
“Per me fu un giorno memorabile, perché mi cambiò molto. Ma in ogni vita succede lo stesso. Immaginiamo un giorno a scelta isolato dal contesto e pensiamo a come sarebbe stato differente il corso della vita. Fermati, lettore, e rifletti a lungo sulla lunga catena di vil metallo o oro, spine o fiori, che non ti avrebbe mai legato, se non fosse stato per la formazione di quel primo anello in quel giorno memorabile.”
(Charles Dickens, Grandi speranze)
Dickens descrive la crucialità di un giorno memorabile ed io, per costruire i miei giorni memorabili, vivo ancora nella convinzione che farei molte più cose se sapessi in anticipo come andranno a finire. Anche se ci dicono che sia proprio quello il bello – non sapere – a me farebbe stare più tranquilla sapere tutto in anticipo perché avrei tempo per capire cosa fare e quando. Ad esempio non avrei paura degli aerei se sapessi in anticipo che di sicuro atterrerò viva.
Saper leggere oltre potrebbe pure aiutarci a vantarci meno perché se tutti sapessimo in anticipo l’effetto che fa da fuori – simile al rumore di forchetta strisciata nel piatto – eviteremmo di darci la zappa sui piedi e di star sempre lì a sottolineare i traguardi raggiunti.
Anche se lo facciamo con quella buona dose di apparente umiltà e finta autoironia, questa necessità di consenso ci fa credere, pur non essendone tanto convinti, che per gli altri siamo giusti e bravi. E tuttavia il giorno successivo ritorniamo lì a cercare un’altra cucchiaiata di conferme, ad annaspare chiedendo agli altri un parere spassionato su di noi sperando che quel parere sarà uno sciorinamento di elogi.
Ho avuto spesso bisogno del parere degli altri, e mi sono chiesta fino a che punto fosse giusto ottenerlo o lasciar perdere. Mi piacerebbe saper guardare bene dentro alle cose per vivere un giorno in cui non sento il bisogno di dimostrare nulla a nessuno, neanche a me stessa. Un giorno in cui mi vado bene e in cui il parere degli altri sia ben accetto ma non condizionante.
E da queste umane miserie quotidiane arrivo al posto che occupiamo nello spazio, facendo un esempio.
Ho paura dei luoghi grandi, vuoti e bianchi. Se sapessi in anticipo che in quegli spazi potrò muovermi senza problemi e senza angosce, li percorrerei anziché rifuggirli. Se sapessi quanto potrei fare con un po’ di impegno e meno pigrizia, investirei le mie energie con maggiore fiducia e lo farei perché conoscerei già l’esito delle mie azioni, saprei in che direzione investirle per sentirmi appagata. Ma è proprio là il mostro: è in quel desiderio di sentirci sempre giusti, è nel desiderio di essere la copia di brutta del tema di italiano ma priva di correzioni e già pronta per essere la bella copia da consegnare all’insegnante.
Cosa sappiamo di quello che avverrà? Nulla, il nostro dopo possiamo solo immaginarlo fino a scoprirlo arrivandoci. E nel momento stesso in cui ci saremo arrivati, quel momento apparterrà già al passato.
Se ci va male, quel tempo quasi inesistente tra l’adesso e il poi lo avremo sprecato a farci domande. Ma – guardiamoci – siamo in un qui-e-ora passeggeri e disponiamo di un tempo imprecisato, proviamo ansia verso un domani che sentiamo ancora lontano ma che in realtà è vicino ed è subito passato.
Sarà situato lì in mezzo il freno a mano che tiriamo alle nostre vite? Non sarà che parlare sempre di vita come se dovessimo scrivere tutti “La lunga vita di Marianna Ucrìa” ci limita? Ogni giorno è una vita a sé – se così vogliamo intenderla – e, pur non dovendolo vivere come se fosse l’ultimo, almeno possiamo provare a spegnere la programmazione senza pensare a come dovrebbe essere il giorno che stiamo vivendo.
“Comunque vada domani, abbiamo vissuto oggi“, dice Anne Hathaway in un film.

Forse pensiamo al nostro tempo come a un limbo di durata ampissima, in cui tutto è demandato e in cui tutto è possibile “in futuro”. Come se per noi il futuro durasse secoli.
Walter Rolfo, autore televisivo, conduttore e illusionista, ha raccontato una vicenda personale che gli ha fatto riconsiderare l’importanza del tempo:
“Una sera ero a cena con un importante produttore in un ristorante elegante, quando ho sentito un rumore improvviso. Il tavolo ha tremato e mi si è rovesciato addosso un bicchiere di vino rosso. Una cena importante rovinata da una macchia! Un piccola macchia alla quale, però, ho dedicato 11 minuti di attenzione, rabbia e dispiacere.
Poi ancora quel rumore, di nuovo il tavolo che trema: ma a quel punto nulla aveva più importanza perché la mia priorità, come quella di tutti gli altri a bordo, era di salvarmi la vita. Quella sera ero a cena sul ponte quattro della Costa Concordia. Sarei potuto morire quella notte, e avrei sprecato gli ultimi 11 minuti della mia vita pensando a un’inutile macchia sulla camicia. Allora mi sono chiesto, quante macchie ci sono nella nostra vita che non contano? E quanto tempo sprechiamo preoccupandocene? Da allora ho cambiato le premesse e, ogni volta che mi trovo davanti a un problema, a qualcosa che non mi piace o mi dà fastidio, sposto le lancette del mio orologio, vado avanti col pensiero di 11 minuti e mi chiedo: questa cosa, fra 11 minuti, sarà ancora così importante?”
A day in the life. Una giornata nella vita.
Inizio di primavera, cielo abbagliante che minaccia pioggia. Sono seduta su una panchina a leggere un libro di Luisa Carrada in cui si parla, nell’incipit, di paura dei fogli bianchi e di magia della scrittura, di quell’alchimia tra noi e le parole che richiede di tuffarci in acque gelide alla scoperta di ciò che i testi hanno da raccontarci su di noi.
Un allenatore di calcetto, a pochi metri da me, dice a uno dei bambini che allena “Per fare goal non devi avere fretta. Tu prova senza paura di sbagliare: se sbagli non succede nulla“.
L’allenatore mi ha raccontato quanto sia importante dare ai bambini la libertà di esprimersi sul campo senza costrizioni, di insegnare loro il rispetto dell’avversario e dell’amico in difficoltà prima ancora del rispetto dei ruoli e dei goal. Mi ha detto quanto sia fondamentale fornire ai bambini gli strumenti per essere autonomi in campo anche senza il controllo di un arbitro che assuma il ruolo di “cane da guardia”.
Interno, sera. Una ragazza che lavora in un caffè della mia città mi ferma per dirmi che ha scoperto Frasivolanti. Incurvo le spalle e, sorvolando sui cinque minuti in un misto di vergogna e passeggero autocompiacimento, cominciamo a parlare di fronte alla porta della toilette. Non proprio il luogo ideale in cui fermarsi, ma in quei pochi minuti il punto cruciale del discorso è stata la nostra esigenza di coerenza in tutto ciò che facciamo. Sembra un concetto aulico e scontato, ma non lo è. Oggi è molto più usuale vivere di apparenze e farsele bastare pensando che ci rispecchino.
Una giornata particolare è trascorsa, riempita da parole dette e lette, ascoltate per caso o pronunciate tra una porta del bagno e un corridoio. Parole che lasciano tracce nuove da mettere in ordine. Sono così i giorni memorabili raccontati da Dickens?
Un giorno nella vita. Quanto conta un solo giorno? Quanto vale per noi il modo in cui decidiamo di viverlo?
In alcuni giorni i miraggi che hai dentro sembrano più vividi e li vedi riflessi negli altri: nello sguardo di chi allena un gruppo di bambini senza insegnare che vincere è necessario, nei libri di chi lavora con le parole, negli occhi di chi coltiva la speranza di cambiare almeno il proprio piccolo mondo, nelle parole di chi non è più un punto invisibile nelle tue giornate ma diventa una storia.
In giornate come questa ci sembra che non sia poi così importante sapere cosa avverrà dopo o chiederci come sarebbe andata se. In giornate qualsiasi ci sembra di poterla addirittura dominare quella paura del dopo e del vuoto, e lei ci fa credere che sia lì solo per farci capire che la sua presenza è inutile.
“It’s times like these you learn to live again
It’s times like these you give and give again
It’s times like these you learn to love again”
(Times like these, Foo Fighters)
Mi sorprendo a canticchiare la melodia di A day in the life dei Beatles – un giorno nella vita – e mi ritrovo a pensare che i nostri giorni sono singoli pezzi di un quadro per noi ancora incompiuto. Un quadro che probabilmente non conosceremo nemmeno quando avremo terminato di dipingerlo e in cui giorno è un racconto, una pennellata indipendente dalle altre.

“La vita è fatta di tanti momenti diversi, e ogni tanto arriva anche il momento di ridere, così all’improvviso, come uno starnuto, a lei non capita mai?”
“No, è sicuro, la vita, qualunque sia, vale la pena di essere vissuta, si dice così. E poi arriva sempre un pappagalletto a ricordarcelo. Solo che oggi per me è una giornata particolare, lo sai? È come in un sogno quando… quando vuoi gridare e non ci riesci perché ti manca il respiro! Però ho voglia di parlare! Parlare! Parlare! Te ne accorgi vero? Oppure che ti devo dire? Scendere nella strada, fermare il primo sconosciuto e raccontargli tutti i fatti miei, ma fino a spaventarlo!”
(dal film Una giornata particolare)
I nostri giorni sono somma di mille piccole cose a cui rischiamo di non far caso, ed è facile così ripensare alle parole di Le chiavi di casa.
“E poi disegno sopra un foglio col compasso un cerchio che ha lo spazio messo a tua disposizione e protezione
E poi lo strappo
Perché il tuo posto è il centro
Padrone del tuo tempo
Padrone di te stesso
E se sapessi che un pericolo è un pericolo per davvero
Saprei più precisamente
Quale scivolo evitarti
Tu prenditi i tuoi rischi”
Mi ricordano quanto sia poetico, seppur difficile, accettare i rischi di ciò che avverrà e di quello che non sappiamo.
Laura Ressa
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