essere liberi libertà

“Sul muro di un vecchio edificio diroccato all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste, campeggia una scritta rossa a caratteri cubitali: “La libertà è rivoluzionaria”. Poco distante un altro edificio giallo in ottimo stato presenta una scritta analoga: “La libertà è terapeutica”. I due murales sono entrambi opera dell’artista Ugo Guarino, che negli anni settanta aveva preso parte alla lotta dello psichiatra Franco Basaglia per la riabilitazione dei malati mentali culminata poi con la Legge 180 del 1978 che decretava la chiusura dei manicomi.” (inizia così l’articolo: Franco Basaglia e la rivoluzione della libertà)

Da settimane mi frulla in testa l’idea di scrivere quel che penso sul concetto di Libertà. Casualmente, e quasi per un gioco del destino, mi è capitata sotto gli occhi proprio in questi giorni la frase “La libertà è terapeutica“. L’ho scoperta grazie a un post Facebook pubblicato da Giacomo Doni (potete leggere qui il post a cui mi riferisco) in occasione della scomparsa di Franco Rotelli, collaboratore di Franco Basaglia e protagonista della riforma psichiatrica italiana del 1978.

Cosa ne sappiamo (davvero) tutti noi di libertà?

Sarò brutale ma – concedetemelo – realista. Viviamo in una società allo sbando nella quale per moltissimi conta solo il Dio Denaro e “l’appartenenza” non solo a famiglie, per così dire, altolocate ma anche ai cosiddetti “giri giusti” di massoneria o basati su scambi di favori di vario genere e natura. Dalle relazioni personali a quelle professionali, per alcune persone ogni singola scelta parte dalla valutazione del ritorno economico personale che ogni loro passo potrà portare.

Una dura realtà nella quale sguazzano in parecchi, purtroppo per loro. Io li considero dei poveretti senza senso perché chi costruisce e fonda la propria vita su castelli di carta è facilmente riconoscibile e ricattabile e in più dovrà sempre temere ogni piccolo soffio di vento in grado di buttar giù in un istante quel fragile castello di vacue certezze.

Arrivati a questo punto della storia del mondo, combattere il pensiero diffuso e l’azione dominante spetta proprio ai pochi che possono dirsi fuori da questi giri, quelli che possono fieramente sbattere la propria libertà in faccia a chi invece basa la propria vita sulle relazioni di convenienza e che dovrà sempre qualcosa a qualcuno. Ciò che sfugge ai più è che faremo tutti la stessa fine (leggasi: la bara): questo è un concetto che alcuni hanno compreso e molti altri invece no.

Partendo da questa certezza di fine che riguarderà tutti, sono dell’idea che quel che conta sia scegliere di vivere degnamente il tempo che abbiamo a disposizione, laddove il vero (e spesso dimenticato) significato di “dignità” risiede nella libertà di poter agire con coscienza nel mondo senza dover leccare le terga a nessuno.

Molti credono di essere “liberi” solo perché hanno potere di acquisto, perché possono spendere dove e come vogliono il proprio denaro, perché possono viaggiare con l’effimera convinzione di elevarsi, così, persino culturalmente, perché possono permettersi l’automobile nuova da sfoggiare o perché possono esercitare potere sugli altri. Chi crede che la libertà risieda in quel tipo di “potere” può continuare tranquillamente a crederlo: ne subirà gli effetti e quegli effetti saranno nefasti. Chi invece fonda la propria esistenza su un altro concetto di libertà (ben più alto) può e DEVE discostarsi coerentemente dal circolo vizioso di do ut des tanto caro a chi vorrebbe sempre avere qualcuno in pugno per ottenere qualcosa in cambio.

Quale libertà è dunque da considerarsi “vera” libertà?

La rivoluzione oggi va fatta esercitando con fierezza la propria libertà. Ma quella vera! Una libertà cioè basata sulla capacità di far valere le proprie idee senza allinearle necessariamente a quelle dominanti per farsi accettare nelle cerchie che “contano”, la libertà di esprimere un dissenso, la libertà di agire secondo giustizia e di far valere i propri diritti in ogni contesto di vita, la libertà di parola (che non vale solo nel mondo dell’informazione ma anche nella nostra vita quotidiana). Infine, non meno importante, la libertà vera è anche libertà di agire perché non si ha nulla da nascondere, perché si è raggiunto lecitamente il proprio posto nel mondo e perché ci si è sempre attenuti al rispetto scrupoloso e puntuale delle regole stabilite.

Che persona sarei se non fossi libera di dissentire quando qualcuno vuole travisare quello che faccio, dico o scrivo? Che persona sarei se non avessi l’enorme potere di non dovere nulla a nessuno?

Sì, io oggi posso dire di non dovere nulla a nessuno! Perché a nessuno ho promesso favori in cambio di qualcosa, perché non baso le mie affinità sulla convenienza economica o sul vantaggio che potrei trarne, perché non fondo la mia vita sul modello di auto che possiedo o sulla marca delle scarpe che indosso, perché non affido la definizione di me stessa a un ruolo che possa apparire altisonante. E tutto questo lo dico e lo scrivo con fierezza, certa del fatto che non siamo in molti a poter affermare le stesse cose.

Sì, certo poi c’è anche chi, pur di fronte all’evidenza dei fatti, ha ancora la faccia tosta di farvi discorsi di grande consapevolezza sulla propria vita e ci tiene a dirvi che ha ottenuto tutto col sudore della fronte, che ha rispettato sempre le regole, che non ha chiesto sconti alla vita. A un certo punto però queste affermazioni vengono tradite dai fatti, perché quel che conta (al di là di tutto, anche di ciò che qui sto scrivendo) è l’azione, è quello che fai. E quello che fai è evidente: non basteranno tutti i discorsi, i post social o gli articoli del mondo a dimostrare fino in fondo quel che si è.

Dal canto mio, senza temere smentite, posso dire di aver fatto il percorso che ho fatto senza fare favori e senza doverne ricevere, senza diritti di precedenza dovuti a parentele, senza appartenere ai “giri giusti”, senza scalate sociali studiate a tavolino, senza essere scesa a compromessi. I rapporti che instauro con le persone possono essere profondi o contingenziali, ma mai rapporti di sudditanza. Anzi, più mi trovo di fronte a chi si allinea e sente il bisogno di avere padroni da cui farsi mettere il guinzaglio, più mi ritrovo ad avere a che fare con chi veste con convinzione il ruolo del lecchino, e più mi incuriosisce mettere alla prova questi individui. Alla fine risulta addirittura un’attività divertente!

Credetemi: essere davvero liberi è e sarà sempre la miglior strada da scegliere per possedere ed esercitare quella dignità che tutti decantano ma che in pochi praticano.

Mi sono data questa regola e penso che, a conti fatti, sia questo il consiglio migliore che io possa dare a chi vive il presente e a chi vivrà il futuro: Siate liberi! Ma siatelo davvero, non diventate schiavi degli altri solo per potervi permettere il bene di lusso o l’oggetto firmato: che ve ne fate di un oggetto? Non vendetevi al diavolo per qualche soldo in più in tasca o per ambire a privilegi effimeri che oggi avete e domani non più o per quelle concessioni che potranno essere usate contro di voi quando qualcuno potrà dirvi “ti ho concesso questo, ora tu devi darmi qualcosa in cambio”.

Rispettare alla lettera le regole e, all’occorrenza, anche le norme non scritte di buona convivenza!

Assieme alla raccomandazione, più generica, sull’esercizio della propria libertà, sento necessario oggi più che mai il bisogno di ribadire quanto sia importante rispettare le regole. Perché rispettare le regole è il modo migliore per essere davvero liberi.

Non mi riferisco, banalmente, al rispetto delle leggi. Fin lì in molti ci arrivano, a meno che non si tratti di delinquenti o di persone beffate dallo Stato per via di cavilli legali. Qui parlo di regole basilari legate ai luoghi in cui viviamo: un esempio banale può essere l’orario di ingresso al lavoro e il fatto di dedicare davvero al lavoro le ore comprese tra ingresso e uscita. Al netto di patologie particolari opportunamente documentate (per ora lascio perdere l’argomento certificati fasulli e medici conniventi), non esistono attenuanti per non attenersi al rispetto del regole. Non esistono scuse. Questo è.

Tutti i problemi personali si risolvono al di fuori di certi luoghi, e ci sono condizioni di vita alle quali bisogna far fronte e basta: del resto non si tratta di andare in guerra. Che questo atteggiamento sia giusto o sbagliato, non spetta a me dirlo in questa sede. Spererei in una società comprensiva verso i disagi di tutti, ma quella in cui viviamo non lo è. Spetta invece a ciascuno di noi essere coscienti del fatto che (a parte il sostegno della famiglia, per chi ha la fortuna di averla, e di alcuni amici, per chi ne ha di veri) a nessuno interessa se ci troviamo in una condizione di fragilità, disagio o difficoltà di vario genere (percepite, reali o presunte che siano). A nessuno interessa. E se a nessuno interessa, spetta a ciascuno affrontare ogni giorno come viene meglio.

Sempre per fare l’esempio dei luoghi di lavoro: ci sono persone che ogni giorno devono svegliarsi alle 5 del mattino per timbrare il cartellino a 150 km da casa propria. Lo fanno e basta, ogni giorno, perché è così che funziona. E fin quando non ci saranno regole diverse non potranno usare attenuanti. La storia è piena di esempi di sacrificio quotidiano [su questo concetto ci tornerò dopo] e di rispetto delle regole: anche questo significa essere lavoratori e cittadini. Certo, ci possono essere condizioni migliori così come possono essercene di più dure e situazioni di vita più sfidanti, ma il succo è lo stesso: attieniti alle regole e basta, perché delle tue difficoltà (reali o propinate ad arte) non importa a nessuno. Anzi, in certi contesti possono essere proprio le difficoltà dichiarate ad essere sfruttate come facili leve di ricatto.

Chi approfitta delle situazioni o si crede “furbo” nel farsi le regole su misura e in base alle proprie esigenze, in svariati contesti, avrà sempre una moneta da pagare a qualcuno. A voler fare i furbi non se ne esce né puliti né liberi. Nella categoria dei furbi potremmo far rientrare anche a tutti quelli che, in virtù di una posizione particolare, pensano di poter sfruttare risorse comuni a proprio piacimento e per scopi personali. Senza particolari limiti, senza controllo, senza che qualcuno si chieda se è davvero il caso. Pensate che queste persone non debbano nulla a nessuno? Ci sarà sempre un conto da pagare, un conto che li renderà succubi del loro status (se così possiamo chiamarlo) e che li spingerà, pur di mantenerlo, ad uscire ancora una volta dalle regole e dal seminato. E vi sembrano “furbi”?

La regola inoltre, in quanto tale, è appunto fatta per essere rispettata. Tutte le concessioni extra che esulano dalla norma saranno certamente spunti per chiedervi qualcosa in cambio in virtù di quella particolare concessione. Non siate così ingenui da credere nella buona fede di chi decide se concedervi o meno un “favore” che fuoriesce dalla norma stabilita e scritta. Chiedetevi sempre se vale davvero la pena compromettere in parte o del tutto la vostra libertà per avere qualche concessione. A che vi serve? Quale sarà il prezzo da pagare? In quale contesto vi trovate e con chi avete a che fare?

Un ragionamento a parte meritano poi tutte le regole non scritte ma tuttavia fondamentali per una buona convivenza con le altre persone. Essendo non scritte, ma spesso più legate al rispetto dei tempi e degli spazi condivisi, qualcuno vi dirà “non c’è nessuna regola scritta su questo”. Appena sentite questa frase, sorridete e fermatevi: non vale la pena sprecare tempo e fiato a discutere di buonsenso con chi non ne conosce il significato.

Ritorno per un attimo sul concetto di “sacrificio”

Qualche rigo più su ho nominato invano la parola “sacrificio”, una parola che troppe volte nella vita ho visto in bocca a chi appartiene a una fetta molto molto fortunata di popolazione (non solo fortunata a livello mondiale ma anche locale).

Io sono tra i fortunati di cui sopra, e dunque non ho mai pensato al mio percorso di vita come a qualcosa costellato di sacrifici. Ho avuto le mie difficoltà e tuttora ne ho, ma non mi sono mai reputata una santa, una vittima, né una scampata a chissà quali condizioni nefaste di vita. Da sempre, e non per mio merito, ho avuto tutto il necessario, l’essenziale per vivere, per studiare e anche per concedermi qualche divertimento. Quello che ho raggiunto nel tempo è stato un susseguirsi di buone occasioni ed esperienze accumulate. Cose che non era scontato per me raggiungere, proprio perché non appartengo a cerchie di “eletti” e nemmeno mi interessa appartenere ad esse. Ma poter avere uno stile di vita degno dovrebbe essere del tutto normale in una società che si professa “civile” e che dovrebbe garantire a tutti, equamente, di poter lavorare o vivere degnamente. Oggi invece nella nostra società chi ha un lavoro o ha raggiunto un certo status sociale è succube di due reazioni opposte e contrastanti: 1) sentirsi fortunato perché altri non hanno nemmeno un lavoro, 2) sentirsi migliore di altri proprio perché si ha un lavoro e ci si può permettere di avere soldi in tasca e di poterli spendere e mostrare, attraverso gli oggetti, la propria appartenenza sociale.

Chi ricade nella seconda tipologia, pensa di avere meriti particolari e che la propria condizione di vita non sia solo dovuta alla fortuna o a buone occasioni ben sfruttate, ma che sia proprio frutto di una propria dote particolare. Vi sarà capitato di sentir pronunciare proprio da queste persone la parola “sacrificio”, proprio da chi è nato nella parte fortunata di mondo. Vi sarà di certo capitato di sentir parlare di “obiettivi e cose ottenute con la propria fatica e il proprio sudore” da persone che tutto sommato non vanno a raccogliere pomodori nei campi per una paga da fame ma che hanno la fortuna di fare lavori standard, da videoterminale come si usa dire, e con contratti regolari, orari definiti e accrediti puntuali di stipendio sul proprio conto in banca. In alcuni di quei casi non è raro trovare anche chi, onestamente, non possiede capacità né competenze e che, diciamocelo, ha goduto di vere e proprie spintarelle.

Ecco, in quei casi non c’è da parlare di fatica, né di sudore, né di sacrificio né di obiettivi o cose meritate per proprie doti personali. Proprio no! E dunque si è perso certamente il senso di cosa sia il sacrificio, di cosa sia la fatica, di quali siano i reali disagi che le persone possono affrontare. Io posso stare male per altri motivi, posso subire stress inflitto e cercare di affrontarlo, ma se ho un tetto sulla testa e un pasto caldo davvero non mi sento di parlare di sacrifici di vita. Mi sentirei imbecille a parlare del mio percorso in questi termini. Altri, invece, ne parlano con totale nonchalance credendo forse davvero in quel che dicono.

Detto ciò, credo che Libertà sia anche saper capire cosa sia sacrificio e cosa non lo sia. Libertà è anche esimersi dal fare discorsi sulle grandi consapevolezze di vita se non si è in grado di dimostrarle sempre nei fatti. Libertà è capire e discernere, saper comprendere che chi vive davvero di sacrifici non si trova quasi mai nella nostra parte fortunata di mondo.

Essere liberi di protestare per difendere i propri diritti: una capacità rara, addirittura sbeffeggiata da chi si tiene strette le proprie catene

Da tempo il popolo francese protesta giustamente (!) contro la riforma delle pensioni voluta da Macron che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni.

A tal proposito mi ha colpito moltissimo un discorso di Jean-Luc Mélenchon che risale al gennaio scorso e di cui vi riporto di seguito uno stralcio:

«La verità è che non hanno capito perché siamo qui. Noi non difendiamo soltanto il diritto di godere una pausa nell’esistenza. Ma soprattutto affermiamo che il tempo della vita, quello che conta, non è soltanto quello considerato utile perché dedicato a produrre. Il tempo libero non è un tempo di inattività ma un tempo di cui possiamo disporre, di cui possiamo decidere cosa fare: vivere, amare, non fare nulla, se così ci piace, occuparci dei nostri cari, leggere poesia, dipingere, cantare, oziare. Il tempo libero è quello in cui abbiamo la possibilità di essere totalmente umani. Ecco di cosa parliamo […] Perché bisogna produrre di più? Il problema non è più produrre di più, ma produrre meglio e per farlo dobbiamo lavorare meglio e dunque lavorare meno! La chiave di una sinistra ecologista sta nel ripartire equamente la fatica del lavoro. La controparte afferma che bisogna lavorare di più; “loro” seguono la via di sempre: trasformare qualsiasi cosa vivente o inanimata in merce». [Qui il video]

In Italia c’è chi addirittura sbeffeggia i francesi e reputa inutili, e persino controproducenti, certe proteste. Forse perché in Italia siamo bravi ad essere pecore, ad accettare con sudditanza anche di vedere calpestati i diritti fondamentali. Ma sì, dai, cosa saranno mai due anni in più di lavoro? Magari saranno d’accordo con questa idea le persone per le quali il lavoro è un mero passatempo, una distrazione dalla vita fuori, un’amabile fuga dal reale. Penso, invece, che sia meno d’accordo chi si spacca davvero la schiena ogni giorno, chi fa lavori usuranti, chi lavora per le strade senza particolari misure protettive e mettendo a serio rischio la propria salute.

Alla base della non comprensione di quanto sia importante essere liberi di protestare c’è un fattore importante a mio avviso: l’assuefazione. Si diventa ormai facilmente assuefatti alla narrazione delle storie di successo nate nei “garage”. Per molti il lavoro è diventato una questione di vetrina, un luccicare di endorsement e commenti entusiastici, salvo poi peccare in termini di concretezza e utilità di quel che si fa.

Per anni mi sono chiesta come mai i lavoratori in Italia non scioperassero più. La risposta in realtà era semplice e me la davo da sola: chi è che ha davvero il potere di scioperare e di lottare per i propri diritti? Nella società del precariato chi si azzarda a suonare una nota che stona rispetto al coro? Nella società delle performance, chi si azzarda a pensare che esistano parametri molto diversi su cui valutare un “successo”?

In una società in cui persino per i lavoratori stessi l’adattarsi allo sfruttamento, di qualsiasi tipo, è sintomo di attaccamento al lavoro, chi è che ricorda ancora il significato del termine “lavoro”?

Qualcosa è stato perso per strada, insieme alla voglia o alla possibilità di scioperare, stracciata dalle leggi della giungla e dal rivoluzionamento dei contratti. Eppure senza persone, e senza la loro dignità, il cosiddetto “business” vale zero, o almeno così dovrebbe funzionare nella famosa società che si professa civile. Ma a noi le storie di successo piacciono tanto, troppo. Servono per farci sentire vincenti, arrivati, performanti, meritevoli. Eppure, nonostante la patina, restiamo profondamente schiavi, servi di un mondo che decide per noi e direziona scelte di vita, sensazioni di appagamento, bisogni indotti, direzioni politiche e decisioni di acquisto.

In conclusione: perché parlare di libertà vale oggi più che mai?

Parlare di libertà, oggi, in un mondo che travisa tutto e che sostiene tutto e il contrario di tutto, è fondamentale quanto spiegare cosa sia la vera libertà. Persino i concetti più ovvi e basilari del vivere in una società sembrano dimenticati, surclassati da una costellazione di nuove regole ad personam cucite su misura da chi crede che tutto sia relativo e che si possa agire nel mondo sfruttando persone e risorse, assecondando i propri capricci, guardando solo il proprio ombelico, sfruttando l’occasione propizia.

Mi risuonano incessantemente quelle due frasi così potenti e vere che ho citato all’inizio.

“La libertà è rivoluzionaria”

“La libertà è terapeutica”

Non trovo parole più efficaci di queste, non ne trovo di più reali e potenti di queste! Oggi la rivoluzione la possiamo fare comportandoci bene, rispettando le regole, rispettando gli altri, senza dovere nulla a nessuno, seguendo la linea dell’onestà, facendo quel che è richiesto nei luoghi preposti, mantenendo salda la libertà di poter rispondere a chiunque con intelligenza e cognizione di causa, senza timore di parlare solo perché dobbiamo qualcosa a qualcuno e non possiamo dissentire.

Chi pensa di correre avanti a noi e più veloce di noi, prima o poi è destinato a inciampare nei propri stessi passi.

Ed è quello il bello del rispettare le regole e dell’aderire pienamente al concetto vero di libertà: se applichi questo alla tua vita, non avrai bisogno di fare nulla di più. Sarà proprio chi non rispetta le regole e le norme a causare la propria rovina.

E alla fine della strada a cosa sarà servito credersi “furbi”?

Laura Ressa

[Grazie ad Aurora Fantin per avermi concesso di utilizzare come immagine di copertina la foto da lei scattata al muro dell’ex manicomio di Trieste]

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti