
Un articolo apparso su IDEAS.TED.COM, raccolta online di idee che rientra nel progetto divulgativo TED, mi ha folgorato.
Si tratta del contributo di Dan Ariely, professore di Psicologia presso la Duke University e fondatore del Center for Advanced Hindsight.
Ariely illustra uno studio condotto sul cosiddetto IKEA effect e, in generale, sulla motivazione che ci spinge a sopravvalutare ciò che creiamo con le nostre stesse mani. L’autore si chiede perché siamo così attaccati alle nostre creazioni anche quando sono brutte.Quando realizziamo qualcosa, prepariamo una torta, assembliamo un mobile, ci applichiamo in attività manuali come, ad esempio, la creazione di origami, tendiamo a sopravvalutare i risultati del nostro lavoro. Diventiamo cioè poco obiettivi verso la reale efficacia o bellezza di ciò che abbiamo realizzato.
Si tratta di un amore cieco.
Sin dalla più tenera età, spiega Ariely, siamo abituati a persuadere il prossimo a fare cose per noi. Da adulti conserviamo questo atteggiamento e quindi cerchiamo di persuadere in questa direzione tutte le persone per noi significative.
La motivazione è alla base del comportamento umano e viene spesso associata all’immagine di una fitta foresta ricca di animali e piante strane.
Come tale, essa è piena di dettagli dei quali difficilmente riusciamo ad essere coscienti.
Per far fronte alla complessità dei meccanismi umani, potremmo ritrovarci quindi a strutturare il nostro luogo di lavoro e le nostre vite in modo da sembrare più produttivi e più felici.
Come facciamo ad aumentare la nostra motivazione?
Ariely ci invita a riflettere su questa domanda immaginando di dover costruire un mobile IKEA.
Stando allo studio condotto da Michael Norton, professore presso la Harvard Business School, e Daniel Mochon, professore presso la Tulane University, gli individui tendono ad amare tutto ciò che costruiscono o realizzano con le proprie mani.
Qualche tempo fa la famosa azienda di mobili svedese appena citata ebbe un’idea fuori dal comune: avrebbe offerto parti di mobili chiedendo ai clienti di assemblare i pezzi da soli e senza l’ausilio del manuale d’istruzioni.
Ariely racconta di essersi ritrovato ad assemblare pezzi in totale autonomia, sbagliando più volte il processo ma ricavandone, alla fine, un estremo senso di soddisfazione per il risultato ottenuto, nonostante esso potesse essere sbagliato e non rispondente all’oggetto atteso.
Lo stesso meccanismo può verificarsi in mille altre situazioni, anche nel processo di preparazione di una torta ad esempio.
Nel 1940 l’azienda P. Duff and Sons introdusse sul mercato dei cake boxes pratici per poter preparare torte in maniera facile e veloce.
Ci si rese subito conto che i preparati non davano abbastanza soddisfazione alle massaie poiché i passaggi da seguire erano limitati e davano la percezione di non aver creato nulla di proprio.

Per esaminare ancor meglio quello che viene definito IKEA effect, Ariely, Norton e Mochon hanno chiesto ai partecipanti di un esperimento di creare origami in cambio di una retribuzione oraria.
Alle persone interpellate veniva fornito tutto il materiale necessario e le istruzioni per poter creare gru e rane di carta.
Una volta terminata la creazione, veniva chiesto ai partecipanti di scrivere su un foglio quanto ciascuno di loro avrebbe pagato per comprare l’origami realizzato.
Da un lato c’erano i builders, ovvero coloro che erano stati chiamati a creare gli origami e che attribuivano un prezzo alle loro stesse creazioni. Dall’altro lato c’erano i buyers, un gruppo di persone esterne all’esperimento che non avevano realizzato alcun origami e ai quali veniva fatta la stessa domanda sul prezzo da attribuire agli oggetti realizzati.
I risultati della ricerca hanno mostrato che i builders attribuivano alle proprie creazioni un prezzo cinque volte superiore rispetto a quello attribuito dai buyers agli stessi origami.
Paradossalmente anche scegliere il colore di scarpe da comprare ci potrebbe rendere orgogliosi di noi stessi facendoci credere di essere creativi.
Lo stesso meccanismo può innescarsi quindi in tantissimi altri ambiti della nostra vita.
Interessante riflettere su questa evidenza.
Capita anche a noi di pensare che ciò che realizziamo valga oggettivamente molto e che debba essere apprezzato allo stesso modo anche dagli altri?
Un quesito che potremmo porci in tante situazioni sociali e lavorative.
Consiglio la lettura dell’articolo completo Why we’re so attached to our own creations – even when they’re ugly
Laura Ressa
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