
Nel giorno del suo matrimonio, mia sorella è stata ritratta dai fotografi nella mia stanza. Una stanza che un tempo è stata anche sua.
Alle spalle di mia sorella, nella foto, compare una scrivania bianca con ripiani che si sviluppano in altezza. Alle pareti molte foto, al lato della scrivania bianca c’è n’è un’altra più piccola con sopra alcuni oggetti, e poi libri e quaderni a perdita d’occhio che quasi occupano tutto lo spazio disponibile nell’obiettivo del fotografo. Lateralmente compare anche una piccola poltrona con alcuni peluche adagiati sul cuscino. Si intravede pure una maglietta poggiata sulla sedia e dimenticata lì.
Quando ho visto la foto, ho pensato: è davvero questo lo scopo di un reportage fotografico? Riuscire a vedere rappresentata la tua vita come dipinta da un’artista, ma senza la pretesa che quella rappresentazione debba essere un’opera d’arte da esporre in galleria. Perché anche se non piace a tutti o non rappresenta tutti, è un’opera d’arte per chi quella vita l’ha vissuta e per chi quella vita l’ha saputa ritrarre.

Non immaginavo che un giorno la mia stanza sarebbe diventata sfondo di un reportage fotografico. Non osavo ambire a tanto, anche perché mia madre l’ha sempre definita “un bazar” sin da quando ero bambina, e oggi tra “mercatino dell’usato” e “negozio dei cinesi” gli appellativi per definirla si sprecano.
Tuttavia la bravura di un fotografo sta proprio nel saper ritrarre le persone nei loro habitat naturali, senza fondi colorati con il pennarello.
Tutti dicono che siano le rughe a determinare i segni del tempo, io dico che invece sia la “roba” a farlo: tanto quella accumulata e che si vede ancora, quanto quella che non c’è più perché è stata gettata via nel corso degli anni.
Ecco, l’importante è non vedere troppa poesia in situazioni stile sepolti in casa quando l’accumulo diventa patologico. Ma già così (vedi foto) una certa patologia c’è.
La scrivania bianca in fondo ci ha viste crescere, dai compiti a scuola agli esami all’università fino ai libri accumulati e alle foto poggiate per non dimenticare i volti delle persone. Le sedie e le altre scrivanie sono state appoggi utili per lasciarci su le cose che via via sono passate di lì e poi sono state spostate o che hanno raccolto polvere.
Gli armadi, che qui non si vedono, hanno contenuto vestiti e sorretto grandi faldoni, raccoglitori, libri di scuola, libri di fiabe, vocabolari, atlanti, tesi, album di figurine, album fotografici.
Ci meritiamo sfondi e vedute sfavillanti, certo. Ma dove la mettiamo la nostra storia? Un cielo pieno di sole o abbagliato da un tramonto è troppo grande per contenere la nostra storia: e saremmo presuntuosi a pensare il contrario.
La nostra storia entra invece nelle case, nelle nostre stanze: tra le pareti di fronte a cui abbiamo pianto e urlato, tra le porte vicino a cui abbiamo atteso in silenzio che passasse la notte, tra i lucchetti dei diari segreti, nei disegni fatti a mano libera e appiccicati alle pareti, nella colla delle foto staccate dagli armadi, nei peluche che ancora conserviamo, negli specchi di fronte a cui ci siamo vestiti insieme per un giorno importante.
In questa foto non c’è solo una sposa, e dietro alla foto non c’è solo un fotografo. In questa foto c’è mia sorella (quella che era e quello che è), la mia infanzia, il presente. Ci sono gli oggetti, la roba, le cose, i soprammobili inutili, le caramelle non mangiate, i libri ancora non letti, le penne con cui ti dispiace scrivere e che tieni nel portapenne solo per bellezza.
Questo è lo spazio ideale in cui puoi concentrare tutte insieme le storie che hai collezionato nel tuo piccolo angolo fulmineo di vita.
Saremmo sciocchi, forse, a dire il contrario, a pensare cioè che la nostra vita sia così grandiosa da meritare sempre di essere contenuta nella luce del sole o in uno sfondo sfavillante.
Io sarei molto contenta di lasciare solo un piccolo paradiso di oggetti inutili e di ammennicoli. O di aver collezionato solo quelli nella vita anziché pezzi per una galleria d’arte, ad esempio.
Prima di lasciarli ai posteri però, devo allenare il mondo a saper riconoscere il valore della roba accumulata.
Per questo motivo penso che questa foto sia un’opera d’arte.
P.S. la maglietta appesa alla sedia non è mia
Laura Ressa
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Copertina: Foto di CauliWeddings, © 2017 Tutti i diritti riservati