Essere riconoscenti. Un esercizio facile che mi è venuto in mente di fare qualche giorno fa mentre sciacquavo le tazzine del caffè. Ho pensato a quanta riconoscenza io debba alle persone che mi stanno accanto, in modi diversi, ogni giorno o quasi.

La riconoscenza è una scelta, una capacità da esercitare e da rodare. Altrimenti ce ne dimentichiamo e cominciamo a non dare più peso all’atteggiamento che le persone hanno nei confronti dei piccoli o grandi passi che compiamo.

Sono riconoscente a 4 persone per ciò che mi hanno permesso di fare negli ultimi anni e mesi. Per il modo in cui costruiscono la persona che sono, con il loro esempio, l’apporto sincero, curioso, attento. Provate anche voi a fare questo esercizio, non ve ne pentirete.

1) Parto da mia sorella, perché il sangue è un legame semplice ma non sempre duraturo. E non è detto che resista al tempo e sia genuino.
Le sono riconoscente e grata per il merito di esserci. Perché resta elemento stabile, con lo sguardo puntato verso di me e su qualsiasi cosa io faccia.
Uno sguardo spesso benevolo e a volte rompiscatole: devo riconoscerle però anche il merito di aver imparato a smussare il suo lato pedante e giudicante.
Mi incita a non aver paura, a compiere il passo decisivo anche se penso di non essere in grado di farlo, ché magari scopro di esserne capace. Mi dice “brava” se me lo merito, ma dice anche “che schifo!” quando qualcosa che faccio o scrivo non le piace o crede che potrei farlo e riscriverlo meglio.

Mi ricordo i tempi della scuola, quando io piccolina la rincorrevo fin dentro al bagno per chiederle di controllare se c’erano errori nei miei compiti per casa.
Lei è stata la mia editor, il mio sguardo oggettivo ma fraterno, l’obiettivo di una macchina fotografica che tuttora mi aiuta a mettere a fuoco il fulcro delle cose che voglio fare, dire, scrivere. Mi dà stimoli verso ciò che potrei e vorrei fare.
Mi sorregge senza fare le cose al posto mio, mi legge senza dare per scontato che quel che scrivo sia bello e corretto, segue quel che faccio non solo perché è mia sorella ma perché ciò che ci lega è soprattutto una stima reciproca e profonda non legata al sangue.
Ho raggiunto una grande conquista nel tempo: sbagliare da sola.
Questo vuol dire che posso anche non seguire i suoi suggerimenti. Ci è voluto del tempo, ma ce la stiamo facendo a capire che dai consigli c’è sempre qualcosa da salvare, e soprattutto che i consigli si chiamano così perché non vanno seguiti alla lettera ma lasciati in mano a chi li riceve e deciderà come usarli.

Photo by Nicholas Bartos on Unsplash
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2) La seconda persona a cui sono grata è Mimma, la mia collega.
Talvolta diamo per scontato quanto tempo si passi al lavoro, gomito a gomito con altre persone che non abbiamo scelto noi ma ci sono capitate per caso come quando peschiamo i numeri dal sacchetto della tombola. Con la differenza che nella realtà le possibili combinazioni di colleghi sono assai più numerose dei numeri nel sacchetto.
Il tempo che spendiamo in azienda, tra le mura di una fabbrica o di un ufficio spesso ci portano via molte ore della giornata che non nessuno ci darà indietro e di cui non potremo mai più godere fuori.
All’inizio, quando conosci persone nuove sul posto di lavoro parti quasi sempre dal presupposto che non saranno mai amici o che dovrai avere i piedi di piombo e la mente sempre attenta a chi “vuole farti le scarpe”.
A volte è davvero così, diciamo che lo è spesso. Mischiare gli aspetti della vita può infatti risultare rischioso e controproducente, però poi capisci che i lavoratori sono quasi tutti sulla stessa barca e che se tratti bene le persone, difficilmente quelle persone avranno il coraggio di trattarti male. Almeno è questa l’idea in cui continuo a sperare.
Dunque sul lavoro per me vale la regola millenaria del karma: non fare ai colleghi ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Negli ultimi anni ho capito che può esistere una cosa che si incastra nel mezzo fra amicizia e stima tra colleghi, e che dunque ha bisogno di una sua definizione perché non è né l’una né l’altra cosa.
Potrei definirla STIMIZIA, coniando un nuovo termine con cui spero di non turbare gli Accademici della Crusca.

La stimizia, come la chiamo io, per me è la capacità di stimarsi con sincerità e autenticità, superando sia il primordiale “non mi fido” sia il “siamo amici fuori”. Alla seconda frase non credo molto, alla prima invece ci credo ma penso che si possa superare la scarsa fiducia o la titubanza iniziale.
Le maschere possono convincerti, ma prima o poi sbiadiscono. Se fingi sul luogo di lavoro, o sei un bravo attore o sei un furfante. Per fortuna le bugie di solito hanno vita breve e gambe corte e io credo che ognuno, in cuor suo, capisca i colleghi più di quanto non dica o non lasci trapelare.
Mimma per me è un esempio importante, non solo per la sua esperienza e per le cose che da lei ho imparato a fare in questi anni ma anche per il modo di intendere il lavoro quasi come una missione.
Lei è la tipica persona di cui diresti: ci tiene a svolgere un lavoro ben fatto! Portato con cura a termine senza sbavature.
Mimma per me è stata anche un esempio di entusiasmo: soprattutto quando mi ha vista giù di morale ha trovato il pretesto per farmi guardare oltre la contingenza e farmi ritrovare la motivazione per mettermi all’opera.
Mi ha spronato in molte situazioni, e ci ho fatto caso in questi anni anche se molte cose sul lavoro accadono in mezzo ai non detti e ai sottintesi. Ma è proprio grazie all’intelligenza relazionale che spesso capiamo le situazioni e impariamo a calibrare le reazioni.

Mimma ha uno spirito propositivo che spinge a non abbattersi nonostante tutto intorno sembra indurti a farlo. Uno spirito che racchiude in sé la voglia di sorvolare su ciò che non va per costruire con le proprie mani giocosità, intuizione, ponti verso gli altri fatti di esperienze condivise, oppure momenti in cui fermarsi a ragionare e far capire che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe.
In più casi ho pensato che tutte queste cose non servissero a nulla, ma Mimma mi ha mostrato che il lavoro può e deve essere conoscenza reciproca e crescita, sollevarsi nei momenti in cui si vorrebbe mandare tutto all’aria. Mi ha mostrato quanto siano vitali la pazienza, la calma e la precisione nel lavoro di ogni giorno, anche nei compiti che ci possono sembrare ripetitivi e scontati. E tutto questo me lo ha dimostrato non solo sul lavoro: per lei questi sono leit motiv presenti in tutto quel che fa.
E dunque la ringrazio, perché penso di farlo poco. La ringrazio anche perché ha attivato la notifica email che la avvisa ogni volta che pubblico un post sul mio blog (“così leggo quello che scrivi” – mi ha detto), e perché mi ha spesso mostrato la sua stima per la passione che metto in ciò che mi piace.
La ringrazio, e lo faccio in forma scritta, sì, non solo perché scripta manent ma anche perché verba vergognent. Mi riesce più facile essere riconoscente scrivendo: quasi come in un incontro con il proprio psichiatra o come quando ti senti pronta a vuotare il sacco e a raccontare la tua storia.

3) Ed ecco la terza persona a cui sono grata e riconoscente. Si chiama Rosanna e anche stavolta si tratta di una collega, sebbene con lei non passi giornate gomito a gomito poiché lavora in un altro team.
Le nostre postazioni comunque si trovano a poca distanza e non è raro per noi incrociarci e fermarci a parlare nei corridoi dell’azienda.
Rosanna è una di quelle persone curiose per natura.
Curiosa di approfondire, di conoscere quel che nutre la mente.

Rosanna segue da vicino quel che scrivo sul blog e ha spesso partecipato agli incontri letterari che ho organizzato negli ultimi tempi.
Mi sono fermata a pensare che forse non l’ho mai ringraziata a sufficienza: la presenza e l’interesse delle persone verso quel che fai sono doni a cui dar peso e verso i quali dobbiamo sempre essere riconoscenti. Sono regali speciali, spesso fatti da gente altrettanto speciale e attenta.
Sono grata a Rosanna, dunque, riconoscente per la sua curiosità verso ciò che faccio. Ma è troppo facile — direte voi — : chiunque sarebbe riconoscente dopo aver ricevuto attestati di stima.
Qui il ringraziamento è amplificato dal fatto che oggi è divenuto arduo trovare persone che mostrino un vero interesse verso iniziative culturali e verso le passioni degli altri. Siamo presi dalle nostre vite, dai nostri interessi, e a volte nella fretta generalizzata facciamo poco caso agli altri.
Rosanna è una delle persone che mi spingono a fare meglio: mi fa dire a me stessa “se ha detto che mi stima, devo dimostrarle che non si è sbagliata”. Potrebbe sembrare una pretesa esagerata verso se stessi, ma la stima delle persone nei miei confronti la vedo spesso come una sorpresa immeritata.
Quindi, proprio per questo, quella stima mi impone di continuare, di migliorarmi.
Mi dico: le persone che mi sono accanto, se lo meritano!

4) La quarta, ma non ultima, persona che ringrazio si chiama Davide.
Per lui non servono fiumi di parole, come direbbe una coppia sanremese. Se ne usassi troppe, calpesterei una zona personale che non tutti siamo disposti a mettere in vetrina.
Non sono qui per mostrarvi la mia vita dalla serratura ma per far sì che la mia storia tocchi in parte anche la vostra.
Lo ringrazio per essere albero maestro della mia nave spesso in tempesta, per essere barra di ricerca, narratore di libri, appassionato di storia, conoscitore delle capitali del mondo, notiziario vivente e occhio che sa guardare meglio e più di me su certe situazioni e comportamenti.
La presenza di alcune persone nella nostra vita ci rende migliori anche nei momenti in cui ci sentiamo peggiorati, anche quando ci poniamo con affanno nuovi obiettivi da raggiungere e riempiamo le nostre liste di impegni e cose da fare che imponiamo a noi stessi.
Qualche volta ci farebbe bene invece saperci fermare in porto. Osservare il pelo dell’acqua, respirare i profumi che abbiamo intorno, ascoltare le parole di chi ci sta accanto, sentirne il respiro, notare i dettagli anziché pensare già a cosa vorremmo fare dopo.


Io sono grata a queste persone e ad altre. Molti fra noi sono fortunati ma non si fermano quasi mai a pensarci, persi come sono nelle proprie lamentele, quelle in cui spesso si inabissano.
Anch’io sono fortunata e non sempre quella fortuna l’ho saputa riconoscere, poiché essa non si misura che con la stima e l’affetto che le persone ti dimostrano senza che tu gli abbia promesso qualcosa in cambio.
La scrittura è lo strumento attraverso cui adesso, finalmente, riesco anche essere grata senza vergognarmene, senza sentirmi stucchevole. Forse anche con la prerogativa di dire qualcosa che non somigli alla copia ritrita di un buon proposito o di una frase fatta.

Quale promessa fareste a voi stessi in questo istante?

A chi siete grati?

Io voglio farmi un paio di promesse: 1) ricordarmi di essere grata; 2) tornare a guardarmi intorno con lo stupore di chi sa far caso a ciò che ha di più bello.

Photo by Amélie Lazar on Unsplash
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Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti