Quello che non ho è di farla franca
quello che non ho è quel che non mi manca

Allontanarsi dagli altri ma anche da se stessi, guardarsi con distacco, sperimentare un punto di vista diverso. Può essere difficile ma è uno sforzo ripagato.

Io sto bene quando sto lontano da me

All’inizio ci si può allontanare con amarezza da sé e dagli altri, quasi come se il distacco fosse un fallimento o l’ammissione di un errore che abbiamo commesso. Dopo questa fase, però, allontanarsi diventa terapeutico. 

Ho allontanato chi non condivide valore, chi osserva gli altri sperando in un loro inciampo, chi spaccia i giudizi impietosi per innocui pareri personali, chi sminuisce gli altri, chi mostra facce diverse a seconda delle situazioni, chi vede nelle conquiste altrui solo un colpo di fortuna immeritato.
Mi sono allontanata da me quando ho sbagliato: quando ho guardato senza osservare, quando non ho compreso oppure non ho ascoltato.

Chi percepisce l’allontanamento come un fallimento, spesso fa buon viso a cattivo gioco e trascina rapporti e conoscenze perché così si fa. Accettare tutti è un pregio secondo i benpensanti promotori dei buoni sentimenti di facciata, secondo quelli che vivono di frasi di circostanza e alla prima occasione sputano sentenze su chiunque gli capiti a tiro nel discorso.
Il rischio è di farci trascinare dalle nostre idealizzazioni. E quando queste vanno in frantumi, dentro di noi si fanno strada paura e rabbia, sentimenti etichettati come negativi ma che nascondono qualcosa in più.

La rabbia può salvarci! 
Ci salva quando svela quel che siamo, quando fa emergere l’espressione completa del nostro carattere.
La rabbia ci trasforma in bestie avvelenate oppure in scrittori, in poeti, in musicisti, in pittori, in artisti.

Serve allontanarsi prima di tutto da sé, prendere le distanze dalle proprie visioni distorte, troppo edulcorate o troppo esacerbate.

Ho allontanato e mi sono allontanata da me quando ho pensato che la vicinanza tra persone si misurasse nei passi fatti in avanti per tendere la mano anche quando non si riesce a comunicare.
La domanda allora diventa: quanto siamo disposti a tendere la mano?

E se la mano dell’altro non arriva? E se a noi non va di tenderla? Quella mano potrebbe arrivare inaspettata oppure non arrivare mai. Ma non possiamo rinunciare alla possibilità di imparare dagli altri e di scoprire mondi nuovi e star bene nel nostro.
Se riusciamo a vedere il bello e il buono fuori di noi, di sicuro lo troveremo.

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Ogni vita incrociata ha ricadute positive su di noi: sta a noi vederle.

Qualche mese fa è capitato a me.
Una madre seduta a tavola con le sue figlie non guardava il proprio cellulare e non lo teneva poggiato accanto a sé. Un gesto semplice.
Le figlie, seguendo il suo esempio, non avevano bisogno di guardare uno schermo per star buone e tranquille.
Dunque è possibile andare oltre i nostri limiti anche nei piccoli gesti!
Quanto volte ci è capitato di guardare il cellulare durante una conversazione? Quante volte ci è successo di parlare con qualcuno impegnatissimo a controllare le notifiche che gli arrivavano sullo smartphone?
Non è vero che oggi ci sono più stimoli, è che non facciamo che cercare alibi per le azioni e per le scelte, alibi per gli errori e per i sentimenti negativi che non riusciamo o non vogliamo nobilitare.

Ecco il senso della frase “l’esempio è il miglior insegnamento”. 
Come possiamo costruire un mondo migliore se non cominciamo a farlo nelle faccende personali?
Scrivere di amore ma praticarlo davvero, scrivere di compassione ma saperla provare, scattare foto per urlare al mondo la propria felicità ma capire cosa sia e dove poterla trovare. Scrivere di attesa ma saperla custodire, scrivere di conquiste ma saperle ottenere e farle durare nel tempo.
Non sempre dire e fare combaciano, scrivere e mettere in pratica sono due verbi che non coincidono in maniera automatica.
È quando le parole corrispondono ai fatti che stiamo facendo, forse, qualcosa di cui conservare un buon ricordo.
Ma l’applauso per questo non arriverà perché essere non è una questione di riconoscimenti e applausi.

Cerco di allontanarmi dagli specchi deformanti, guardo alla vecchia pretesa di rendere gli altri simili a me e mi rendo conto di quanto fosse stupida.

E dunque prendo appunti affinché alcune cose capitino e altre non ricapitino più:

Non aspettare, ché il tempo non torna indietro.
Non fingere se le persone non ti piacciono.
Ascolta gli altri e prova a metterti nei loro panni.
Non rincorrere e non farti rincorrere.
Coltiva persone e amicizie autentiche, anche se significa rinunciare alla quantità e alle conoscenze utilitaristiche.
Guarda in faccia le tue debolezze.
Sii onesto con te stesso e con gli altri.
Abbandona le maschere.
Lascia andare.
Mettiti in dubbio.
Non farti prendere in giro e non farlo a tua volta.

Ho ripulito testi, pensieri, frasi scritte senza pensarci, immagini idealizzate, parole inutili. E capisco che devo molto alla rabbia.

Devo alla rabbia ogni nuova conquista. A chi ha suscitato in me sentimenti di rammarico devo la spinta al rinnovamento.
A loro devo la mia passione per la scrittura che cresce di giorno in giorno e riempie di bellezza ogni immagine, ogni esperienza. Devo a loro questa vita imperfetta ma in ogni momento più ricca di inciampi riconosciuti, di fiducia riposta in mani buone, di persone scoperte per caso e casualmente coltivate nella certezza che le perle rare esistono e non sono così rare.
La rabbia, trasformata in qualcosa di buono, dona sorrisi da ridistribuire senza calcolarne il prezzo.

Questo è il manifesto di chiunque voglia scavare più in là delle proprie certezze.
Questo è il mio inno alla gioia, la prima strofa della mia 
My Way [scusaFrank!]ma è soprattutto un inno alla rabbia. 

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Frank Sinatra

Siamo l’espressione delle nostre passioni. E queste passioni si esprimono quando riusciamo nell’intento di trasformarci.

Non dico che la rabbia vada rincorsa ma neanche evitata, e nemmeno assecondata. Va accompagnata in un luogo sicuro, in una specie di laboratorio in cui possa avvenire la sua trasformazione.

Dobbiamo essere pronti allo scoperchiamento dei sentimenti, rabbia compresa. Quando arriverà saremo pronti a trasformarla in ghirlande, in libri da leggere e da scrivere, in tutto ciò che di bello potremo realizzare.

Quando ho cominciato a scrivere pensavo che la scrittura fosse uno strumento per sfogare la rabbia, e invece è molto di più: ci invita a manipolare la materia grezza per renderla migliore.

La rabbia è il lato oscuro della Forza? No. Contraddico Yoda dicendo che siamo noi la vera Forza e che nessun sentimento può decidere la via che scegliamo di seguire. 
Siamo in grado di maneggiarla anche quando ci spingono a pensare il contrario, anche quando minimizzano ciò che siamo, le nostre conquiste e le nostre capacità.
E a volte, in quel tumulto di volti estranei e voci di sottofondo, l’unico ostacolo alla realizzazione dei sogni è la nostra paura.

Quindi perché allontanare? Perché allontanarsi da se stessi? Perché separarsi da qualcosa o da qualcuno?
Perché è fisiologico, e impari più cose a farlo che a non farlo.

Non ho mai creduto a chi dice di essere in pace con il mondo. Di solito quelli che affermano di esserlo te li ritrovi a odiare gli stranieri, a odiare il vicino di casa perché se la passa meglio o ha fatto le vacanze più lunghe in un posto più lontano.
Per essere davvero in pace, non bastano frasi da sacre scritture o citazioni da calamita che appendi sul frigo. Non bastano proclami.

Per essere in pace cominci da te stesso più che dal mondo.
Cominci decidendo cosa vuoi e cosa non vuoi, cosa sei e cosa non sei.

Cambiando cambiando prospettive
cerco di capire il verso giusto,
il giusto slancio per ripartire

Questa partenza è la mia fortuna
Un orizzonte che si avvicina
[…]
(Life is sweet)

“Tutte le cose più importanti che ho imparato le ho imparate separandomi. Quindi non riesco a vedere una fine di qualcosa come qualcosa di negativo, che toglie dignità.” (Niccolò Fabi)

 

 

Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti