Il 3 gennaio 2020 io e Tiziano Arrigoni abbiamo parlato del suo libro La dinamite nella valigia. Viaggio nell’Italia di Luciano Bianciardi da Portineria21 a Bari.

Questo è il racconto dell’incontro con l’autore. Vi narrerò alcuni punti salienti del libro e della presentazione, e poi lascerò spazio alla passeggiata per i vicoli del borgo antico, alle mie considerazioni filosofico-culinarie e ad altro che vi invito a scoprire continuando a leggere…

Tiziano è scrittore e docente di italiano e storia al Liceo Scientifico Enrico Mattei di Solvay e il suo libro è un viaggio geografico nella vita di Bianciardi, nella civiltà contadina e nella periferia di Grosseto e della Maremma. Ho conosciuto Tiziano Arrigoni partecipando alla discussione aperta da Vincenzo Moretti sul battonaggio del lavoro intellettuale, in un articolo in cui si parlava di Luciano Bianciardi.

In certi stralci il viaggio letterario compiuto da Tiziano nel suo libro mi ha ricordato le parole di una canzone che si intitola Filosofia agricola e dice:

“Non vincerò contro i cumuli di memoria
Ma il vento che li agita sarà l’ultimo ad arrendersi.
Più che felice e fertile se la filosofia diventa agricola
La terra che ci ospita comunque è l’ultima a decidere.
Se avessi meno nostalgia saprei conoscere, godermi e crescere
E invece assisto immobile al mio nascondermi e scivolare via da qui.
Verranno giorni limpidi come i primi di quest’anno
Ritorneremo liberi come quelli che non sanno”

La frase Ritorneremo liberi come quelli che non sanno mi porta alla mente le prime pagine del libro in cui Tiziano cita alcune considerazioni di Bianciardi sul liceo classico che frequentò e sui metodi di insegnamento di allora (che in molti casi forse sono gli stessi adottati ancora oggi): “Un’educazione nozionistica e retorica fatta apposta per deprimere i ragazzi

“Verranno giorni limpidi come i primi di quest’anno” dice la canzone.

3 gennaio, siamo immersi nei primi giorni di questo nuovo anno e sono giorni limpidi.
Entro nel locale di Mara Chiarelli, Portineria 21, intorno alle 17.45 e lo trovo lì Tiziano: seduto su una bella poltrona di velluto colorato.
È intento a leggere, immerso nelle parole. Subito mi riconosce: prima di quel momento non ci eravamo mai incontrati di persona ma l’immagine online aiuta a inquadrare anche i volti.
Quando mi chiedono “Come fai a organizzare questi incontri? Come prendi contatti con gli autori? Hai un’associazione? Perché li organizzi?” – e mi guardano con un po’ di sgomento – io rispondo “Basta chiedere” e aggiungo che per le passioni il tempo si trova sempre e non servono né associazioni, né sponsor, né costi d’ingresso.
Naturalmente si tratta di presentazioni di libri, ma queste occasioni sono spesso ghiotte per spostarsi anche su altre considerazioni e dialogare. 

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Tiziano Arrigoni e io da Portineria 21

La rete è uno mezzo che fa succedere le mitizzate “cose che avvengono per caso”. Il web sembra uno strumento musicale: puoi crearci cose meravigliose a patto che tu scelga come vuoi usarlo senza emettere note stonate.
Ho conosciuto Tiziano Arrigoni grazie a letture e scritture comuni in rete e da lì è nata la sua idea di farmi contribuire con un breve testo al libro che stava scrivendo, quello che abbiamo presentato il 3 gennaio a Bari.
Un incontro avvenuto proprio in Puglia, in quella regione attraversata anche da Bianciardi durante la seconda guerra mondiale.

Il viaggio del libro comincia con aneddoti e ritratti della Maremma e degli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale.
“La dinamite nella valigia” si sviluppa attorno alla geografia ed è un racconto fatto di pezzi che, incastrandosi, raccontano l’Italia seguendo i testi e le riflessioni di Bianciardi e di vari altri autori su un paese in mutamento in cui lui stesso vedeva disillusioni nonostante fosse l’epoca delle illusioni.

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Perché nel titolo del libro c’è la valigia? Perché per viaggiare serve un bagaglio. E nei viaggi metaforici quella valigia la riempiamo di esperienze, di luoghi vissuti che ci appartengono, di luoghi sognati e di voci diverse che raccontano ognuna una storia e poi si ricongiungono. Nel viaggio (metaforico) che Tiziano segue nel suo libro ci sono i libri di Bianciardi, ma ci sono anche i racconti di persone diverse per luogo di nascita e anche per formazione e professione.

Perché nel titolo c’è anche la dinamite? La metafora è riferita all’anarchico che vorrebbe cambiare una società assetata di quel benessere economico che, come abbiamo visto, in Italia ha rappresentato un passaggio momentaneo ed effimero. 

Luciano Bianciardi è stato scrittore, giornalista, traduttore, bibliotecario, attivista. Fu uno dei pochi a rendersi conto che i cambiamenti in atto nel dopoguerra avrebbero portato in Italia le tante storture di cui oggi portiamo i segni.
Nel 1962 Bianciardi pubblicò La vita agra, un romanzo in cui esprime la sua rabbia verso quel mondo e quella società “economicamente miracolose”. Il romanzo lo rese famoso anche per la storia dell’anarchico che voleva far saltare il palazzo della Montecatini, per lui simbolo di un benessere sfrenato di pochi e della morte di tanti minatori maremmani.

All’inizio della presentazione, Tiziano mi ha raccontato come è nato il libro e la scelta di scriverlo come fosse un viaggio “on the road” ispirato un po’ anche a Kerouac e fatto di voci diverse, canzoni, film.

“La dinamite nella valigia” è anche un libro ricco di testimonianze. La prima fra queste è scritta da Rossano Pazzagli, docente di Storia Moderna presso l’Università del Molise, e ne riporto un passaggio:
“La Maremma è un’altra Toscana, un ambiente particolare che spesso è stato vittima degli stereotipi o dei modelli astratti, una terra dell’«uomo raro», con un’identità mutevole e per sua natura «aperta ai venti e ai forestieri», come disse Luciano Bianciardi, o un «vasto tutto» come aveva scritto un secolo prima Carlo Martelli. […]”

Pazzagli nel libro suggerisce di attualizzare la lettura della Maremma che ci ha lasciato Bianciardi. Parlarne conta ancora molto per vedere i moderni cambiamenti con un occhio al passato che ci faccia comprendere il presente. 

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Nella parte del libro dedicata alla scoperta del sud, si racconta il Bianciardi che assistette al bombardamento di Foggia durante la seconda guerra mondiale.
Nei suoi spostamenti lo scrittore vide anche Copertino, Locorotondo, Taranto “con il ponte girevole e il suo mare” e verrebbe da chiedersi, con tono amaro, cosa penserebbe Bianciardi oggi vedendo gli effetti che l’industria ha lasciato nel paesaggio tarantino.

Lo scrittore morì a 49 anni di cirrosi epatica a causa della sua dipendenza dall’alcol, non ha potuto assistere a molte vicende avvenute negli anni successivi su cui di certo ci avrebbe dato la sua lettura. Tiziano ha detto che a 49 anni Bianciardi aveva fatto praticamente già tutto.
Il regista Luigi Monardo Faccini nel libro di Tiziano scrive una considerazione forte sulla sua tragica fine: “«La vita agra» resta un grande libro, ma arrabattarsi nei salotti, un po’ dentro un po’ fuori, della letteratura, fino all’alcolismo più distruttivo, mi ha sempre rattristato, facendomi pensare al suo genio perduto.”
Ci si chiede: cosa resta di un ideale quando tutto finisce?
Io credo che di una vicenda umana si possa salvare ciò che ci permette di capire ancora oggi, anche se rimane quel dubbio amaro: quanto altro avrebbe potuto scrivere Bianciardi e cosa penserebbe della società di oggi?
Sono domande a cui Tiziano ha provato a rispondere, ammettendo che il nostro scopo non è tanto quello di arrovellarci per sapere cosa penserebbe (dato che è impossibile), ma continuare a leggerlo, a parlarne e ad ascoltare chi come lui su questi argomenti si confronta con gli altri.

Nel libro di Tiziano il lavoro ha un ruolo da protagonista. In primo piano ci sono i minatori maremmani spesso al centro degli scritti di Bianciardi.
Dagli 83 minatori di Niccioleta assassinati nel 1944 mentre difendevano la miniera dalle truppe tedesche, fino alla tragedia del 1954 della miniera di Ribolla che costò la vita a 43 minatori e sconvolse la Maremma.

Bianciardi sul tema dei minatori ha scritto: “Ho scelto di star dalla parte dei badilanti e dei minatori della mia terra, quelli che lavorano nell’acqua gelida con le gambe succhiate dalle sanguisughe, quelli che cento, duecento metri sotto terra, consumano giorno a giorno i polmoni respirando polvere di silicio. (…) Io sono con loro, i badilanti e i minatori della mia terra, e ne sono orgoglioso”.

C’è poi un passaggio del libro in cui Tiziano scrive: “saranno gli stessi contro «nemici» diversi, nei decenni, a difendere il proprio posto di lavoro in tutta Italia.”
Le analogie tra il lavoro dei minatori della Maremma e i lavori usuranti di oggi o il cosiddetto “battonaggio del lavoro intellettuale” sono tanti. Seppur in tempi e modalità diverse, il lavoro risente tuttora della logica dello sfruttamento.
E gli effetti di questa logica sono sotto gli occhi di tutti, anche di chi preferisce far finta di non vedere.
Il lavoro dovrebbe nobilitare l’uomo, stando al detto, e invece è ancora così difficile dare dignità ai lavoratori.

A proposito di questo, vorrei citare un altro bel brano del libro. L’autore è Alberto Prunetti, scrittore, giornalista e traduttore.
“Prima ti pagavano a cottimo se andavi a raccogliere olive, ora ti pagano a cottimo sommando byte; un tot di battute, un tot di paga.
Infatti abbiamo perso i diritti comuni, lo scenario è saltato con scelte politiche ultraliberiste e il risultato è nella frammentazione dei lavoratori. […] I lavoretti che dovevano servire a costruire il lavoro vero, sono diventati il lavoro di una vita. Viviamo di lavoretti.”

Chiudo questo mio excursus tra i luoghi del libro che ho affrontato insieme a Tiziano Arrigoni il 3 gennaio. Questo racconto per tappe mi è servito per mostrarvi i passaggi che mi stanno a cuore e su cui volevo fornirvi un quadro, una visione, un richiamo all’azione. Chiudo questa parte del mio racconto, tornando a citare il libro:
“quella piccola Italia che aveva raggiunto un certo benessere e che viveva nella quieta mediocrità come scriveva, proprio in quegli anni, il poeta Franco Fortini nel suo ironico Fratelli d’Italia con il suo «tiriamo a campare», ossia «una piccola casa, una piccola moglie, un piccolo lavoro, una piccola messa la domenica».”

Credo che in Italia ci sia un problema radicato che è l’incapacità di prendersi cura delle difficoltà degli altri, delle lotte degli altri, del futuro degli altri.
Siamo più abituati a guardare il nostro minuscolo orticello di privilegi o il terreno appena sotto i nostri passi.
L’ultima domanda che ho rivolto a Tiziano il 3 gennaio è stata la stessa che gli avevo già fatto nell’intervista pubblicata su Frasivolanti:
Come potremmo cambiare la nostra cultura egocentrica e la nostra visione ristretta?

Lui mi ha risposto anche quella sera, ma io rigiro la stessa domanda a voi.
Pensateci, se vi va aspetto le vostre risposte.

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“I luoghi parlano” mi ha detto Tiziano mentre chiacchieravamo prima della presentazione del libro, seduti a un tavolino. 

Ripenso a “Come l’acqua passerà”, verso con cui termina la canzone “Filosofia agricola” che ho citato all’inizio. Quella frase delicata e potente risuona.

Quella frase è il tocco che le storie (e i luoghi) degli altri lasciano nella nostra. Tracce che si insinuano come gocce d’acqua tra i muri, parole, abbracci, una scatola di latta piena di cioccolato portata da Tiziano e un pacco di taralli pugliesi che ho donato io a lui.
Sembra di conoscersi come quegli amici di penna a cui si scrivevano le lettere. Sembra di scambiarsi doni di riconoscenza come una volta si spedivano le cartoline dai luoghi visti.

Ringrazio Tiziano: questo suo viaggio a Bari è stato per lui scoperta di un luogo di cui aveva ricordi lontani, il suo arrivo è stato per me come quel buon piatto di olive nere al forno mangiate assieme, come i lampascioni e la ricotta forte (detta da noi “squanta”) spalmata sul pane caldo e condivisa al centro della tavola a fine serata.

Abbiamo scoperto insieme i sapori della mia città, a volte anche il vociare molesto e i ragazzini che dicono “la scala di lì è chiusa” (anche se non era vero) mentre salivamo i gradini ammaliati dall’odore di panzerotti come dal canto delle sirene.

Un caro amico al termine della presentazione mi ha scritto che ci sarebbe da parlare di questi argomenti per ore. Quindi la promessa resta quella: di continuare a parlarne, di fare tesoro del tempo che abbiamo per dare un senso alle nostre discussioni e per far sì che le parole che spendiamo ogni giorno non siano solo aria fritta.
Ché di fritto ci dev’essere solo il buon cibo!

Vi lascio in dono la quarta di copertina del libro di Tiziano Arrigoni. Fatene buon uso:

Vi lascio in dono anche qualche immagine della serata:

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Grazie alla generosità di Tiziano e alla sua famiglia.
Grazie a chi era presente il 3 gennaio, alle persone care e agli sconosciuti. Grazie a chi è intervenuto durante la discussione per raccontare la propria esperienza.
Non in ultimo, grazie alla eccellente padrona di casa di Portineria 21, Mara Chiarelli, con cui spero di dar vita anche in futuro a incontri e momenti come questo.

Grazie a chi è arrivato in fondo a questo testo perché, a prescindere dalla bontà e utilità delle mie parole, chi nella vita non approfondisce rischia di cominciare a puzzare di avariato come una scodellina di ricotta squanta abbandonata sul tavolo a marcire.
Come mi ripetono spesso “di vita ne abbiamo una sola” e penso che siamo fatti per non viver come bruti.

Buona lettura, buon approfondimento, buon ascolto, buona curiosità, buon confronto, buon tempo.
E ricordate: i luoghi VI parlano e appartengono a tutti, dunque abbiatene cura e sappiate tender loro orecchie e sguardo!
I luoghi sono storie e non possono entrare solo in un depliant turistico o in un menù tipico, dunque sappiate coglierne l’essenza.

Laura Ressa

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Copertina: foto scattata il 3 gennaio 2020 durante la presentazione del libro di Tiziano Arrigoni presso Portineria 21

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti