
Il 3 gennaio 2020 Tiziano Arrigoni sarà mio ospite a Bari per la presentazione del suo libro La dinamite nella valigia. Viaggio nell’Italia di Luciano Bianciardi presso Portineria 21. Ringrazio Tiziano per aver accettato e Mara Chiarelli di Portineria 21 per aver messo a disposizione il suo bel caffè letterario.
In attesa dell’incontro, cerco di regalarvi un ritratto dell’autore attraverso le parole già scritte da lui e su di lui e attraverso le sue risposte alla mia intervista.
Massetano, follonichese, piombinese, solvayno, Tiziano Arrigoni è cittadino della Toscana costiera, con qualche incursione fiorentina. Delineare i tratti di una persona solo in base alla provenienza geografica però è limitante: affido dunque la sua descrizione alle parole del suo amico Vincenzo.
“Tiziano è un uomo della Toscana costiera, scrittore di storia e di storie, pendolare, ideatore di musei, amante della montagna sudtirolese, della Corsica e della politica – quella con la P maiuscola, non i surrogati – e fa uno dei mestieri più belli del mondo, l’insegnante, di italiano e storia, al Liceo Scientifico Scienze Applicate Enrico Mattei di Solvay. Un uomo che lo incontri, gli parli e ti dici ecco un altro socio fondatore del «Circolo Curiosi per Sempre», uno di quelli che gli viene normale inseguire cose nuove.”
Tiziano Arrigoni è autore di varie pubblicazioni di carattere storico ed è appena uscito il suo nuovo libro: La dinamite nella valigia. Viaggio nell’Italia di Luciano Bianciardi.
Ho conosciuto Tiziano grazie a un articolo di Vincenzo Moretti intitolato Tiziano, Bianciardi e il battonaggio del lavoro intellettuale. Dall’incontro avvenuto tra quelle righe, è nata la proposta che Tiziano mi ha fatto: ti va di partecipare al mio nuovo libro con un testo sulla Puglia?
Perché nel libro si parla dell’Italia partendo dai luoghi di Bianciardi? Tiziano su questo ha scritto:
“Certe volte ci sono romanzieri che ci dicono molto più sul nostro paese di alcuni saggisti. Uno di questi è Luciano Bianciardi, conosciuto da molti per il suo romanzo più famoso, La vita agra.
Bianciardi è stato testimone attento dei cambiamenti della società italiana durante gli anni del miracolo economico e ne ha visto i tarli e le contraddizioni, al di là di un facile ottimismo imperante, pur senza nutrire nostalgie inutili per un “mondo che fu”, spesso duro per vivere.”

Citando la descrizione del libro scritta dall’autore: “Questa non vuole essere una biografia organica ma un ritratto dell’Italia di ieri e di oggi, delle illusioni e delle disillusioni, attraverso i luoghi di Bianciardi, quelli che lui ha vissuto e descritto con quella ironia lucida che lo caratterizzava. […] Non un’Italia completa, ma un’Italia che parla all’Italia completa. […] La narrazione è talvolta interrotta da interventi esterni di personalità diverse, per formazione e interessi, che, su invito dell’autore, si sono confrontate con un luogo ‘bianciardiano’, con osservazioni originali. […]”
Ecco la mia intervista a Tiziano Arrigoni.
1) “Perché Luciano Bianciardi, sul quale sono state scritte pagine su pagine, sull’intellettuale disintegrato, sul contestatore letterario?”
La prefazione del tuo libro si apre così, quindi ti chiedo: perché hai scelto di raccontare l’Italia avendo come filo conduttore proprio Bianciardi e quando è cominciata la tua curiosità verso questo autore?

“Bianciardi nella Toscana costiera, essendo nato a Grosseto, è una sorta di nume tutelare, anche discusso negli anni della sua esistenza, oggi talvolta usato e abusato (ad esempio l’aggettivo “agro/agra” usato in tutte le salse giornalistiche), io sono nato e cresciuto nello stesso territorio e quindi per me è sempre stato un nome conosciuto. Ovviamente questa “prossimità” non è sufficiente a spiegare la scelta di questo percorso. Bianciardi è stato uno scrittore italiano fra i più interessanti della seconda metà del Novecento. Mi interessava, infatti, il suo sguardo “sociologico” sulla società italiana in trasformazione di ieri e, grazie al suo sguardo lungo, di oggi, ossia confrontarmi con l’Italia di oggi, in profonda trasformazione, partendo dall’Italia di ieri. In fondo questa visione su Bianciardi è confermata dal giudizio di due storici dell’Italia contemporanea come Guido Crainz e Giovanni De Luna.
Non ho voluto scrivere una biografia dello scrittore toscano, sarebbe stato assurdo, ce ne sono di bellissime come “Vita agra di un anarchico” di Pino Corrias. Bianciardi si affaccia invece attraverso le sue opere, sia romanzi che articoli giornalistici, per permettermi di narrare l’Italia attraverso luoghi simbolo (che, fra l’altro, ho visitato tutti), un viaggio nella contemporaneità italiana attraverso i suoi luoghi. Non pretendo la completezza, infatti c’è molta Toscana, molta Milano, ma anche pezzetti di Puglia e di Liguria e una New York che serve a spiegare i mutamenti italiani.
Quando ho iniziato a leggerlo? Quando ancora facevo il liceo e mi sono avvicinato a questo autore che parlava di luoghi vicini e lontani, di luoghi che conoscevo con uno spirito moderno , e di quella Milano, nel nord, vicino alla Svizzera, con un’ironia tagliente in cui noi toscani, talvolta a sproposito, ci riconosciamo. Poi quando, anni dopo, ho iniziato il mio mestiere di insegnante in Lombardia e mi sono incontrato con Milano, quella vera e non quella di carta, ho iniziato a guardarla con gli occhi di Bianciardi de “La vita agra”, anche se ovviamente ero anni luce lontano dalla sua Milano del boom. E comprendevo la sua nostalgia critica e razionale per il treno locale da Follonica a Grosseto, della bottega del Lenzerini a Scarlino Scalo, dei paesi delle miniere da Massa Marittima a Ribolla, tutti luoghi ed elementi de “La vita agra” che conoscevo direttamente o per averli sentiti narrare da persone vicine.”
2) Sempre nella prefazione poi aggiungi “Bianciardi come filo narratore che si affaccia ogni tanto per narrarci i suoi luoghi e farci capire come l’Italia di oggi sia in qualche modo figlia di quella di ieri, anche se talvolta la supera e la contraddice.”
In che senso per te l’Italia di oggi supera e contraddice quella di ieri?
“È inutile dire che, al di là di fratture fra Prima, Seconda e quasi Terza Repubblica, fratture spesso fittizie, la nostra storia di oggi, quello che noi viviamo, affonda nelle storture e nei pochi pregi del sistema Italia. Si usa dire che il Novecento è definitivamente tramontato spesso per coprire la mediocrità dell’oggi.
I veri cambiamenti in realtà riguardano il mondo della globalizzazione e del cosiddetto cyberspazio, concetti che spesso, specialmente quando sono mal governati, fanno paura ed alimentano i sovranismi di ogni specie. Bianciardi ovviamente non poteva prevedere tutto questo. Aveva previsto invece molti “bachi” della società italiana, quelli di un consumismo facile, di un ottimismo di maniera, l’illusione che bastasse il benessere personale a discapito della crescita collettiva. A Milano, quando Bianciardi pubblicava “La vita agra” c’era un giovane impresario che vendeva illusioni e mattoni: – Quando a Milano piove, a Brugherio c’è sempre il sole! – Si chiamava e si chiama Silvio Berlusconi e su queste illusioni ha costruito la sua carriera nell’Italia di ieri e di oggi.”
3) Nel libro si parla di illusioni e disillusioni, c’è anche quella “ironia lucida” nel descrivere luoghi, persone e situazioni del nostro paese che era tipica di Bianciardi.
Quali sono state nel tempo le tue illusioni e disillusioni e cosa significa per te saper raccontare aggiungendo alle storie una lucida ironia?
“L’ironia lucida è quella dell’Italia mediana, geograficamente, o appenninica che non è mai stata maggioranza nel paese, è l’Italia della sinistra laica, risorgimentale. Di fronte alla vittoria delle altre Italie, rimaneva solo l’arma dell’ironia, che non è solo il folklore da “toscanaccio”, spesso solo uno stereotipo, ma proprio una pungente arma politica e sociale. Consente di rimanere distaccati senza essere cinici.
Le mie illusioni? Tante e complicate. Prima fra tutte la politica intesa come pagliuzza d’oro che doveva cambiare il mondo e invece naufragata nella mediocrità più totale, l’illusione/disillusione di questo cambiamento (a cui però non ho smesso di credere sia pure in modo critico).
Posso anche dire che sono spesso le singole persone, quelle su cui magari contavi, ad essere la più deludenti, quelle su cui mettere una pietra sopra. Sì, l’amicizia tradita, il compagno di strada opportunista riescono ancora a disilludermi e a ferirmi.”

4) Nel libro sono presenti incursioni esterne di persone diverse per formazione e interessi, e che, su tuo invito, hanno scritto di un luogo bianciardiano.
Dato che la curiosità verso le opinioni e i vissuti altrui ti caratterizza, ti chiedo: cosa hai imparato dal confronto con ciascuna delle persone che hanno raccontato quei luoghi nel libro?
“Io sono un “cacciatore” di storie, mi piacciono gli intrecci, fin quasi al gossip, il grande flusso della vita mi coinvolge. La mia è una curiosità quasi innata, mi tuffo nelle storie del mondo. Alcune riescono ad attrarmi così tanto che ne esco solo scrivendone. Non tutte, si chiaro, altrimenti avrei scritto un’enciclopedia.
L’idea di contattare persone che hanno qualcosa da dire su questa Italia di ieri e di oggi, costituisce un momento di riflessione nel flusso narrativo del libro. È come fermarsi sul ciglio della strada a riflettere e a discutere di ciò che ci sta passando davanti e quindi dal confronto c’è sempre da imparare, soprattutto quando ci troviamo di fronte persone che hanno storie e sentimenti da raccontare.
Ad esempio quando ho letto il tuo blog Frasivolanti ho capito che eravamo “affini”, stessa curiosità nei confronti dell’altro e di noi stessi e mi sono detto “chi meglio di Laura Ressa può raccontarmi la Puglia?”.”
5) Ora viro su una domanda volutamente generica, perché sono curiosa di vedere come risponderai.
Cosa c’è nella tua valigia?
“È la domanda più difficile. Prima ti rispondo dicendo quando ho capito cosa fosse la dinamite (metaforica) di Bianciardi , ossia quando ho visto il Palazzo Montecatini a Milano, progettato da un grande architetto come Giò Ponti.
Ho letto il cartello turistico che c’era davanti e mi è venuta una gran voglia di dinamite. Costruito negli anni Trenta con grande lusso dal “re delle miniere”, in marmo tempesta, progettato nei minimi particolari compreso l’arredo (chiavi in mano), con la posta pneumatica e soprattutto l’aria condizionata estate e inverno. Negli anni Trenta quando i minatori di Maremma, il cui sfruttamento aveva pagato il palazzo, non avevano sufficiente ventilazioni nelle miniere e crepavano di silicosi, con i polmoni che diventavano come pietra e il cuore non reggeva più. Ed è una storia per me familiare, è la storia dei miei due nonni minatori di Maremma, uno comunista e l’altro anarchico, che credevano in un modo migliore. Ecco, di fronte a quel palazzo mi sono emozionato e ho tirato fuori metaforicamente la dinamite dalla mia valigia per lanciarla contro il “re delle miniere”.
Quindi, sì, la mia valigia contiene ancora un paio di candelotti superstiti (in parte me li ha prestati Bianciardi, ma li rivuole indietro se non li uso) da lanciare contro l’arroganza del potere, contro il razzismo, contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, contro l’ignoranza. Per questo, accanto ai miei candelotti, tengo ancora un paio di libri che mi accompagnano nel cammino e, per essere più moderno, anche uno smartphone quando voglio “sentire” le persone lontane. Ma la dinamite è sempre lì, fedele amica.”
6) Chiudo con una bella citazione di Maurizio Maggiani che hai inserito nel libro: «ho bisogno di Bianciardi perché porto nel cuore il tremendo peso di una cassetta di candelotti di dinamite e lui sa che peso è. Il peso di una giusta vendetta che non sarà mai. Il mandato dell’anarchia è mettere sotto il culo del re quella cassetta, ma l’anarchia è una lampada ad acetilene e il re è furbo, il re, il re delle miniere, il re del profitto, il re della guerra, il re della servitù, il re di tutto, è nascosto ben oltre il suo cono di luce».
Io e te e qualcun altro siamo sognatori ottimisti, e pensiamo che prima o poi qualcosa cambierà.
Ma io credo che in Italia ci sia un problema assai radicato. Quel problema è l’incapacità di prendersi cura delle difficoltà degli altri, delle lotte degli altri, del futuro degli altri. Penso che siamo molto più abituati a guardare il nostro minuscolo orticello di privilegi o il terreno appena attorno ai nostri passi.
Resto invece positivamente folgorata dalle lotte che avvengono ad esempio in Francia, dove tutti scendono in piazza per una lotta comune.
In piazza ci vanno anche le persone senza problemi, con una pensione già garantita e un orticello ben fornito.
Qui in Italia manca spirito di comunità, spirito di paese. Manca la capacità di vedere fuori dal recinto del proprio orto.
Tu come la pensi? Come potremmo, con le azioni, cambiare la nostra cultura egocentrica e clientelare e la nostra visione ristretta?
“Leopardi diceva che in Italia non esiste una “società stretta” ossia la società civile non è riuscita a creare un comune sentire sociale e culturale, che non significa omogeneità di opinioni, anzi, ma sentire un’appartenenza civica, una memoria collettiva che non sia solo ricordo personale. Il continuo riemergere di fenomeni parafascisti e razzisti, questo “fascismo” che non passa mai, ma diventa quasi dato antropologico (sia pure con tutte le cautele del caso) è il frutto di un paese che rimuove la memoria, così come il caso più complesso dell’immigrazione/emigrazione. Una nazione col più alto numero di analfabeti funzionali che non sanno capire un messaggio semplice. Difficile dire come potrà cambiare la nostra società italiana, sicuramente deve cambiare se non vuole ridursi all’insignificanza nel mondo contemporaneo.
Istruzione e cultura come mezzi per modificare la società in senso migliore. Senso del territorio contro la concezione di puro consumo della seconda metà del Novecento. Sviluppo sostenibile che metta al centro l’unicità della penisola italiana. Solidarietà che riesca a stringere le maglie della società stessa. Una rinnovata partecipazione dal basso che non sia mero populismo ma voglia di contare e decidere, che non sia solo riempire una piazza ma trovare poi uno sbocco politico.
E soprattutto iniziare a cambiare dalla nostra persona, mettersi in gioco perché quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare.”
Leggendo le risposte di Tiziano, ho pensato che nell’Italia di oggi c’è tutto da cambiare. Salverei poche cose.
Non salverei le persone prive di merito che vivono sulle spalle degli altri, non salverei i parassiti e neanche i politici. Non salverei le persone che si fingono competenti e occupano posizioni di prestigio senza meritarle, solo a fronte di favori o per discendenza e parentela.
Non salverei le “amebe” e nemmeno le persone che non sanno scegliere da che parte stare, che cercano di attaccarsi a questa o a quella corrente, che non sanno dialogare con il cervello, che sanno solo alimentarsi con le dicerie di paese.
Non salverei chi critica gli altri senza dimostrare, nei fatti, di essere migliore.
Non salverei chi ha bloccato l’ascensore sociale.
Mi tornano in mente le parole di una canzone: “gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili”.
E poi continua così:
Quel che hanno ostentano, tutto il resto invidiano, poi lo comprano
In costante escalation col vicino costruiscono
Parton dal pratino e vanno fino in cielo
Han più parabole sul tetto che San Marco nel Vangelo
Vi consiglio di ascoltarla questa canzone. Si chiama Quelli che benpensano
Per parlare con Tiziano del libro e dell’Italia di Bianciardi, vi aspetto venerdì 3 gennaio alle ore 18.00 presso Portineria 21, in via Benedetto Cairoli 137/A-139 a Bari.
Qui trovate l’evento Facebook per tutte le coordinate spazio-temporali e per altri approfondimenti: La dinamite nella valigia – Incontro con l’autore
Laura Ressa
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Copertina: locandina dell’incontro del 3 gennaio 2020
La foto in primo piano di Tiziano Arrigoni e la copertina del libro sono immagini gentilmente fornite da Tiziano