
Avete presente la canzone Raindrops Keep Fallin’ on My Head del 1969 scritta per il film Butch Cassidy? Quella che tradotta in italiano dice “Gocce di pioggia cadono sulla mia testa”. Oggi mentre spegnevo le candeline del mio compleanno soffiandoci sopra, le scimmiette nella testa l’hanno intonata come colonna sonora per suggellare il momento.
E ho pensato: Oh my God, non avrò mica fatto cadere qualche droplets sulla torta con questo soffio energico? Quindi la canzone nella testa si è trasformata in Droplets keep fallin’ on my birthday cake per l’occasione.
Comincia così questo post. Il post più difficile della vita fin qui, in cui con slalom di fantasia ho dovuto svisare come in musica e fuggire dalla locuzione “ai tempi del” ormai divenuta invisa a molti. Al 38° editing e a 49 a 2 di punteggio, incontrai di nuovo lo sguardo della mia tastiera esausta! E decisi che questa sarebbe stata la versione definitiva del testo.
“Volevo abbracciarvi, ma dovremo aspettare ancora”. È dolce la consapevolezza di una persona cara che aspetta il nostro prossimo abbraccio, svela quella tenerezza che avevamo accantonato perché nel tempo diventa scontata e fa da sfondo alla scena principale.
D’ora in poi potremmo decidere di stringere più forte, per quella macabra sensazione del “potrebbe essere l’ultima volta” e chissà che non sia corretto seguire la filosofia del vivere ogni giorno come fosse l’ultimo. Non per gli eccessi da addio, ma per mettere le papille su ogni cosa e colmarcene gli occhi.
Il virus ci ha messi in uno stallo che pensavamo di poter arredare a nostro piacimento, come il famoso tunnel. E invece è lo stallo che sta arredando noi.
Alle pareti ha messo il pallore delle guance, disabituate al sole, e sul tavolo molte cose da poter fare. Tutte profumate come la carta fresca di stampa degli album antistress da colorare. Nella testa mettiamo ciò che leggiamo, di fretta, e in cui ognuno ci dà consigli o nella migliore delle ipotesi ci offre occasioni di approfondimento e formazione.
Per terra però il pavimento sembra pieno di colla, vorremmo arrivare al nostro tavolo delle occasioni ma lo stallo ci ha imposto di restare nelle sabbie mobili, volenterosi ma inchiodati a un pavimento che prima o poi dovremo lavare.
Quando comincio a leggere un testo, mi stanco alle prime righe.
Scorro in basso. A volte mi fermo al titolo. Sono avvolta da uno sbadiglio neuronale. Sprofondata in un cuscino, senza occhiali e con l’udito ovattato.
Sento che mi manca il tempo e le energie.
Cerco spiragli per scrivere, ma mi distraggo qua e là sui social o fissando la polvere sui mobili.
Su Facebook mi casca l’occhio su uno di quei video suggeriti con uno sketch di MedioMan interpretato da Fabio De Luigi. Guardo tutto il video senza audio: c’è lui che cerca di salvare Paola Cortellesi dagli scivoloni sul pavimento dovuti all’eccesso di cera. MedioMan risolve spargendo per terra le ceneri prese da un’urna che trova fra la mobilia di lei, ignara.
Interno, notte. Sono davanti al mio tavolo, quello pieno di opportunità e cose da fare. Ci sono arrivata. Mi siedo davanti alla tastiera ma le parole sono zanzare che ruotano attorno alla testa e vogliono pungermi, fanno rumore ma non ne becco una. Restano sospese come bolle di sapone senza nome e senza storia.
Scrivo. Mi fermo. Riprendo. Cancello. Cambio idea ancora.
Mentre mi addormento mi convinco che sto per avere la grande ispirazione e che mi pentirò di non aver dato sfogo a questo flux of consciousness perché domani sarà già passato l’attimo.
Chiudo gli occhi.
Qual è stato l’ultimo abbraccio che ho dato alle persone care? E il bacio o la stretta di mano che ho lasciato a qualcuno un mese fa? E quali occhi estranei ho incrociato prima che fosse impedito incrociarsi?
Abbiamo bisogno degli altri per inventare? Abbiamo bisogno degli altri per dare un volto ai pensieri e scrivere? Oppure questo smarrimento è solo mancanza di sole e vitamina D?
Oggi è il 5 Aprile, è domenica, è il mio compleanno. L’ho cominciato intonando Droplets keep fallin’ on my birthday cake così come tante volte in passato questo giorno è stato dedicato alla decorazione delle uova sode o ai rametti d’ulivo buttati in testa per dare la mia benedizione tra le risate e gli sfottò.
Pensavo fosse peggio compiere gli anni durante una pandemia, e invece. E invece le cose bisogna farle raffreddare per vederle dalla giusta prospettiva.
La ricorrenza mi è capitata in un anno bisesto in cui sto costruendo qualcosa di buono con la mia rabbia e il mio rammarico, che tante volte ho pensato di riversare sugli altri e che invece stavo riversando solo su me stessa.
Un bellissimo esercizio di sottrazione che consiglio. Sottrarre importanza a ciò che per noi non ce l’ha, sottrarre tempo a pensieri che ci rendono pesanti i passi. Sottrarre le zavorre che ci negano la leggerezza.
Interno, notte. Sono sempre davanti alla stessa tastiera a riscrivere questo testo mille volte.
Da quando #restoacasa è diventato il nostro mantra, non metto più l’orologio al polso. E non c’è momento migliore per capire il valore del tempo come quello che segna il finire del giorno.
Adesso è tutto fermo, ma proprio adesso il mio tempo è un parametro che non posso misurare con gli strumenti di prima. Il tempo è un liquido, lo travasiamo da una parte all’altra e lui si allarga o si allunga ma non ci appartiene.
Gli orologi non li guardo e stavolta il compleanno non mi ha portato a considerazioni filosofiche sui massimi sistemi come mi sarei aspettata. Nulla da dichiarare, vostro onore. Il bagaglio di storie e colpe che ci portiamo addosso ha bisogno di essere svuotato nel più vicino cassonetto. E anche in fretta.
Allora andiamole a buttare queste scorie!
Un compleanno in “pandemia” quest’anno, un termine divenuto tanto familiare da somigliare quasi a “birreria”.
“Vado un attimo a festeggiare in pandemia” mi verrebbe da dire. Ma la festa non è fuori.
E fuori, quando ci torneremo, mi piacerebbe che nessuno pensasse al fuori come a una scorciatoia, che non si vedesse la folla come un luogo per dimenticare l’individualità.
Mi piacerebbe disimparare la produttività fine a se stessa e l’urgenza ad ogni costo.
Mi piacerebbe potervi dire che questo tempo nuovissimo mai provato ci sta aiutando a:
studiare, fare progetti, ignorare, rallentare, rimandare, ripensare, ciondolare, oziare, dormire.
Ma che ve le dico a fare tutte ‘ste belle cose se ho impiegato più tempo per scrivere questo post che se dovessi riaffrescare la Cappella Sistina con la tecnica del puntinismo.
Poco ci sollevano articoli come questo (ce ne sono molti) che ci dicono quanto sia normale sentirsi improduttivi adesso. Noi ci imponiamo di fare cose! E più non ci riusciamo, più ci intestardiamo per farle.
Un recente articolo dice pure che il multitasking non esiste e che bisognerebbe fare una cosa alla volta. Bene, allora proviamoci.
Il qui e ora per me non esiste più: se non sai aspettare finirai con il consumare il tempo e a bruciarlo per rispondere in tempo reale a messaggi, richieste, sollecitazioni.
Mi regalo il silenzio, quando necessario, e anche quella liberatoria indifferenza, così sottovalutata ma spesso così necessaria di fronte a situazioni, eventi e persone che aggiungono pesi alla zavorra.
Alla domanda “Cosa ti porterai e ti terrai stretto nel postcovid?” in un’intervista Paolo Iabichino ha risposto: “Una nuova idea del tempo. Sto imparando che niente è più urgente. Il nostro è un mondo dove tutto deve essere fatto alla velocità della luce. Tutto sembra essere salvifico per l’umanità.
Una nuova idea di tempo che vorrei conservare e ricordare tutte le volte che un cliente mi dice che è urgente!”
Ecco, se penso al regalo che potremmo scartare adesso penso a questo.
Qualsiasi cosa facciate che non sia questione di vita o di morte, appena leggete la parola “urgente” staccate gli occhi da quella parola e fate altro.
Preparatevi un caffè, sfogliate una rivista, fatevi una tisana, pulite le verdure, chiamate le persone a cui tenete, affacciatevi al balcone o alla finestra, oppure cercate di non far nulla, ripescate la leggerezza. E cercate di restare lì, lontani dalla parola “urgente”, il più a lungo possibile.
Adesso non esistono urgenze, è il momento giusto per rivendicare il diritto di mettere al primo posto la nostra salute e il tempo per noi. Soprattutto quello per restare immobili, per lasciarsi sprofondare nella sabbia, per riemergere più leggeri.
Buon compleanno: è qui la festa? Non ancora. Ma torneremo a bussare con i piedi, non tanto per non sporcarci le mani ma perché in mano avremo pizze e birre da condividere.
E in quel tempo così atteso, anche distanziarsi tornerà ad essere una scelta sacrosanta e bellissima.
Titoli di coda
Laura Ressa
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Foto in copertina: torte che ho mangiato e che ho collezionato sui miei chili