Il lavoro nobilita l’uomo. L’uomo nobilita il proprio lavoro.
Questi due concetti, messi in ordine di priorità, andrebbero invertiti poiché molto spesso affidiamo tutto il potere nobilitante a un’attività che non lo è finché non siamo noi stessi a renderla nobile.

Dunque, se invertiamo la visione comune, ci rendiamo conto che è l’uomo a nobilitare il lavoro mettendo nelle proprie mani tutta l’esperienza, i sogni che si avverano, le conquiste, gli obiettivi da realizzare. L’uomo nobilita ciò che fa, per lo stesso principio secondo cui non sono gli strumenti a determinare l’esito delle nostre azioni ma il modo in cui decidiamo di usarli.
Un coltello può uccidere ma anche intagliare il legno. Il lavoro può farci sopravvivere se svolto tanto per far passare la giornata, ma solo quando il lavoro è ben fatto ci fa sentire soddisfatti di noi e degli obiettivi ai quali riusciamo ad ambire. È una questione di scelte: il modo in cui facciamo le cose determina la nostra identità. 
Da questo principio nasce la Notte del lavoro narrato che giunge alla quinta edizione e rappresenta un sogno che si avvera, un sogno in grado di mettere insieme le storie di persone provenienti da ogni parte d’Italia che si incontrano per leggere, raccontare, cantare, recitare, disegnare il lavoro e il suo valore.
Si tratta di un’iniziativa necessaria affinché si aprano orizzonti nuovi sul mondo di valori a cui il lavoro è associato.

Il progetto prende vita da un’idea di Vincenzo Moretti, sociologo e narratore che racconta il lavoro ben fatto su Nòva Il Sole 24 Ore ed è autore de: Il manifesto del lavoro ben fattoA scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezzaLa notte del lavoro narratoWEST4Le vie del lavoro. Lezioni Napoletane. Informare vuol dire.

Una lunga chiacchierata telefonica con Vincenzo Moretti, una passeggiata nel giardino vicino casa, il mio mare e la primavera che brulica di insetti posati sui fiori. La quinta giornata del lavoro narrato è cominciata così per me, mentre ascoltavo Vincenzo che mi parlava di quanto sia importante cambiare rotta anche in un contesto storico e sociale in cui siamo indotti a pensare che nulla si possa cambiare.

Perché è importante raccontare il lavoro? Perché siamo ciò che raccontiamo.
Perché l’Italia che viene raccontata oggi è un Paese che dà troppo valore ai soldi e troppo poco valore al lavoro, troppo valore a ciò che abbiamo e troppo poco a ciò che sappiamo e sappiamo fare.

lavoro narrato
La notte del #LavoroNarrato 2018 si è svolta nelle scorse ore coinvolgendo tante persone che hanno voluto raccontarsi, condividendo esperienze e suggestioni personali.
Parlare di lavoro si deve e si può, ma non per fare sfoggio della propria posizione professionale nell’ottica di una scalata sociale che ci vuole tutti donne e uomini di successo.
Il lavoro che merita di essere narrato è quello ben fatto, quello che dà valore al nostro impegno, quello che ci riconosce come persone anziché come ruoli in un organigramma. Il lavoro da narrare è quello che ancora oggi ci fa commuovere quando ascoltiamo le storie di persone comuni che hanno raggiunto i propri obiettivi con la consapevolezza che i tasselli messi insieme compongono un mosaico.

Il lavoro che abbiamo narrato oggi è dunque un mosaico: ognuno di noi contribuisce, con un pezzo di sé, al racconto del cammino che ha tracciato. Il lavoro narrato è in ognuna delle nostre storie, in ognuno di quei tasselli che abbiamo costruito e incastrato.

La storia non si ferma davanti a un portone, dice una famosa canzone di De Gregori.
Allo stesso modo il lavoro non si ferma davanti alle mura delle aziende o delle fabbriche e non riguarda solo clienti, sponsor, partner. Il lavoro va ben oltre le etichette che ci imponiamo, va oltre i ruoli che ingabbiano le nostre attività quotidiane rendendole spesso asettiche e prive di anima.
Il lavoro diventa parte integrante del nostro valore personale quando impariamo a non vederlo solo negli zeri del compenso (per chi ha la fortuna di averlo). Il lavoro non è uno status symbol da esibire come un orologio d’oro o un diamante costoso, e questa notte di lavoro narrato nasce proprio dalla voglia di dar voce al vero spirito del lavoro.

Lavorare bene è possibile ma le capacità dei singoli vanno riconosciute a tutti i livelli.
Le conquiste di manager e di aziende devono essere prima di tutto le conquiste di chi è dietro le quinte, di chi lavora con dovizia, di chi mette creatività e impegno al servizio di un progetto.
Durante la nostra chiacchierata Vincenzo ha usato una metafora per esprimere quanto sia fondamentale, in un lavoro fatto bene, il sapiente dosaggio di ingredienti e obiettivi: “Se vuoi preparare la pasta con le patate l’obiettivo è fare una buona pasta: tutti gli ingredienti sono importanti. Se alla fine non ti vien fuori una buona pasta, hai buttato sia la pasta che l’acqua. Hai buttato anche il sale, le patate, gli aromi e il tempo che hai impiegato per cucinarla”.

È importante divulgare i valori del lavoro per non perdere di vista il nostro obiettivo principale ed evitare di riconoscerci soltanto nel denaro, che pure è importante per sopravvivere ma non basilare per fare di noi persone felici.

 

Vincenzo Moretti ha usato queste parole per spiegare cosa sia il lavoro ben fatto:
Nuto ne La luna e i falò di Cesare Pavese dice ad Anguilla che “l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa”.
Quando fai una cosa non conta quello che fai, quanti anni hai, di che colore, sesso, lingua, religione sei, quello che conta è farla come se in quella cosa dovessi essere il numero uno al mondo, che poi puoi arrivare pure penultimo, non importa, la prossima volta andrà meglio.
Provo a schematizzare: lavoro ben fatto è la scelta di mettere sempre una parte di sé in quello che si fa; soddisfazione che si prova a farlo bene; voglia di tenere insieme intelligenza, capacità e passione, testa, mani e cuore, per dare più senso e significato alla propria vita e dare più futuro al proprio Paese.
E continua:

Mi sveglio con in testa la cavalletta Hopper che in A Bug’s Life dice alla principessa delle formiche, Atta, che la prima regola del comando è: “tutto quello che succede qui è colpa tua”. Ogni tanto mi ritorna in mente questa cosa, secondo me l’idea che la colpa è sempre di chi comanda ha una carica innovatrice straordinaria, la stamperei in 3D e la renderei obbligatoria in tutte le stanze di chi comanda qualcosa, a ogni livello, perché sovverte un modo di pensare, di essere e di fare – quello che porta a dare la colpa sempre a un altro, quasi sempre sotto ordinato nella scala del comando -, assai radicato nella nostra bella Italia. […]
Sì, bisogna che nessuno si senta escluso. Studenti, architetti, postini, startupper, scienziati, muratori, maestri, ingegneri, sarti, ebanisti, impiegati, vigili urbani, fabbri, quello che ci pare, accomunati dalla voglia, dalla speranza, dalla necessità di vivere in un Paese nel quale chiunque fa qualcosa, qualunque cosa faccia, cerca di farla bene.
(tratto da Lavoro ben fatto: nessuno si senta escluso!)

“Stiamo sul posto di lavoro 8 ore al giorno, che lo facciate bene o lo facciate male. Meglio farlo bene, altrimenti vi ammalate” ha detto stasera Vincenzo Moretti a Bacoli durante un incontro organizzato per la notte del lavoro narrato.

Tra poche ore questa notte finirà, ma io vorrei davvero che non finisse e non si riducesse a poche righe di un post o a un ricordo sbiadito da rispolverare tra un anno.
Il lavoro vale non è solo uno slogan passeggero che ora è vivido e domani sarà appannato dalle nostre quotidiane faccende lavorative. Deve diventare uno slogan perenne per raccontare, con l’esempio, che il lavoro è prima di ogni altra cosa dignità, autonomia, rispetto, diritti e doveri, futuro, possibilità.

“Cara Laura, ce la faremo!” mi ha detto Vincenzo Moretti al telefono mentre ci salutavamo. Le sue parole continuano a riecheggiare mentre le ore passano e ci conducono al Primo Maggio, giornata dedicata ai lavoratori.

Questo Primo Maggio inizia con qualche consapevolezza in più, con la certezza che siamo in tanti a pensare che lavoro significhi valore.
Questo Primo Maggio parte con la speranza che il lavoro possa diventare per tutti fonte di dignità, espressione di quanto di bello si possa realizzare con le proprie capacità, con la tenacia e con la voglia di far bene per il gusto di far bene.

Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io — io ormai così imbastardito — a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto.

«Il significato del lavoro» di Charles Péguy
(tratta da Lavoro ben fatto: nessuno si senta escluso!)

Ci sono due princìpi nel Manifesto del lavoro ben fatto che andrebbero stampati e conservati nelle proprie tasche e nella propria mente:
6. Il lavoro è identità, dignità, autonomia, rispetto di sé e degli altri, comunità, sviluppo, futuro.
8. Il lavoro ben fatto non può fare a meno dei diritti, della dignità, della soddisfazione, del rispetto e del riconoscimento sociale di chi lavora, indipendentemente dal lavoro che fa.

Se giornate come quella del lavoro narrato possono servirci a ripartire in un modo nuovo, migliore, vorrei tanto che ricominciassimo da qui.

 

Laura Ressa

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Da leggere:
L’importanza di raccontare il lavoro
Il Manifesto del Lavoro Ben Fatto

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti