La professionalità è una brezza leggera che emerge nei fatti. Solitamente chi la possiede la dimostra anche nelle interazioni uno a uno rispettando il lavoro e le competenze di tutti.
Ho scoperto queste cose entrando in contatto con varie persone e individuando le caratteristiche umane imprescindibili che per me rendono una persona un professionista.
Ho avuto il piacere di intervistare Dionisio Ciccarese, giornalista e attualmente Direttore di EPolis Bari, e ho compreso il valore di gentilezza, rispetto e professionalità.

Per tutte le altre considerazioni che ci siamo scambiati, rimando alla lettura dell’intervista. 

1) In quale circostanza ha compreso che la carriera giornalistica avrebbe segnato il Suo futuro professionale? 

Dionisio_Ciccarese
Dionisio Ciccarese

< Un’intervista. Una radio locale mi intervistò perché avevo vinto una medaglia di bronzo a un campionato italiano di lotta greco-romana. Fu un colpo di fulmine con lo studio, il microfono e il mondo dell’informazione. >

 

 

 

2) Quali novità ha riscontrato nel giornalismo digitale formato smartphone? Quanto secondo Lei la trasmissione dell’informazione dipende dagli strumenti e quanto dal modo di utilizzarli o, peggio, dalla strumentalizzazione della realtà?

< Le novità riguardano l’istantaneità, la distribuzione, la possibilità di “ingaggiare” una relazione con il Lettore. Non si tratta di elementi di poco conto e sono tutti in una relazione indissolubile con la tecnologia digitale. La “trasmissione” dell’informazione è sensibilmente condizionata dalla tecnologia.

In realtà la tecnologia, da Gutenberg a oggi, ha sempre condizionato trasmissione, distribuzione, fruizione. Tuttavia, il rischio è quello di confondere lo strumento con il contenuto. Perché se da un lato il mezzo e il canale hanno ampliato e facilitato l’accessibilità della domanda (e della produzione) di informazione (che risponde a caratteri tecnici), dall’altro questo non può essere confuso con il contenuto (che risponde a criteri professionali, etici, morali e deontologici). Per dirla in termini più chiari: velocità e facilità della produzione di contenuti non hanno nulla a che fare con la qualità giornalistica. Il rischio di strumentalizzazione c’è sempre stato, ma oggi è cresciuto in modo esponenziale perché chiunque produce informazione in un “sistema informativo” che assomiglia sempre più a una giungla.

La strumentalizzazione non è l’unico rischio. L’altro, di enorme portata, è l’imperizia. Il giornalismo, oggi più di ieri, richiede responsabilità e competenze, proprio perché una notizia può essere replicata, diffusa e distorta con facilità. La “viralità” è stata salutata come un grande strumento “democratico”, ma in realtà ha più di un aspetto preoccupante. >

 

3) Il giornalista scandaglia i fatti o deve impegnarsi per dar loro una forma tale da non suggerire né ciò che è giusto, né ciò che è sbagliato, né una presunta verità universale?

< Cercare i fatti, verificarli, descriverli con aderenza alla realtà e in modo indipendente: il giornalista deve avere competenze capaci di alimentare il giusto senso critico e la giusta “distanza” dalle fonti.

Troppo spesso emergono le frustrazioni di chi avrebbe voluto fare l’investigatore, il magistrato, il politico. Noi siamo giornalisti. Siamo dalla parte dei fatti e al servizio delle persone e del territorio. Svendere il nostro ruolo per un’anteprima che giustifica e modella la “verità” confezionata da altri è un penoso avvilimento purtroppo assai diffuso.

Facciamo un altro mestiere, un mestiere meraviglioso, ma l’onestà intellettuale è un elemento imprescindibile. Pensare di somministrare notizie confezionate ad arte per orientare chi ci segue è una grave lesione del patto con il Lettore, è un autentico tradimento del mestiere di giornalista. >

 

4) Nel mio immaginario il giornalista è uno scrittore critico e affascinato dalle pecche e dai pregi del proprio tempo. Un professionista che vive pienamente una missione: raccontare il mondo affinché i suoi occhi consentano di vedere dove non tutti possono vedere. Penso al giornalista come a colui che legge i classici della letteratura a un anziano signore ormai cieco, come al professore stimato che non vuole insegnare a vivere ma vuole fornire gli strumenti per capire i fatti e collegarli tra di loro.
Una visione troppo romanzata? Forse sì, eppure per me il giornalismo ha ancora il fascino di un sogno e questa immagine è probabilmente anche frutto dei libri e dei film che raccontano questo mestiere.
Per Lei cosa significa essere giornalista? Crede che esista ancora una deontologia forte in una professione a volte calpestata dalle esigenze editoriali delle singole testate? 

< La Sua visione romantica del mestiere è una parte significativa dell’attività del giornalista. Ma non è l’unica.

Il giornalismo ha scoperchiato e scoperchia vicende, situazioni, patti scellerati che qualcuno vorrebbe nascosti, ma, come ho già detto, il giornalismo è “servizio”.

Una società correttamente informata è una società libera, capace di fare le sue scelte, indipendente dai giochi di un potere che genera gli slogan che puntano a soddisfare la pancia della società. Inoltre, l’accessibilità alla produzione dei contenuti ha generato un’inflazione della professione.

Di quale giornalismo parliamo? In Italia si alimenta l’equivoco tra pubblicisti e professionisti. Ci si può iscrivere all’Ordine e presentarsi come giornalista grazie a una manciata di articoli senza aver mai frequentato una scuola o una Redazione.
Vedo compiere ingenuità clamorose da chi discetta di giornalismo non avendo alcuna idea di quello di cui parla o scrive.

E di quali e quanti giornalismi parliamo? Se penso agli “inviati di guerra” penso a un giornalismo davanti al quale mi tolgo il cappello, a uomini e donne che hanno perso la vita per raccontare la verità e la brutalità dell’uso delle armi, spesso contro popolazioni inermi. Che ha a che fare questo con chi sotto mentite spoglie fa da addetto stampa al politico o al magistrato per fornire una versione distorta dei fatti? Con chi fa del “copia e incolla” senza comprendere cosa stia in realtà facendo?

La deontologia esiste e prima ancora di tirare in ballo le pressioni degli editori penso che debba entrare in ballo la coscienza di ognuno tra noi. La censura è terribile, ma l’autocensura è il tradimento del giornalismo. Così come lo è compiacere il “potente” di turno. No, non è vero che siamo tutti giornalisti e questo va detto con chiarezza. >

 

5) Chi scrive fuori dal coro deve lottare molto per farsi strada? Quando è necessario lottare e a quale prezzo bisogna farlo?

< Se uno scrive fuori dal coro non per partito preso, ma con cognizione di causa, sta semplicemente onorando il mestiere che ha scelto di fare. Certo, ha una strada in salita e il prezzo da pagare è quasi sempre l’isolamento. Ma il premio è nell’essere considerato affidabile e indipendente da chi ti segue. E vale più il premio del prezzo.

Per questo dico spesso ai miei colleghi più giovani che esistono i giornalisti e gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Solo apparentemente sono la stessa cosa. >

 

6) Il giornalismo in Puglia ha sfaccettature che Lei certamente conosce molto da vicino. È possibile parlare dei problemi della città attraverso un giornalismo che non sia solo marketta e fumo negli occhi ma che si promuova come strumento educativo e edificante per la comunità?

< Certo che è possibile farlo e ci sono tanti colleghi che lo fanno con onestà materiale e intellettuale. Solo che non è facile “riconoscerli” e questo è un problema che riguarda il pubblico dei Lettori.

Vedo compiere manipolazioni, danni alle reputazioni delle persone e delle imprese, proprio da chi viene percepito da una parte dei Lettori come alfiere della libertà di stampa. Purtroppo è un fenomeno assai diffuso: confondere l’urlo con la denuncia, la disinvoltura con il coraggio.

Quanto alla seconda parte della sua domanda preferisco mantenere un profilo basso che parte dalla consapevolezza che ci tocca il compito di informare con correttezza e in modo indipendente. Le agenzie educative sono altre. Non abbiamo gli strumenti e le competenze per “educare”. A ognuno il suo. >
7) Scrivere per riempire la pagina o scrivere per donare agli altri anche una parte di sé? Cosa è più giusto fare e quale compromesso esiste fra le due scelte?
Da un po’ di tempo faccio fatica a trovare articoli appassionati, forse perché anch’io divoro l’informazione digitale più del dovuto.
Tutti sanno scrivere resoconti, temi ben confezionati da pubblicare secondo le richieste del committente. In Lei invece ho visto – mi lasci passare il termine – le viscere di questo mestiere. Credo che in pochi sappiano entrare nella notizia donando a chi legge conoscenza, rispetto, attenzione e, a volte, anche emozione. Qual è il guizzo, la scintilla che distingue un giornalista dotato da un semplice compilatore di testi?

< Se è vero che ho sempre voluto fare il giornalista è anche vero che la fortuna è stata dalla mia parte e lo è stata ancora più quando ero molto giovane.

La mia generazione aveva molte più opportunità di fare un mestiere che gli consentisse di vivere e di mantenere una famiglia. Il giornalismo ha guadagnato in tecnologia e perso in valore e potere contrattuale.

Sono stato fortunato due volte perché sulla mia strada ho anche incontrato alcuni Giornalisti in grado ancora di insegnarmi il mestiere. Tra loro autentici fuoriclasse che avrebbero avuto ben altra risonanza se fossero stati in giornali del Nord. Oggi le Redazioni si svuotano e le Scuole sono rimaste l’ultimo ambiente in cui insegnare un mestiere che molti credono di poter fare per “scienza infusa” e del quale, purtroppo, non sanno nulla.

Il nostro è un mestiere in cui ogni giorno si impara qualcosa se si ha l’approccio giusto e l’approccio giusto è l’orientamento a capire prima di scrivere. Quando si hanno piena conoscenza e piena coscienza è possibile che scocchi la scintilla. Certo, è un approccio problematico perché è capovolto rispetto ai luoghi comuni del mestiere: scrivere è il penultimo dei problemi per un giornalista.

Il primo riguarda l’analisi e la raccolta dei dati, il secondo è il progetto di scrittura per risultare davvero chiaro, il terzo è scrivere. Il quarto, fondamentale, è controllare di essere stato efficace e comprensibile. Per questo ho conservato l’abitudine dei miei maestri: far leggere un pezzo prima di pubblicarlo a colleghi o amici affidabili in grado di farti critiche o di darti suggerimenti. >

 

8) Alla Sua professione giornalistica unisce quella di docente di Marketing editoriale, Web Journalism e Media Relations Online per il Master in Giornalismo dell’Università di Bari.
Che futuro vedono i Suoi studenti nella carriera giornalistica? Qual è il messaggio più importante che cerca di lasciare ai ragazzi una volta terminato il percorso di studi?

< Il messaggio è: il Master è un punto di partenza non un punto di arrivo. Così come lo è il superamento dell’esame da professionista. Il nostro è un mestiere in evoluzione permanente non solo per effetto dell’ingresso travolgente della tecnologia, ma anche per il vertiginoso mutamento della società.

Chi davvero vuol fare il giornalista è condannato a studiare e a documentarsi in modo continuo. Gli studenti del Master partono da una giusta e onesta aspirazione: dotarsi degli strumenti del mestiere di giornalista. Una scelta importante in tempi in cui per credersi giornalista basta pochissimo. In più l’integrazione tra insegnamenti professionali e materie accademiche arricchisce sensibilmente la “cassetta degli attrezzi” degli aspiranti giornalisti.

Quando un giornalista è documentato evita di incorrere in un errore che è diventato sempre più frequente: credere di essere in possesso di una notizia esclusiva quando in realtà si tratta di qualcosa che conoscono in molti. Per questo ripeto spesso che imbattersi in una notizia a noi sconosciuta contiene un’insidia che va eliminata subito: capire se si tratta semplicemente dell’esito di una nostra ignoranza. Non è affatto detto che se io non conosco una cosa Lei non la conosca.

Diffondere banalità con l’enfasi che meriterebbero notizie vere riserva brutte figure e scarsa considerazione tra i Lettori informati. >

 

9) Cosa lega l’uomo alla scrittura? Per me l’incontro tra persona e parola è quasi divino e quindi mi piacerebbe sapere cosa accomuna, secondo Lei, il giornalista, il blogger, l’autore di romanzi, il copywriter e chiunque lavori con le parole scritte?

< Per Voltaire “la scrittura è la pittura della voce”. L’alfabeto è stata una tecnologia rivoluzionaria e fondamentale per l’evoluzione della specie umana.

La capacità di pesare le parole e utilizzarle in modo appropriato unisce (forse) tutti i soggetti che ha elencato. Tuttavia, al di là degli aspetti tecnici che segnano i vari aspetti dei mestieri che ha elencato, la scrittura resta una prerogativa esclusiva degli esseri umani.

Dipingere con le parole significa farlo secondo ciò che ci ha insegnato uno scrittore del calibro di Raymond Carver: fare tesoro della propria esperienza, generare uno stile autentico e conservare la capacità di sorprendersi. >

 

10) Per un giornalista cos’è la verità? È nelle opinioni della gente comune, nelle opinioni delle persone che sono ai vertici, nel proprio personale modo di intendere i fatti oppure nella spinta a scegliere la strada della relatività e dello scambio costruttivo di punti di vista?

< Credo che per il giornalista la verità sia nei fatti. Nella verifica della loro fondatezza.

La raccolta delle opinioni è uno degli aspetti della ricostruzione dei fatti, non l’unico. Così come lo è la “raccolta” dei punti di vista. Ciò che è veramente fondamentale è che non ci sia un intento manipolatorio: il “giornalismo a tesi”, un male assai diffuso nei nostri tempi.

Faccio un esempio semplice (e drammaticamente reale) che ha molto a che fare con i tempi in cui viviamo: un magistrato apre un’inchiesta, ordina il sequestro di un alimento sospettato di essere tossico, “passa” la notizia a un cronista (di quelli disposti a ampliarne la risonanza in cambio di una “primizia” e nello stereotipo del giornalismo d’inchiesta considerato “coraggioso”), la reiterazione della notizia e i titoli di scatola “spaventano” la banca di riferimento dell’imprenditore che gli intima di rientrare nel fido che gli è stato concesso. Parte il taglio dei costi, l’azienda riduce il personale, l’impresa perde commesse e va in crisi, le famiglie finiscono sul lastrico, l’imprenditore vede svanire una vita di lavoro sotto i colpi del danno reputazionale.

Dopo tre mesi le analisi dimostrano che il sospetto era infondato, ma fino ad allora il cronista del giornale ha abbracciato la sua crociata senza attendere l’esito degli accertamenti di laboratorio. La tesi è: quell’imprenditore dev’essere colpevole perché l’ha detto il mio amico magistrato e tutti i giorni somministra un particolare o una frase (sempre decontestualizzata) che punta a confermare la tesi e ad alimentare la percezione di colpevolezza. Quando il disinvolto cronista ha scritto il primo articolo ha innescato il meccanismo del “copia incolla” e siti, giornaletti, radio e TV replicano senza ulteriore verifica e senza aver mai dato la parola all’imprenditore.

Per il Giornalismo con la G maiuscola ci sono il danno e la beffa. La tragedia, infatti, è che tutto questo viene percepito dal Lettore come giornalismo coraggioso, mentre prudenza e responsabilità (che quando non sono dettate dalla competenza lo sono dall’esperienza) vengono confuse con la connivenza.

Una denuncia sbagliata (o confezionata ad arte) e un giornalismo irresponsabile sono in grado di distruggere un’azienda, famiglie ed economia del territorio. Dietrologie e retroscenismo deduttivo sono mali feroci del nostro mestiere, anche se risultano assai più abbordabili di un autentico giornalismo di inchiesta che documenta, verifica e approfondisce.

Recentemente due giornalisti (Vittorio Roidi e Lorenzo Grighi) hanno pubblicato un bel libro (“Giornalisti o giudici”) che dovrebbe essere adottato in tutti i nostri Master.

In ogni caso la base resta l’onestà intellettuale di ognuno tra noi e la ragione per cui si è scelto di fare questo nostro mestiere. E, ripeto, il nostro è un mestiere diverso da quello del pubblico ministero, dell’investigatore di polizia giudiziaria, del politico. Se ne abbiamo consapevolezza guadagniamo in indipendenza e autonomia. >

 

11) Ci sono alcuni passaggi del Suo ultimo editoriale per EPolis Bari che mi sono rimasti impressi.
“Un lavoro giornalistico di cui andiamo particolarmente fieri per non aver mai ceduto alla tentazione di dare spazio ad articoli e foto “da cassetta”, di aver voluto ossessivamente rispettare la reputazione delle persone, di non aver mai frequentato i salotti e le stanze del “potere”. Sì, è stato un isolamento volontario: lontani dal potere, vicini ai Lettori.
[…] In un mercato così “drogato” puntare sulla qualità, sull’etica e sulla deontologia significa partire e arrivare da sconfitti. Tuttavia, non farlo significa tradire le motivazioni per cui si sceglie di fare il mestiere di giornalista. […]
Il quotidiano EPolis Bari si ferma qui. Usciamo, così come siamo entrati: senza clamori, ma con la consapevolezza di aver rispettato regole e persone, perché è questo che fa di noi dei giornalisti al servizio di Lettori e della nostra terra.”
A distanza di un paio di mesi dall’addio al vecchio volto di
Epolis Bari, è nato un nuovo settimanale.
Mettere un punto a qualcosa significa dunque poter sempre ricominciare da un nuovo capoverso?

< Significa semplicemente voler fare il giornalista. Anzi, meglio, non avere la capacità di rinunciare a farlo, anche quando la strada è in salita.

È sempre più difficile far sentire la voce della ragione in un mercato in cui in tanti urlano a squarciagola. Ma significa anche avere l’opportunità di farlo grazie a un Editore che condivide l’amore per il giornalismo e ne riconosce il ruolo strategico per la crescita del territorio. >

 


Grazie a Dionisio Ciccarese, grazie ai giornalisti che ogni giorno svolgono il proprio mestiere con competenza e onestà intellettuale.

 

Laura Ressa

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Copertina: Little and large

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti