
Sul blog #lavorobenfatto di Nòva 24 Vincenzo Moretti ha scritto:
“Il tema […] è il rapporto tra il talento, l’organizzazione e il contesto, da cui è nato l’acronimo TOC. Se il talento delle persone è il punto di partenza […] altrettanto importante è la qualità delle organizzazioni, dato che solo in strutture di altissimo livello il talento può esprimersi compiutamente. Infine c’è il contesto, cioè la cultura, le risorse, l’insieme di reti materiali e immateriali che caratterizzano un determinato ambiente o territorio.”
Stimolate da questa chiamata all’azione, le riflessioni dei lettori si stanno susseguendo trovando ampio spazio tra le parole di Vincenzo e nelle righe del suo blog. Così ho aperto la mia casella di posta e ho cominciato a scrivere anch’io cullata dal ricordo delle storie di talento che ho incrociato lungo la strada.
Caro Vincenzo,
sabato sera ero a tavola con le persone a me più care. Le parole che hai scritto nel tuo ultimo post mi riecheggiano da quando le ho lette e quella sera è accaduta una cosa che accade quando si vuole condividere la bellezza: ho mostrato alle persone che amo di più il tuo post e il tuo video spiegando il significato dell’acronimo T.O.C.
Dopo un primo momento di silenzio, tutti insieme ci siamo messi a riflettere sulle parole Talento, Organizzazione e Contesto scavando nella memoria per riportare a galla casi interessanti e concreti di persone che hanno messo in campo il proprio talento per dar vita a progetti, iniziative, ricerche scientifiche e che, un mattone dopo l’altro, hanno calato il proprio lavoro nel tessuto territoriale e sociale.
Ci sono venute in mente alcune persone che, per varie vie, abbiamo incrociato nelle nostre vite. Ci siamo resi conto di quanta tenacia sia necessaria per provare a cambiare le cose cominciando a lavorare non soltanto su di sé ma soprattutto sul contesto e sui modi per migliorarlo e valorizzarlo. Perché il talento parte da dentro, ma non attiene solo al dentro.
Il talento è opportunità che bisogna andare a cercare là fuori: zaino in spalla e una mente aperta a creare connessioni, a conoscere gli altri, a dar vita a reti interconnesse e a mettere in atto quelle buone pratiche di cui tu parli sempre e che danno sapore, direzione e colore alle azioni.
Ma cosa sono le buone pratiche? A cosa servono e chi le ha messe in pratica? Dove le troviamo e a chi ci potremmo ispirare per fare lo stesso e costruire le nostre buone prassi?
Per capirlo cerco sempre di pensare a chi ha agito mettendo a disposizione degli altri le proprie conoscenze e il proprio saper fare.
Un pensiero dopo l’altro, un’idea dopo l’altra, e ci siamo ritrovati a seguire la scia dei ricordi. Le storie di persone di talento si sono accavallate nella nostra mente e abbiamo cominciato, piano piano, a ricordare i volti incrociati negli ultimi anni e negli ultimi mesi.
È tornata a galla la storia di un gruppo di ricercatori che ha fondato un’associazione per studiare i cetacei. L’obiettivo è tutelare il territorio e analizzare l’impatto ambientale. Si tratta di persone che realizzano documentari e allestiscono spazi espositivi per mostre ed eventi sulla salvaguardia dell’ambiente marino.
In quel viaggio nei ricordi ecco che ci è tornata alla mente la notizia di un giovane assegnista di ricerca che è stato designato di recente come responsabile di un importante progetto d’esplorazione internazionale finanziato dal Committee for Research and Exploration of the National Geographic Society. I suoi obiettivi sono: studiare il territorio, comprendere meglio gli ambienti marini, fare la differenza in un campo, quello della ricerca scientifica, che spesso è scarsamente foraggiato e legato più ad interessi economici che alla spinta verso il miglioramento delle condizioni di vita di chi abita questa terra.
Poi c’è la storia del giovane laureato in biologia che, dopo l’università, è tornato nella sua città natale per dedicarsi alla produzione di birra artigianale e che poi dalla produzione è passato alla divulgazione trasmettendo la sua passione attraverso corsi di degustazione aperti al pubblico. Ascoltarlo mentre racconta le caratteristiche delle diverse birre artigianali è stato per me uno dei momenti più accrescitivi degli ultimi mesi: nei suoi occhi non ho visto solo una grande passione ma anche una profonda conoscenza del tema di cui mi stava parlando.
Dunque la teoria del fare bene le cose è un leitmotiv che torna prepotente: non puoi inventarti dall’oggi al domani. Se vuoi conoscere devi studiare, devi avere la mente ben aperta, devi provare, misurarti con l’errore e tentare di nuovo.
Più di ogni altra cosa devi avere a cuore il modo in cui agisci: lavorare bene diventa quindi uno stile di vita, un obiettivo da seguire in ogni ambito, un fiore da far sbocciare, la fermentazione di una buona birra, l’immersione in fondali di cui vogliamo scoprire i segreti.

Quel sabato sera passato nella culla dei ricordi ha fatto scorrere nei nostri occhi le immagini quasi come se appartenessero ad un lungo film.
In quel film abbiamo anche ricordato la storia di due ragazzi che hanno realizzato un programma radiofonico per divulgare conoscenza sul mondo della canapa, universo spesso sconosciuto e volutamente ignorato per anni.
I due creatori del programma si sono rimboccati le maniche a costo zero: hanno reperito l’attrezzatura necessaria per registrare la trasmissione e creare un prodotto fatto in casa.
Ed effettivamente il gusto delle cose fatte in casa si percepiva nel soggiorno in cui registravano le puntate. Dalla loro cucina proveniva l’odore intenso delle torte appena sfornate e dal giardino si sprigionavano i profumi di piante e fiori freschi. Il loro è stato un lavoro certosino di ricerca delle fonti: hanno intervistato associazioni che si occupano di diffondere la cultura della canapa e, in quel viaggio, anch’io ho avuto la fortuna di realizzare insieme a loro una puntata della trasmissione radiofonica. Mille prove, estrema cura dei dettagli, una visita presso un’azienda che produce canapa. Quell’esperienza per me è stata formativa e, pensandoci a posteriori, mi ha fatto comprendere quanto grande possa essere l’impegno profuso per una passione. Non lo credevo possibile, ma ora so cosa significa dedicare tempo ed energie per una propria creatura, senza risparmiarsi mai.
Il loro impegno derivava da un grande interesse verso l’argomento trattato ma anche dall’attenzione al territorio e alle infinite possibilità di una pianta che ha ricadute importanti anche su alcuni percorsi di cura delle malattie.
Poi ci sono le storie di persone vicinissime: storie di umiltà estrema e lavoro portato avanti con dignità e senza troppo rumore. Storie che spesso non vengono mai a galla perché, come diceva Gino Bartali, “certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca“.
E allora mi chiedo: tutte queste bellissime realtà e i progetti di persone di cuore e talento sono destinate a perire o possono procedere verso una strada luminosa?
Il territorio cura i propri talenti?
I contesti organizzativi hanno a cuore le competenze delle proprie persone?
Sanno far fiorire nuove possibilità in loro?
Sanno riconoscere i meriti?
Sanno intravedere lo spiraglio di una luce che vuole esplodere ma che ha bisogno di aiuto per diventare una Supernova?
Ecco Vincenzo, ti ho raccontato alcune storie di persone con una talentuosa anima perché, secondo me, senza un’anima profonda non ci può essere talento e avere talento in territori in cui il lavoro è un lusso, richiede uno sforzo ancora più grande.
Quindi il contesto conta se c’è un fondamento dietro ogni cosa che facciamo, ma il contesto può anche ostacolarci.
Un territorio o un’organizzazione diventano un ostacolo quando chi li abita non sa riconoscere le sue perle preziose e le spinge a sbocciare altrove.
E allora la domanda è: ci va di raccontare queste storie? Forse cominciare a raccontarle è un primissimo passo per farle splendere e illuminare gli altri attraverso la loro luce. Soprattutto qui dove ne abbiamo tanto bisogno.
Laura Ressa
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Tutti i contributi e le riflessioni sono raccolti nel blog di Vincenzo Moretti: qui
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