
Chiara Gandolfi, copywriter e speaker pubblicitaria, usa idee, scrittura e voce per far incontrare i brand con le persone.
Lavora con la scrittura creativa e pubblicitaria da 16 anni. La sua esperienza professionale e privata con la scrittura le ha dato gli strumenti per leggersi e scriversi, per farsi del bene, per mettere ordine nella sua storia passata e progettare la storia futura. Quando deve raccontare la storia dei brand che si affidano a lei, tira fuori la loro narrazione e la racconta con sincerità e aderenza.
Si descrive così Chiara, alias BalenalaB, e in questa intervista usa ancora la scrittura per raccontarmi il suo lavoro, quanto conti la paura, come usare la voce per avvicinarsi agli altri. E perché ama così tanto le balene.
1) La tua professione di copywriter consiste nel tirar fuori la personalità dei brand. Studi il nome di un’attività o di un prodotto, il payoff che racchiude l’essenza di una marca, crei campagne pubblicitarie e scrivi testi che abbiano una voce chiara e riconoscibile.
Partiamo quindi dall’ABC, perché credo che molti lo ignorino.
Quanto e perché è importante la voce e il modo di scrivere di un brand o di un professionista?
“È molto importante il modo di raccontarsi sia per una grande azienda che per un libero professionista. Grazie alle parole facciamo capire cosa sappiamo fare e come lo facciamo, chi siamo e perché lo facciamo, qual è la differenza tra noi e tutti gli altri che fanno il nostro mestiere.
Sono le parole che ci fanno vendere i nostri prodotti o i nostri servizi, che ci possono far sentire vicini anche quando siamo lontani. Il web ci permette di raggiungere persone anche lontanissime che con i nostri messaggi scoprono il nostro mondo e comprano da noi.”

2) “Raccontami il tuo segreto. Lo diremo a tutti.” – è questa la frase e lo spirito con cui il tuo laboratorio “quasi palindromo” BalenalaB si avvicina, nella homepage del sito, a tutti i curiosi che leggono quello che fai e che magari hanno bisogno del tuo aiuto.
Raccontare e Segreto: mi sembra un ossimoro voluto perché questi termini sono in apparenza distanti.
Di solito un segreto non viene raccontato, resta chiuso a chiave in un diario o nella mente. E invece il Segreto di un professionista o di un’azienda è spesso proprio la chiave per aprire opportunità, per farsi comprendere, per farsi conoscere, per trovare clienti e soprattutto per scoprire la propria voce e farla emergere.
Perché un’azienda dovrebbe raccontare il proprio Segreto? E perché invece quel segreto non dovrebbe restare chiuso a chiave ma funzionare da gancio per far “innamorare” le persone?
“Non bisogna evitare di esporsi per paura di essere copiati. Tirare fuori il proprio segreto significa innanzitutto essere consapevole della forza del nostro brand: questo inevitabilmente orienta le nostre azioni e ci fa essere centrati e performanti nel raggiungimento degli obiettivi.
In seconda battuta avere un messaggio prezioso da comunicare attira persone in linea con quel messaggio. Ci facciamo del bene a comunicare bene: scegliamo e ci facciamo scegliere dalle persone giuste.”
3) Hai scritto: “quando consegno il mio lavoro, i miei clienti si riconoscono nel nome o nelle parole che ho scelto per la loro storia, trovano finalmente se stessi, si sentono liberi di partire con il piede giusto.”
Trovare se stessi, riconoscersi in un nome, sentirsi liberi di partire: sono queste le azioni che affronti con i tuoi clienti e sono tutte sensazioni legate alla sfera personale ma che non sempre vengono utilizzate in riferimento al lavoro. E forse è proprio questo l’errore che si commette: considerare la voce di un brand come un puro formalismo che deve restare sempre uguale a se stesso o ripetere a pappagallo le frasi fatte da “leader del mercato”.
Credo che questo sia un problema molto diffuso perché a volte le aziende “predicano bene e razzolano male” per usare un’altra frase fatta, oppure offrono un prodotto in cui non credono o, peggio, non sanno raccontare quel che producono.
Quanto ti hanno aiutato le tue esperienze personali nella definizione del tuo lavoro? Perché un’azienda dovrebbe prima imparare a conoscere meglio se stessa per poter essere coerente con i propri prodotti/servizi?
“Sono prima di tutto una cliente. L’esperienza dall’altra parte mi aiuta a capire cosa mi aspetto da un brand e cosa assolutamente non mi piace. Ogni azienda o professionista dovrebbe sapersi mettere nei panni del proprio target: cosa difficilissima ma non impossibile. Quando capiamo a chi stiamo parlando è molto più facile impostare una comunicazione sensata, credibile, aderente.”

4) A proposito della voce di un brand hai scritto: “Da piccola facevo le imitazioni dei personaggi famosi e anche delle persone che conoscevo. Riprodurre la voce delle persone per me significava trasmettere il punto di vista di quella persona caratterizzandola con qualcosa che le appartenesse, che la distinguesse.”
Quanta immedesimazione ed empatia serve per progettare insieme al cliente e definire la sua voce? Dopo ogni nuovo lavoro ti senti svuotata per la fatica e le energie spese o invece ti senti riempita di nuova acqua come una pianta che ha appena ricevuto uno scroscio di pioggia fresca sulle foglie?
“Accetto solo progetti in cui credo: con il tempo, la professionalità, la comunicazione ho potuto permettermi di sposare solo le cause che mi accendono, le realtà che mi stimolano, i business che hanno prodotti e servizi che secondo il mio punto di vista migliorano la vita delle persone.
Questo è un privilegio che mi sono costruita nel tempo e che mi permette di partecipare completamente a ogni progetto a cui lavoro. A seconda delle fasi del lavoro mi svuoto e mi riempio: dono e ricevo, alla fine il mio rapporto con i clienti è molto bilanciato. Ho sempre imparato molto dai miei clienti. Sono felice quando, dopo aver studiato un nome escono allo scoperto, ogni nome per me è un figlio, lo stesso succede con un payoff o con i testi di un sito. La loro gioia è la mia, i loro successi sono anche i miei.”
5) “Credo che si debba sempre dire la verità, meglio se in maniera sorprendente.” – sembra proprio il tuo motto, e non a caso questa è un’altra frase che compare nella homepage del sito BalenalaB.
In un post ribadisci il concetto scrivendo: “Parlare di te, mostrarti per quello che sei è un modo per creare fiducia, per instaurare un rapporto vero con le persone. Non c’è niente che ispiri più della verità.”
Quanto conta per te la verità nella professione e nella vita? Penso con convinzione che essere limpidi sia uno stile che ripaga sempre e ci fa aprire tante porte. Le persone se ne accorgono, vedono se qualcuno bara e se ciò che appare è solo facciata.
La pensi così anche tu? Ricordi esempi o episodi in cui ti è apparso lampante quanto conti essere fedeli a se stessi?
“Si abusa un po’ ultimamente del termine “spontaneo” o “autentico” soprattutto quando è riferito alla comunicazione dei social. Non dimentichiamo mai che tutto quello che leggiamo è frutto di scelte strategiche, è quello che quel brand decide di farci vedere. È normale e va bene così.
La verità in pubblicità e in comunicazione è molto definita: c’è la USP Unique Selling Proposition che è la verità del prodotto, e poi c’è il Concept, la verità del pubblico. Ecco, quando i brand trovano il loro concept e lo sanno sviluppare insieme a dei creativi (art e copy) possono fare grandi passi.”
6) Hai scritto: “La perfezione non esiste e quando esiste è noiosa e banale, infatti è uguale per tutti. I racconti perfetti non appartengono a nessuno. BalenalaB è il luogo in cui si raccontano storie vere, piene di carattere, una diversa dall’altra. Sono pensate e scritte per i professionisti e le aziende che le useranno: niente frasi standard né vite patinate, niente paroloni roboanti e leziosi o miti a 360°.”
Che effetto fanno all’esterno quelle frasi uguali che molte aziende usano in serie? Magari non si ha il budget né la voglia di riporre la giusta attenzione ai testi di un sito o di una brochure, si preferisce pensare ad altri costi e altre necessità. Eppure sono i testi e la voce del brand a parlare all’esterno. Sono il fulcro di tutto!
Questa coscienza comunicativa secondo te si sta diffondendo oppure trovi ancora una mentalità aziendale in cui la scrittura non conta poi così tanto?
Quali tipi di aziende o professionisti (ora non vorrei dire “illuminati” ma ci siamo capite) scelgono di affidarsi a un professionista del copywriting o formano le proprie persone per attività di comunicazione?
“Qualche anno fa era più complicato far capire il valore di un testo ben scritto. Oggi, grazie al fatto che se ne parla molto, tante aziende hanno capito che se non investono nei loro contenuti, difficilmente potranno stare al passo di chi lo fa già bene.
Non è solo colpa delle aziende se non capiscono il valore della scrittura è colpa anche di tutti quei web writer che si fanno pagare 5 euro 10.000 battute e che così facendo contribuiscono alla svalutazione della professione e dei risultati che puoi ottenere con un buon lavoro di copy. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di lavorare con molte realtà davvero diverse tra loro: multinazionali, aziende piccole o medie, liberi professionisti. Non riuscirei a definire uno standard: le persone che percepiscono il cambiamento chiamano un copywriter e soprattutto sanno scegliere quello giusto per loro.
Non tutti gli scrittori per il business sono uguali: c’è chi è ferrato sulla SEO e allora si chiama web writer, chi scrive i post per i social e quello è un content creator, chi si occupa di revisione e allora è un content editor, chi si occupa di pubblicità e si tratta del copywriter tout-court.”

7) In un post sul blog di BalenalaB scrivi: “La paura di dire cose banali, ce l’abbiamo un po’ tutti. Vorremmo sempre farci riconoscere per idee originali e renderci autori di scoperte straordinarie. Ma quello che è banale per noi potrebbe non esserlo per chi ci legge.”
Che rapporto hai con la paura? Mi riferisco sia a quella che provi nel lavoro sia a quella che riguarda la sfera personale.
Una delle paure più comuni per chi scrive, oltre al foglio bianco, è appunto la paura di scrivere cose banali. Tu come la superi?
“Scrivo, lascio andare e me ne faccio una ragione. Ho buttato all’aria milioni di miei piani editoriali, così ora non li faccio più, ho solo un’idea di massima di quello che pubblicherò sul blog. Qualche mese fa mi chiedevo come mai dalla mia newsletter si disiscrivessero sempre due, tre, cinque persone, mi prendevo male, ma poi ho capito che era meglio così, stavo cambiando la profondità delle cose che scrivevo, stavo chiedendo più attenzione ed era giusto che chi non si ritrovava più potesse andarsene.
Per contro, in risposta alle ultime newsletter ricevo diverse risposte di persone che mi dicono quanto quel contenuto sia interessante. È così, non possiamo piacere a tutti, quando lo capiamo stiamo molto meglio e pubblichiamo con più gioia.”
8) Utilizzi sempre la tua voce per leggere i tuoi post e le newsletter e renderli disponibili in versione audio. In che modo la voce ti ha aiutato ad avvicinare le persone? Senti che la voce trasmetta i tuoi contenuti più velocemente e meglio delle parole scritte oppure questi due mezzi si equivalgono?
“Ho lavorato in radio diversi anni come speaker e copywriter, ho fatto teatro, reading in giro per l’Italia: la voce è uno strumento che ci avvicina (o ci allontana). Lo uso per dare la possibilità alle persone di conoscermi meglio, tra le pieghe delle mie espressioni e per facilitare chi non ha modo di leggere testi molto lunghi ma magari è in giro a fare le faccende di casa o in auto e può ascoltare.”

9) Nel tuo blog scrivi anche: “Il come lo diciamo è parte del cosa vogliamo dire, infatti la forma è il primo messaggio che riceviamo, la forma è un contenuto.”
Che consigli daresti a un’azienda che si appresta a scegliere un copywriter per riscrivere i testi di un sito, per le brochure, per trovare un nuovo nome o un payoff?
“Fidatevi dei professionisti che scegliete, siate aperti e generosi nelle informazioni.”
10) Nel film di Star Trek Rotta verso la Terra si parla di balene e quando mi hanno raccontato la trama, ho pensato a te e alla tua predilezione per questo animale.
Il film racconta il ritorno sulla Terra dell’ammiraglio Kirk e di un messaggio che avvisa che la Terra è sotto attacco da parte di una sonda spaziale aliena. La sonda vuole mettersi in comunicazione con le balene megattere, la cui specie però è estinta.
Kirk comincia quindi un viaggio nel tempo per recuperare le balene e salvare il pianeta.
Questa trama mi ha fatto pensare a BalenalaB, alla comunicazione, al rischio di estinzione, ai viaggi nel tempo. Il film (del 1986) trattava anche tematiche ambientali, un argomento poco attuale allora.
Quello che mi colpisce è l’idea di un ritorno al passato per recuperare un linguaggio perduto, una specie perduta. In che modo la scrittura ci fa comunicare con la parte perduta di noi? E come la comunicazione può salvarci dall’estinzione o dai pericoli?
Delle balene è famoso il “canto” che consiste in una serie di suoni prodotti per comunicare e che ricorda il canto umano.
Come interpreti il legame tra scrittura/comunicazione/voce e la rappresentazione delle balene nel nostro (e tuo) immaginario?

“Sono reduce da una giornata in aula in cui ho tenuto un corso di scrittura autobiografica che si chiama Storione: la scrittura è uno strumento molto potente per metterci in contatto con tutte le nostre parti, quelle dolorose, quelle che vogliono cambiare ma sono rimaste intrappolate, quelle che sono state felici, quelle che vogliono esserlo ancora, quelle si vogliono lasciare andare. Attraverso la memoria e l’immaginazione che usiamo nella scrittura autobiografica scaviamo, ci ritroviamo e possiamo così progettare un futuro più soddisfacente.
Il mio nome, BalenalaB, fa emergere proprio questo legame tra comunicazione, linguaggio, voce, respiro. Lo sai che le balene sono “respiratrici coscienti”, devono cioè decidere quando respirare? Il fatto che sappiano comunicare a chilometri di distanza tra loro e che ancora l’uomo non sia riuscito a decodificare questo linguaggio mi affascina.”
11) Parigi ora è la tua casa. Ho conosciuto questa città per la prima volta nel 2014, in un viaggio di 5 giorni che ho fatto in solitaria. La tua storia mi affascina anche per questa allure di parigino romanticismo con cui infarcisci spesso i tuoi post su Instagram e le avventure parigine che racconti online.
Quindi chiudo l’intervista chiedendoti: qual è la cosa più bella che hai scoperto appena arrivata a Parigi e in che modo i cambiamenti della tua vita ti hanno aiutata anche nel lavoro?
Come alimenti la creatività? Sei una persona che si ferma sugli allori di un buon lavoro già fatto o vai alla ricerca di nuove scoperte e, quindi, anche di novità?
“Vivere a Parigi è un toccasana per la mia professione. Piena di stimoli e novità quotidiane e allo stesso tempo sempre lei nella sua bellezza inaudita, questa città mi mette in contatto con la mia fragilità e la mia determinazione. In un paese straniero, dove tutto ricomincia per l’ennesima volta, o ti ritrovi a subire gli eventi o gli eventi li crei. Ho deciso di prendere di petto tutto quello che mi succedeva, di dire sì allo sconosciuto, al difficile, al nuovo.
Non è sempre romantico vivere qui: è una città dalle mille facce, costosa, imprevedibile, piove. La cosa più bella che ho visto a Parigi è la capacità delle persone di accogliere la diversità. Puoi vestirti come vuoi, essere di qualsiasi colore di pelle, orientamento sessuale, religione, cultura, nazione. Nessuno qui ti fa sentire sbagliato.”

Seguo il blog di Chiara Gandolfi da tempo, e prima di chiederle questa intervista ho ascoltato la sua voce nel 2° episodio di “Lingua”, il podcast di Mariachiara Montera.
Ascoltando quel podcast, mi è sembrato di vedere alcune parti della mia storia.
Ascoltare quelle parole mi ha fatto apparire dolce anche l’inadeguatezza che spesso ci cuciamo addosso e che molte volte ho sentito su di me. Quella sensazione di inadeguatezza che mette freni anche a ciò che di bello possiamo esprimere, inventare, coltivare.
La luce che possiamo donare attraverso le parole, il nostro lavoro, la nostra passione o la nostra manualità, può sprigionarsi liberamente ma dobbiamo avere il coraggio di alimentarla e accenderla. Si tratta della stessa luce ci permette, a un certo punto del percorso, di vedere meglio, di ammettere le nostre debolezze, di parlarne agli altri, di cominciare un cammino di cura (qualsiasi essa sia), di fare dei nostri vuoti un’arma per cominciare a costruire a partire dallo spazio disponibile su quei vuoti. Ché evidentemente più che vuoti, sono le fondamenta di quel che c’è dopo.
Nella voce limpida di Chiara possiamo sentire anche le nostre cicatrici, ed è nella voce (e nelle parole) che troviamo anche il coraggio per abbattere i muri che abbiamo costruito con anni di incertezze e paure.
Per abbattere un muro serve coscienza di sé e, come per la buona scrittura, serve soprattutto capire a chi vogliamo comunicare e in che modo.
Comunicare con se stessi è la parte più difficile del viaggio, ma Chiara in questa intervista mi ha ribadito che non bisogna aver paura del foglio bianco e che non dobbiamo disperarci se qualche nostra parola va fuori posto. Ci impegniamo per fare al meglio, ma è normale non piacere a tutti.
Quindi mi convinco che la scrittura, proprio come un processo di cura, può essere un cucchiaio di miele, una tazza di tè caldo, il balsamo che scioglie i nodi fra i capelli ricci, le coperte calde al termine di una giornata fredda o un tuffo nella doccia fresca dopo la calura estiva.
Comunicare, scrivere, usare la voce e le nostre parole, ascoltare, coltivare le cose belle che sappiamo fare, aprire i varchi, sono sane abitudini che portano a farci del bene, ad accettare il rischio con serenità, a scegliere quali sono le nostre parole. E qualche volta ci aiutano anche a farci salvare da quelle parole.

Laura Ressa
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L’immagine di copertina e le foto contenute nel testo sono state gentilmente concesse da Chiara Gandolfi e tratte dai siti:
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