anche dallo sforzo psicologico che Anna ha dovuto affrontare prima di vincere ad Atene o dal video nel quale si notano le smorfie di sforzo e dolore delle atlete che gareggiavano con lei.
Si comprende la fatica anche in alcuni scatti che ritraggono Anna Rita durante gli allenamenti: da quelle foto lo spettatore può immaginarla mentre si allena sulla statale con 40 gradi.
La nostra è stata una scelta ma non dico che noi abbiamo fatto bene e gli altri fanno male. Ho profondo rispetto del lavoro di altri registi e autori, è una questione di gusti.
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Quale aspetto della vita di Anna Rita vi ha emozionato di più nella costruzione del racconto?
Giuseppe:
La sua straordinaria determinazione. Ti fa capire che qualsiasi cosa tu voglia fare della tua vita dipende da te.
Sarebbe solo retorica se lei non l’avesse concretizzato in maniera spettacolare.
Per me è stata un’immensa fonte di ispirazione.
Goffredo:
Scoprire la storia di Anna Rita ha segnato questo periodo della mia vita in maniera indelebile.
Non era facile per lei essere una donna meridionale che faceva marcia in quegli anni, come non è facile essere donna ancora oggi. E lo dico con molta amarezza, perché tuttora non è facile per una persona fare ciò che ha fatto lei, a maggior ragione se sei donna.
Personalmente ho provato una sorta di identificazione con lei, ho creduto così tanto in questo progetto e lei mi ha dato la forza di portarlo avanti.
Tra cinquantanni (spero) ripenserò a questo periodo della vita e lo assocerò ad uno scricciolo che mi ha dato un importantissimo insegnamento professionale e di vita: se fai le cose che ami col sorriso sulle labbra, la gente lo riconosce.
E Anna Rita è stata amata ed è amata proprio perché è riuscita a vincere restando una bella persona.
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Che significato date alle parole semplice e straordinario? Quanto di semplice e straordinario c’è in Anna Rita?
Giuseppe:
Più si cerca di realizzare imprese straordinarie, più ci si allontana dai risultati che si vorrebbero ottenere. Anna Rita metteva un piede davanti all’altro pensando solo al passo successivo. Forse il segreto è proprio questo.
È emozionante sapere di avere stimolato delle riflessioni col nostro lavoro.
Goffredo:
La vita di Anna è semplice perché lei è stata mamma, amica e atleta con estrema coerenza emotiva figlia di una semplicità in essere.
È semplice anche perché le persone che l’hanno conosciuta non l’hanno mai descritta in modo negativo e questo succede solo se con gli altri si ha un rapporto di pariteticità.
Essere se stessi sembra complicato ma non lo è, in realtà non devi fare niente.
La straordinarietà sta nel fatto che la sua vita è una incredibile storia di genere e purtroppo devo dire che il nostro paese ha un problema con i racconti di genere.
Attraverso storie di questo tipo si potrebbe dare un segnale forte alle generazioni.
Il nostro intento è quello di portare la vita e la carriera sportiva di Anna nelle scuole perché possa essere un seme, un punto da cui ripartire.
La sconfitta non è definitiva fino a quando non ti arrendi
(Anna Rita Sidoti)
Alcune persone riescono a rivivere nei passi degli altri, nelle parole, nelle immagini, e lo fanno con una tale potenza che non può essere solo merito di chi ha pensato a quelle parole e a quelle immagini.
Dietro c’è la loro vita, c’è la forza di resistere al tempo e il ricordo.
Il mio grazie sincero va a Giuseppe e Goffredo, due professionisti disponibili, merce assai rara, che hanno aperto uno scrigno meraviglioso e lo hanno fatto con cura, attenzione, dedizione, rispetto e umanità.————-
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Laura Ressa
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Le foto inserite in questo articolo ritraggono Anna Rita Sidoti e sono state gentilmente fornite da Giuseppe Garau e Goffredo d’Onofrio.