
“Raccontare le mie esperienze veneziane è un lavoro complicato soprattutto per la carica emotiva e il fermento che si appropriavano di me quando pianificavo, andavo e ricordavo il mio viaggio durante il ritorno.”
Comincia così il racconto della Mostra di Venezia di Simone Bigongiari, che per lavoro si occupa di formazione e sviluppo delle Persone ed è fondatore de “La divina carriera“, e per passione si nutre di film.
E continua…
“Per qualche anno ho partecipato alla kermesse cinematografica più famosa e più glamour della nostra penisola. Ricordo ancora la prima volta che rimasi affascinato da quel mondo, durante una gita in laguna con i miei genitori, dove decidemmo, essendo i giorni della mostra, di fare un salto al Lido e vedere il movimento fascinoso del grande show cinematografico. Non potei entrare dentro la hall della sala grande, cuore pulsante della mostra, perché l’ingresso era (ed è ancora) limitato ai maggiorenni e io avevo solo 17 anni. Ma dal quel momento, in cui lessi quel cartello decisi che al compimento dei 18 anni ci sarei andato. Mi sbagliavo perché il debutto fu l’anno successivo a 19 anni, nell’ormai mitico (per le persone della mia età) 1998.

In quel periodo sarebbero cambiate molte cose nella mia vita: avrei intrapreso un corso con Vincenzo Cerami (sceneggiatore e scrittore tra i più validi del cinema italiano; ha scritto La vita è bella, per ricordare un film) nella mia Lucca, che stava cercando di emanciparsi dalla città di provincia esponendosi culturalmente. Il 4 ottobre sarebbe stato il momento in cui avrei intrapreso la carriera universitaria iscrivendomi al DAMS di Bologna; avrei, quindi, lasciato per la prima volta la mia famiglia, la mia casa, la mia città, per buttarmi in una nuova avventura di crescita in completa autonomia. Insomma, tutto stava per cambiare, e decisi di coronare il mio sogno di andare a Venezia. Purtroppo non avevo molti amici che avessero la mia stessa forte passione e fare un viaggio a Venezia in occasione del Festival comportava una bella spesa economica. I miei genitori mi offrirono questa possibilità con la complicità di mio padre che mi accompagnò con entusiasmo. Trovammo un albergo vicino a Piazzale Roma dove c’era un vaporetto pronto a partire ogni ora per il Lido. Non riuscimmo a trovare una sistemazione economica e disponibile direttamente sull’isola quindi dovevamo scendere a compromessi.

E la scelta di alloggiare a Venezia, anziché al Lido, è stata obbligata per tutti gli anni a venire tranne l’ultimo, quando riuscii a trovare posto in un bell’hotel al termine della promenade che conduce al Casinò e al Palazzo del Cinema.
La prima emozione che mi abbracciò all’arrivo a Venezia, fu quella di ritrovarmi in una città notturna, nel senso che la vivevo la mattina presto (all’alba) o la sera a notte fonda in vaporetto e il resto del giorno nel buio di una sala. Dopo il secondo, terzo giorno ti prendeva una forte e romantica malinconia degna dei migliori romanzi decadenti. Ma era una bella emozione, molto legata alla sensazione onirica di tutta l’esperienza.
Vivere Venezia durante il Festival diventava sì un sogno a occhi aperti, talvolta però veniva offuscato dalla stanchezza e dalla luce artificiale della pellicola, che rendeva il tutto ancora più surreale, ma magico.
E poi per i romantici come me, Venezia dava il suo meglio proprio la notte, con il rumore dell’acqua che sbatteva sulle gondole legate alle “paline”, la solitudine inquieta della città che non proiettava nessuna ombra, la scarsa illuminazione di vicoli, vicoletti, calle, sottopassi, che trasformava la città in un romanzo kafkiano.
Ma il meglio avveniva al Lido in quella zona dell’isola tra il Palazzo del Cinema e l’Hotel Excelsior dove potevi vedere attrici, attori, registi comodamente seduti al bar di angolo o a mangiare un panino al chiosco vicino all’area stampa. Avete presente lo sguardo illuminato e affascinato di Naomi Watts in Mulholland Drive quando arriva a Hollywood? Ecco, quello corrispondeva alla mia faccia stupita, a tratti stupida.
E poi i film o le opportunità che il festival ti offre sono innumerevoli. Sì, ma se non fossi stato io… o meglio… sono sempre stato un ragazzo riservato e molto timido quindi un po’ mi trattenevo dall’andare incontro alla celebrità per chiedere un autografo o per scambiarci quattro chiacchiere, ma alcune volte mi sono fatto forza e ho ottenuto una manciata di autografi. Però ci sono state altre occasioni che ricordo con molta soddisfazione: tipo l’aver aspettato in fila e poi aver visto un film (di cui non ricordo il titolo) accanto a Joseph Gordon Levitt, che io conoscevo per averlo visto in piccole parti di In mezzo scorre il fiume e Il giurato, ma che non era ancora l’attore conosciuto che è oggi oppure quando prendevo sempre il vaporetto di ritorno a notte tarda e trovavo Roberto Zibetti, alias Niccolò Donati di Io ballo da sola, il film di Bertolucci che più ha segnato la mia giovinezza. In entrambi i casi non mi sono fatto riconoscere per quella timidezza di cui parlavo prima, ma porto questi ricordi vividi dentro di me.
Un momento fondamentale per godere di un’esperienza completa della mondanità del Festival era la partecipazione al red carpet del film delle 19.30 (solitamente il film più chiacchierato e atteso) pieno di divi e ospiti famosi. Nella mia esperienza invece non l’ho mai vissuta direttamente perché ho sempre scelto di essere in sala per vederli, quei film… Successe solo una volta in cui non ebbi la possibilità di entrare perché non arrivai in tempo ad acquistare il biglietto. Il film in questione era Birth – Io sono Sean dove la regina del red carpet fu Nicole Kidman. Una diva, un’apparizione. Uscì dall’auto nera con un’eleganza e un portamento sovrannaturali. Sembrava di rivedere certe movenze e atteggiamenti di grandi dive del passato: Grace Kelly, Marilyn Monroe, Marlene Dietrich. Un’emozione unica.
Ma il vero motivo per cui andavo a Venezia era perché a me piacciono i film, tutti i film, e a Venezia ne potevo vedere fino a otto al giorno. E volete mettere l’emozione di vederli in anteprima insieme a questi grandi personaggi seduti in sala?
Nei cinque anni in cui ci sono andato ho visto più di 70 film tra cui: The Dreamers di Bertolucci, Memento di Nolan, Ronin di Frankenheimer, Così ridevano di Amelio, Gatto nero, gatto bianco di Kusturica, Il vento ci porterà via di Kiarostami, Pollock di Harris, Il cerchio di Panhai, Fantasmi da Marte di Carpenter, Un film parlato di De Oliveria, AI Intelligenza artificiale di Spielberg, Lost in translation di Coppola, Le chiavi di casa di Amelio, Eros di Antonioni, Kar-Wai e Soderbergh.

Tra tutti i registi presenti in sala ricordo la commozione che mi prese alla vista di Michelangelo Antonioni prima della proiezione del suo ultimo film, accompagnato sul palco sulla sua sedia a rotelle, fedele compagna degli ultimi mesi della sua vita. Lì mi resi conto della grandezza che avevo davanti. Quell’uomo, insieme a Fellini, Visconti e Pasolini, rappresentava l’età d’oro del grande cinema italiano nel mondo. Avevo davanti a me un pezzo di storia, della storia in immagini dell’Italia, un fautore dell’immaginario collettivo dell’infanzia dei miei genitori o dell’età adulta e consapevole dei miei nonni.
Venezia è legata indirettamente anche a un episodio della mia vita che ricordo con molto piacere. Poco prima della proiezione di “Le chiavi di casa” di Gianni Amelio, presente in sala insieme a Kim Rossi Stuart, mi squilla il cellulare che avevo dimenticato acceso, corro fuori nel corridoio, rispondo… era il manager della Blockbuster a cui avevo inviato il cv e svolto un colloquio qualche giorno prima per lavorare come commesso, il quale mi confermava l’inizio del lavoro a partire dal lunedì successivo. Era il mio primo lavoro… ero felice di poter lavorare in una videoteca come fece Tarantino, condividendo e consigliando ad altri i film da noleggiare. Sembrava tutto perfetto, il coronamento di un sogno. Vivevo di film, di VHS, di cataloghi dei film visti, apprezzati, acquistati, registrati, sembrava fosse l’inizio di una carriera in quel settore. E invece il cinema doveva rimanere la mia grande passione e il lavoro doveva essere un’altra cosa. Ma ancora non lo sapevo. E iniziai a scoprirlo crescendo.”
Simone Bigongiari
Formazione e sviluppo delle Persone | Docente | Fondatore de “La divina carriera“

A questo meraviglioso racconto non so davvero cosa aggiungere se non un ringraziamento con il cuore a Simone, che con generosità mi ha donato questo testo aprendomi una porta della sua vita che non conoscevo.
Scoprire nuovi tasselli della storia delle persone che stimiamo ci apre infinite possibilità.
Il mio ringraziamento è doppio poi, perché oltre al dono del testo devo ringraziare Simone anche per avermi fatto sentire un po’ al Lido. Per quest’anno ero riuscita ad accreditarmi per partecipare alla Mostra, ma gli eventi me lo hanno impedito. Però, come dicevamo qualche giorno fa proprio con Simone, di ogni situazione possiamo imparare a vedere e godere del risvolto positivo. Sempre.
Ora posso dire di aver vissuto anch’io la magica atmosfera lagunare della Mostra di Venezia, seppur attraverso gli occhi, le emozioni e i ricordi di un’altra persona.
Credo non ci sia modo migliore del racconto per legarci gli uni agli altri e per ricordarci che internet sa essere un luogo bello in cui entrare in contatto con persone che sanno raccontarti mondi nuovi che ancora non hai esplorato.
Grazie Simone!

Laura Ressa
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Il virgolettato è di Simone Bigongiari
Copertina: Foto di Peggychoucair da Pixabay