
Un giorno, chissà per quale ragione, ho cominciato a tracciare liberamente delle linee marroni su un foglio. Tenendo in mano il pennarello, la mia mente vagava segnando dei solchi scuri sul candore della pagina.
Quelle linee si sono presto diramate e hanno accolto colori diversi dal marrone: prima il verde, dopo il celeste e infine il rosa.
Ciò che stavo disegnando era un albero, ed è singolare il fatto che io abbia scritto “radici” in alto perché le radici di una pianta, come ben sappiamo, si trovano in basso ma in questa lettura, nuova anche per me, le radici hanno assunto un significato diverso da quello consueto.
Il disegno ti porta lontano, ti fa esplorare l’ignoto. Ed è per questo che è sempre così affascinante prendere in mano una matita o un pennarello e cominciare a vagabondare in una dimensione tra il sogno e il reale.
La parte finale del mio disegno chiarisce meglio il mio concetto di radici in alto e radici in basso, che diventano infatti “catene” e appaiono come fitte diramazioni sottotraccia che si estendono un po’ dritte e un po’ curve al di sotto della linea del terreno.
E per voi cosa sono le radici? 💡
La domanda sembra facile, la risposta non è scontata.
«Quanto delle nostre radici viene dai libri che abbiamo letti? Tutto, molto, poco e niente: a seconda dell’ambiente in cui siamo nati, della temperatura del nostro sangue, del labirinto che la sorte ci ha assegnato» (Primo Levi)

Labirinto è la parola da cui vorrei partire per raccontarvi che le radici possono diventare catene (e viceversa).
Quando immaginiamo le radici, d’istinto il primo pensiero va alle nostre origini, alla famiglia in cui siamo nati ma anche al paese natio e ai luoghi del cuore, quelli dove è sempre bello tornare o dove un filo di nostalgia ci lega al tempo andato.
La radice è ciò che ci tiene agganciati a terra, l’elemento naturale che parte da noi e si unisce al centro dei nostri natali. Le radici sono le parole di nostra madre, il profumo di un fiore o di un dolce, l’odore di una coperta o di un peluche, le note di una nenia a cui siamo indissolubilmente legati.
Le radici costituiscono il patrimonio genetico di partenza, il dizionario di affetti di cui è già ricolmo il nostro cuore, il primo vagito urlato al mondo, il set di base con cui nasciamo, il corredo per la vita. Le radici sono il ventre della terra e aiutano le piante a crescere, a estendersi, ad arrivare lontano, a percorrere chilometri di terreno sottopelle.
E allora perché pensare alle radici come catene? E perché disegnarle come se fossero in alto dove si trovano di solito i rami dell’albero?
Tra la tensione dell’andare e quella del restare legati al cordone ombelicale, siamo spesso indecisi, tirati da una parte e dall’altra, dalla voglia di volare come uccellini posati sui rami alla voglia di estenderci lungo le nostre stesse radici, nascosti al di sotto della superficie. Lontano dai pericoli, almeno in apparenza.
Le radici stanno in alto quando delimitano quello che siamo e che siamo diventati grazie all’arbusto da cui siamo partiti. Ma le radici sono anche catene che ci impediscono di muoverci, come accade per gli alberi che restano immobili, ancorati alle proprie radici, destinati a percorrere lo spazio e il tempo in sordina nei meandri del sottosuolo.
E noi quando recidiamo le nostre catene?
Lo facciamo quando abbiamo il coraggio di scoperchiare il muro di terra che ci separa dai rami, quando tranciamo le catene e lasciamo che le radici diventino splendidi arbusti pieni di luce.
Quindi le radici devono stare in alto, non dobbiamo nasconderle. E le catene in basso, pronte a farci sprofondare o ad essere sganciate per non permetter loro di farci andare troppo giù.
Arriva un punto però in cui rami, catene e radici diventano la stessa cosa in noi. Occupano contemporaneamente tutti gli spazi: sono in alto, in basso, al lato. A quel punto è difficile distinguerli, perché possiamo scambiare le catene per radici, le radici per catene, le catene per rami di illusoria libertà, i rami per radici atipiche.
Ed è a quel punto che il nostro groviglio di rami, catene e radici diventa una cosa sola, una forma sola, un unico intreccio di vita in cui scorre la linfa.
Dovremo imparare ad accettare, dovremo imparare a convivere con le nostre radici così come con le nostre catene. Dovremo accettare di non riuscire un giorno più a distinguerle. E sarà giusto così.
Laura Ressa
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Copertina: Foto di Joey Kyber da Pexels