
Quando si osserva un’illustrazione o una vignetta, non è sempre facile comprendere o anche solo intuire il vissuto dell’artista. Dietro c’è molto di quello che appare nel tratto della matita ma c’è anche molto altro: quasi un tumulto, un movimento costante e interiore che sfugge alla percezione dell’immagine. Quella presentata nelle righe che seguono è un’immersione nei colori e nell’inchiostro, un’occasione per comprendere l’arte di Fabio Magnasciutti, illustratore, ma anche per umanizzare i suoi lavori e sentirli più vicini, come se di quel mondo fatto di tracce a matita facessi parte anch’io.
Senza scadere in elogi mielosi, lascio subito spazio alle mie domande e alle sue risposte che si alternano in un confronto su arte, lavoro e urgenze artistiche e personali.
Le domande sono 13 (per sfidare la sorte) e ogni risposta è corredata da un’illustrazione di Fabio.
1) Come suggerirebbe il manuale delle giovani intervistatrici, avrei voluto cominciare chiedendoti come sia nata la tua passione per il disegno. Poi ho pensato che sarebbe stato un po’ come chiedere a un neo-diciottenne “cosa si prova ad essere maggiorenni?”. Insomma nelle mie orecchie strideva e quindi ho fatto ulteriori ricerche e ho scoperto che in un video avevi già detto molto di quello che volevo sapere:
“Da quando ho memoria non faccio altro che disegnare. Il perché non lo so. Evidentemente è un’esigenza, un’urgenza. Il tentativo iniziale è quello di cercare qual è la valvola migliore da cui far uscire qualcosa. So con certezza che ogni volta che ho avuto un attimo di tempo l’ho fatto perché ne avevo l’urgenza.”
Nelle tue frasi ricorre spesso la parola “urgenza” e, mentre ti ascolto, penso alla mia di urgenza: quella di scrivere.
Come definisci la tua urgenza? Io immagino l’urgenza di esprimere se stessi come un piccolo animaletto che tenta di uscire. Come dialoghi tu con questo animaletto? Cosa provi quando dai sfogo all’urgenza di buttar fuori ciò che hai dentro?

< L’urgenza è nient’altro che la necessità di liberarsi di tutto ciò che i sensi hanno catturato, metabolizzato e trasformato in altro.
Nel mio caso non ci sono animaletti, non è altro da me ma parte di me. Ci dialogo così come dialogo abitualmente con me stesso. Non so che direzione prenderà. Esistono fattori esterni che possono modificare le traiettorie. Posso solo cercare di controllarle. Disfacendomene posso provare un senso di liberazione ma anche malinconia (alla quale sono piuttosto incline) per essermene separato. >
2) Oltre ad essere illustratore, sei anche musicista. Che legame c’è tra la tua musica e i tuoi disegni? Sono due facce di te che dialogano tra loro o vivono in compartimenti stagni?
< Sono principalmente un illustratore, lavoro che svolgo da trenta anni, e solo negli ultimi dieci mi sono dedicato alla satira, se vogliamo chiamarla così. La musica, fatta e fruita, è lo stimolo più efficace e presente nel mio lavoro. Ne ascolto continuamente, non potrei farne a meno. A volte lascio scegliere il caso, altre volte scelgo io la colonna sonora adatta a ciò che sto producendo. >
3) Tu sei un esempio di come l’arte possa diventare lavoro. Quando l’arte diviene professione, riesce a conservare la componente istintuale tipica di quando si fa qualcosa senza scadenze e senza vincoli?
< Un illustratore lavora principalmente su commissione, non ci si può affidare esclusivamente all’ispirazione, come potrebbe fare un pittore (con il quale condivido gli strumenti e il background ma non sempre le modalità professionali). Dunque si deve essere pronti ad affrontare temi distanti o poco interessanti e assicurare comunque un risultato dignitoso. A volte si deve fare esercizio di umiltà. >
4) Per te cosa accomuna la professione di giornalista e quella di vignettista?
In parte ne hai parlato qui dicendo: “Il mio lavoro in Italia è comodo. Mi rendo conto che altrove questo mestiere, come quello del giornalista, può essere molto pericoloso.”
< Le due professioni possono condividere il fine: informare, nutrire, stimolare un punto di vista, allenare la capacità critica. >
5) La carta stampata sta lasciando gradualmente il posto al digitale, in alcuni casi con effetti devastanti sulle vendite dei giornali. In che misura i social network hanno cambiato la divulgazione delle vignette e il modo di interpretarle?
< Un cambiamento epocale, direi. E non necessariamente in meglio, secondo me. Pur essendo presente sui social per ragioni esclusivamente professionali, non ne sono un amante. Ritengo che abbiano livellato tutto, o quasi, in basso.
Tutti possono fare tutto, non tutti sanno farlo. >
6) Qual è il vignettista a cui ti sei ispirato di più e perché?
< Suonerà immodesto ma nessuno, direi. Certamente ho i miei autori preferiti, dai quali devo necessariamente aver assorbito qualcosa. Uno su tutti: Altan. >
7) Sei mai stato censurato e hai mai trovato ostacoli alla pubblicazione delle tue vignette?
< No. C’è da dire che il mio approccio non è diretto né aggressivo, per scelta. Non mi piacciono le provocazioni gratuite e ho orrore delle vignette dirette, esplicite e con gli spiegoni. Questo riduce sensibilmente il rischio. >
8) Wish you were ear. Quando osservo le tue vignette trovo ironia, spesso anche sarcasmo. Una firma che ti caratterizza molto e che emerge in maniera prepotente. Che differenza esiste per te tra sarcasmo e ironia e come riesci a dosarli per trasmettere i tuoi messaggi? Ci sono state occasioni in cui, dopo aver realizzato una vignetta, hai pensato di aver esagerato con i toni ed esiste un limite invalicabile nell’utilizzo del sarcasmo? La scelta di affidarti a messaggi ironici è una scelta stilistica o segui l’ispirazione facendoti guidare dal momento?
< Non credo che il sarcasmo faccia per me, l’ironia forse, ma dirselo da soli è triste. Non credo esistano limiti, se non quelli che ciascuno si pone, secondo la propria sensibilità. Sugli eccessi vale la risposta precedente. >
9) Il blocco dello scrittore riguarda, appunto, lo scrittore bloccato di fronte al foglio bianco. Ti è mai capitato di avere il blocco del vignettista? (E per blocco non intendo quello per gli schizzi a matita).
< Certamente, soprattutto agli inizi. L’unico rimedio che conosco e non fissare il foglio bianco ma riempirlo di segni, anche privi di senso. Così foglio dopo foglio. Fatalmente il flusso si ristabilirà. >
10) Una vignetta ironica, così come una battuta, va capita al volo o può essere spiegata? E quante possibili interpretazioni può avere contemporaneamente? È mai capitato che una tua vignetta fosse interpretata in modo diverso rispetto alla tua intenzione iniziale?
< Secondo il mio personale codice penale, una vignetta non si deve spiegare, neanche sotto tortura. Può avere tante interpretazioni quante il lettore vorrà o saprà trovarne. È capitato, sì, e capita continuamente, ma ci sta. >
11) Hai realizzato un video per l’evento “Black & White Music Mask Party” del 2008. Quel mix di immagini è una dedica al cinema e ai personaggi che hanno reso grande questa arte. Quante forme d’arte racchiudi nella tua professione e quanto conta per te svolgere un lavoro nel quale passione, cultura e sensibilità sono fondamentali quanto (se non più) della tecnica e della competenza? Forse non esistono professioni in cui queste caratteristiche non contino: la profondità per riuscire a leggere la realtà in tanti modi può diventare un lavoro e il lavoro può diventare una vera fortuna per chi lo svolge?
< Qualsiasi professione espressiva ha bisogno di alimentarsi attraverso tutti i sensi. Dunque cinema, letteratura, musica, ma anche l’osservazione della natura come dei paesaggi urbani, sono indispensabili per elaborare una sintesi. >
12) Uno dei tuoi progetti è dedicato a personaggi del cinema, della musica, della letteratura, dell’arte. Da dove nasce l’idea di ritrarli? In generale, come nascono i tuoi progetti? Da suggestioni, dai libri che leggi, dalle frasi che ascolti, dalla musica, dai film che vedi o dalla vita di ogni giorno?
< Il progetto al quale ti riferisci si chiama Laical ed è una raccolta di ritratti e testi brevi di personaggi che hanno avuto, nel bene o nel male, un’influenza nella mia vita.
Devono essere morti e li pubblico nel giorno della loro nascita su una pagina Facebook, chiamata appunto Laical, alla quale non ho mai invitato nessuno a cliccare “mi piace”, perché la ritengo una pratica perversa che stimola esclusivamente il clic compulsivo. Voglio che le persone ci capitino per caso, si soffermino se vogliono e decidano se gradire o no. Va avanti da anni, nei ritagli di tempo; quando avrò terminato i 366 personaggi ne farò qualcosa, sono già in accordo con il mio editore. >
13) Andrea Pazienza in un’intervista del 1983 disse: “Per me la cosa fondamentale è evocare. Se leggendo un racconto, il cuore poi alla fine riesce a pulsare una volta in più o meno, l’adrenalina circola per un attimo in modo più o meno veloce e le ghiandole secernono un liquido al posto di un altro e qualche cosa in chi legge cambia, io ho raggiunto il mio risultato. Indipendentemente dalla morale finale, dal fatto che uno chiuda la storia e dica mi è piaciuta o non mi è piaciuta”.
Quali sensazioni vorresti evocare nel cuore di chi guarda una tua vignetta, ascolta le tue note musicali o legge le parole che scrivi?
< Mi sembra che abbia detto tutto lui. Non so, vorrei evocare un dubbio, un disequilibrio, un leggero senso di scomodità che ti costringe a cambiare posizione. >
“Da quando ho memoria non faccio altro che disegnare. Evidentemente è un’urgenza.” ha detto Fabio Magnasciutti.
Il tema dell’urgenza ricorre negli artisti e in chiunque cerchi valvole di sfogo per esprimere quel che ha dentro. Accade con la musica, con la pittura, con la scrittura. Accade ogni volta che proviamo a metterci a nudo e a trasformare il nostro vissuto interiore in un prodotto che arrivi al cuore di altre persone.
E allora quando sento parlare di urgenze, la mia mente torna a una grande artista che si chiama Joni Mitchell e alla sua “Urge for going”.
Il desiderio di andar via non è solo la fuga da un luogo o la ricerca di altri mondi in cui approdare. L’urgenza è un moto interiore che ci spinge a cercare in noi stessi e che può trasformarsi poi in un testo, in un’immagine, in una canzone.
I get the urge for going but I never seem to go
I get the urge for going
When the meadow grass is turning brown
Summertime is falling down and winter is closing in
(Urge for going, Joni Mitchell)
Ognuno di noi ha un’urgenza interiore da esprimere. Ognuno prova a metterla sul foglio bianco delineando i contorni della propria dimensione.
Grazie a Fabio Magnasciutti per le suggestioni che mi ha donato e per avermi ricordato quanto siano fondamentali le nostre urgenze artistiche, personali e interiori in ogni senso possibile.
Laura Ressa
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Le illustrazioni inserite nel testo e in copertina sono opere di Fabio Magnasciutti