Racconta la tua macchina è la proposta che Vincenzo Moretti ha lanciato su Nòva24 per invitarci a raccontare il rapporto che ciascuno ha con la propria macchina di lavoro, qualunque essa sia: dal computer al trattore, dal tornio all’intelligenza artificiale, dalla scavatrice al robot.
Cosa amiamo e cosa non ci piace della macchina con cui lavoriamo?

L’idea di poter essere parte di questo progetto mi ha entusiasmato sin da subito ma ho atteso qualche giorno per metabolizzare l’argomento e le domande poste da Vincenzo.
La scrittura, come ogni altra attività, richiede tempo per far sedimentare tutte le possibilità espressive.
La prima cosa a cui ho pensato, riflettendo sul tema della macchina, è stato il computer, strumento quotidiano che siamo soliti appunto chiamare “macchina” nel gergo professionale di chi lavora al videoterminale.
Il computer è mio fido alleato di giorno ma anche amante di notte, soprattutto quando resto sveglia per scrivere un testo o quando gli stimoli su cui scrivere sono talmente tanti da indurmi a non staccare più le mani dalla tastiera.

Tastiera: ecco un’altra parola magica.
Scrivo e lavoro usando la tastiera, che non è propriamente una macchina ma una componente importante di essa.
Sicuramente l’esercizio della scrittura a mano non deve sparire dalla nostra vita: la copia di brutta, intrisa di cancellature, macchie, parole riscritte e frasi tagliate, ci riconduce al rapporto primordiale con le parole e ci aiuta a prendere il giusto tempo e le pause necessarie per capire quale messaggio stiamo costruendo.
Oggi però mi affido molto di più alla tastiera perché digitare i caratteri anziché scriverli a mano è più immediato.

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Photo by Christin Hume on Unsplash

La tastiera ha per me la stessa valenza che il pianoforte ha per il pianista.
Spesso la accarezzo, quando cerco il modo migliore di esprimere un concetto mi fermo e digito nel vuoto. Non perdo mai il contatto con i tasti.
Il ticchettio della dita che si agitano velocemente per non perdere nemmeno una parola mi fa quasi sentire le prime note di una melodia che si prepara e si fa bella per essere ascoltata anche dagli altri.

Riflettendo sulla mia macchina di lavoro ho pensato poi alle mani. 
Le mani sono il primo elemento fondamentale per lavorare, per scrivere, per coltivare, per creare, per dipingere, per costruire, per toccare, per accarezzare, per prendersi cura di qualcosa o qualcuno.
Le mani sono capaci di imprese incredibili, sono un grande miracolo del corpo umano e non c’è macchina più vicina a noi delle nostre stesse mani: meccanismi perfetti e operosi.
Non sono importanti solo per chi svolge lavori manuali o per chi deve compiere operazioni di precisione: pensiamo all’intagliatore, al falegname, all’orologiaio, al pittore, al musicista, alla sarta.
Le mani sono strumento creativo per chiunque.
Per me rappresentano il legame più reale e fisico con la macchina: grazie a loro creo un filo conduttore tra le idee e lo strumento sul quale verranno tradotte in parole.

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Photo by SwapnIl Dwivedi on Unsplash

Cercando di capire come raccontare la mia macchina, ho pensato a molte cose senza però riuscire a trovare la macchina che mi rappresentasse e nella quale mi potessi rispecchiare.

E allora cos’è davvero la macchina? Ho chiuso gli occhi provando a rispondere in maniera semplice, come avrei risposto se la stessa domanda mi fosse stata posta all’età di 10 anni.

Nell’estate del 1996 partii per un camposcuola con alcuni amici.
Eravamo a Gallipoli, in Puglia, e io avevo 10 anni.
Trascorrevamo quelle splendide giornate d’agosto a giocare e a svolgere le attività organizzate dai nostri educatori. Una sera, poco prima che il campo terminasse, partecipammo a una caccia al tesoro: seguendo gli indizi avremmo dovuto scoprire il tesoro o dire quale fosse, qualora capissimo in anticipo di cosa si trattasse.
Ero così felice di essere lì, tra il profumo del mare, la gioia dei miei amici, le risate e i giochi, che a un certo punto della caccia credetti di aver capito quale fosse il tesoro da scoprire.
Timidamente lo dissi alla mia squadra e agli educatori: “Secondo me il tesoro è condividere questa caccia. Il tesoro è la gioia di essere qui insieme a tanti amici.”
La soluzione non era quella e quindi proseguimmo con il gioco. Alla fine la mia squadra non vinse: vincere sarebbe stato bello ma per noi la vittoria non era così importante.

Il giorno successivo gli educatori mi chiamarono in disparte per consegnarmi un dono: un temperamatite a forma di mappamondo, lo stesso regalo consegnato alla squadra vincitrice della caccia al tesoro. Mi dissero che la mia frase gli era piaciuta così tanto da volermi far capire che erano d’accordo con quell’idea, anche se non era la risposta giusta prevista per vincere il gioco.
Dando importanza ai miei amici, non avevo vinto solo un oggetto ma avevo avuto la conferma che vedere il vero tesoro nelle persone è una scelta vincente: non perché questa idea ci faccia primeggiare ma perché ci insegna a capire chi dobbiamo ringraziare e in chi dobbiamo riconoscere i meriti di ciò che realizziamo in squadra.
Un po’ come dovrebbe accadere sul lavoro.

Ecco quindi qual è la macchina senza la quale il mio lavoro non potrebbe esistere: le persone.
Parlo del mio team ma anche di chi crede ogni giorno nelle mie potenzialità e cerca di aiutarmi a coltivarle nel miglior modo possibile.
Le persone sono importanti anche una volta varcata l’uscita del luogo di lavoro: sono importanti quelle che ci spronano a pensare, quelle che hanno scritto i libri che vogliamo leggere, quelle che hanno composto le canzoni che ci fanno emozionare, quelle che hanno inventato le macchine che adoperiamo ogni giorno.
Senza uomini non esistono macchine, non esiste chi le inventi e le azioni.

Le persone non sono macchine in senso letterale, no. Ma sono il vero motore a cui penso se mi fermo a riflettere su quale sia la mia macchina di lavoro.
Oggi credo nell’importanza delle persone senza temere di essere off-topic o di non vincere una gara, un gioco o una sfida lavorativa. Ci credo perché qualcuno, quando ero bambina, mi ha mostrato che è giusto e doveroso dare valore alle persone.
Le definirei stimoli: le persone ci stimolano a far meglio quando vogliamo emularle ma anche quando ci mostrano con l’esempio quale strada seguire.

Questa è la mia visione della macchina: un meccanismo vivo i cui ingranaggi sono le mani e le idee. Un marchingegno che respira, che si nutre di scoperte e di conoscenza.

Le persone sono la migliore macchina che io conosca.

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Immagine tratta dal film Stand by me (Flickr)

Siamo in tanti a voler raccontare il lavoro e Vincenzo Moretti ha accolto questa esigenza dando vita a una community che dialoga e si confronta.
Ognuno di noi interpreta le macchine in modi diversi e ogni storia è il risultato di incontri ed esperienze.
L’idea di Vincenzo è lodevole perché mette in luce le storie di persone comuni che raccontano il valore del lavoro: storie nelle quali molti di noi possono riconoscersi.
Le domande sono rivolte a tutti noi, nessuno escluso.

Cosa ci piace della nostra macchina e cosa invece no?
In che misura è lei che pensa e dunque gestisce la relazione e in che misura siamo noi che pensiamo e gestiamo?
È lei ad aiutarci nel nostro lavoro o siamo noi ad aiutare lei? Ci sarà un giorno in cui sarà capace di fare anche tutto quello che ancora oggi facciamo noi?
Se sì, quanto è vicino?
E a quel punto cosa faremo noi? Insomma c’è un modo per cooperare o siamo condannati a scegliere tra Matrix e Zion?

Per partecipare e raccontare la propria macchina, basta pubblicare il racconto online fornendo il link o inviando il testo a: partecipa@lavorobenfatto.org 

 

Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti