

Quante volte avete sentito addosso il peso del dover fare e del dover essere? Quante volte avete fatto vincere le aspettative degli altri? Questi ALTRI, questo mondo che ci sembra così sempre meritevole di attenzione e così migliore di noi, per me ha spesso rappresentato un ostacolo. Sin da quando ero ragazzina e volevo dire la mia a scuola temevo sempre e spesso restavo in silenzio per paura di dire qualcosa di sbagliato, per paura di essere derisa per il mio pensiero.
Ancora oggi accade: mi chiedo troppo spesso in quanti, leggendo magari in superficie quel che scrivo e diffondo, possano pensare che io sia pesante, che mi dilunghi, che non sappia dove andare a parare e che io non dica cose interessanti. Il mostro degli ALTRI altro non è che un mostro interiore però. Capirlo e interiorizzare questo concetto è molto difficile. E da qui è partita l’idea di un luogo del poter e voler essere, del poter e voler fare. Del realizzare quel che ci piace, che corrisponde a noi.
Dover fare determinate attività, dover corrispondere a una certa idea o a una certa pretesa esterna. Quante volte ogni giorno ci viene chiesto di essere performanti, molto spesso ormai anche a scapito della nostra salute fisica e mentale.
I presupposti
Non si vive per dover essere, le cose belle non arrivano dalle forzature esterne ma piuttosto dalla contaminazione tra cose belle ed esperienze di senso. In vari contesti di vita ci troviamo a dover abbracciare il compromesso, a fare ciò che va fatto con dignità. Ma in quel fare, per quanto ci si possa mettere cura e devozione, non sempre ci riconosciamo. E allora penso che ognuno dovrebbe avere l’occasione di riconoscere pienamente se stesso in ciò che fa.
Nel luogo che sogno le persone possono coltivare le proprie peculiarità, quel che sanno fare, mettere tutto questo in condivisione, imparare nuovi modi per coltivarsi. Tutto questo prescinde dal modello di performance, abbraccia più che altro quella spinta a fare quel che ci piace davvero, quello che ci dona gioia e soddisfazione, quello per cui ci sentiamo portati o, al contrario, quello che vorremmo tanto imparare a fare ma per cui ci è mancata l’occasione o il momento per farlo.
Il sogno qual è e dove nasce?
Quando Giuseppe Jepis Rivello nella Piccola Scuola Jepis Bottega ci ha coinvolto nell’esperimento narrativo “Racconto di un’idea da realizzare” ho pensato quasi subito alla libertà, ad un luogo digitale della possibilità, a un posto fisico in cui le persone possano incontrarsi, condividere le proprie idee ma soprattutto creare. Creare qualcosa di concreto, qualcosa che vogliono fare perché gli piace farlo.
Ma nel mio luogo delle possibilità nessuno deve sentirsi in obbligo di FARE. Ci si può sentire liberi anche di esserci e basta, di ascoltare, di portare di se stessi ciò che si vuole.
Non siamo più abituati, io credo, ad avere pazienza con le persone. Ascoltiamo più spesso solo chi si impone di prepotenza, non tendiamo l’orecchio (per usare una metafora) a chi si siede all’ultimo banco più per paura che per pigrizia.
Non siamo certo nella società della comprensione, in tanti ci vogliono insegnare a farci notare, a performare, a dire anche se non abbiamo nulla da dire, a dirci che per lasciare un segno nel mondo dobbiamo per forza esporci, tentare e ancora tentare.
Giusto tentare ma no, per me bisogna imparare anche a fare silenzio. Ricordare il valore del silenzio.
Soprattutto non bisogna giudicare le persone, quindi sogno una comunità in cui non ci siano persone che dicono come si fa ad essere se stessi ma che guidano e accolgono gli altri. E per far questo non è necessario rivolgersi a comunità religiose o a quelle di auto e mutuo aiuto (che sono per antonomasia i luoghi della cosiddetta comprensione), perché anche le comunità di professionisti possono imparare poco a poco a tornare all’essenziale. A trattare le persone non come fonti di “business” (inteso come denaro) ma come possibilità di crescita umana, di coinvolgimento, di ascolto reciproco.
Perché non riportare il senso delle comunità di ascolto e aiuto anche nelle comunità creative e in quelle professionali?
Il mio sogno è un luogo, digitale ma anche fisico, in cui ognuno possa realizzare ciò che gli piace, ciò che gli riesce bene: un libro, un dipinto, una canzone, un progetto professionale, un percorso di scambio di competenze, un blog, un singolo racconto, una catena di racconti, una raccolta di esperimenti narrativi.
Il mio progetto all’inizio si chiamava Born Out, con il significato di Nascere Fuori, in contrapposizione al concetto di burnout. In realtà il nome potrebbe cambiare e assumere un’accezione positiva che racchiuda al meglio il messaggio del luogo che ho in mente.
Cosa mi hanno suggerito gli amici della Piccola Scuola
Durante i primi tavoli di lavoro, Jepis mi ha suggerito di realizzare dei mock-up, cioè dei prototipi per simulare il luogo digitale di condivisione che avevo in mente. Nel frattempo però, mentre continuavano i confronti, abbiamo capito che non era ancora quella la direzione giusta per realizzare la mia idea. Il mio luogo aveva bisogno di una rappresentazione primordiale. Avevo prima bisogno di delineare le ragioni e i perché di quel luogo.
Il progetto è agli albori, per ora è un piccolissimo seme. Ma non volevo concludere questo esperimento senza alcuna traccia. Quindi ecco qui i punti da cui sono partita.
Perché?
Il Perché è ciò che ci fa agire. Trovare il proprio Perché non è sempre facile tra le tante cose che si Devono fare nella vita per obbligo, per necessità, per mancanza di alternative.
Questa idea vuole essere un’alternativa a chi non sempre ne trova.
Scoprire ciò che ci piace fare, riscoprire ciò che ci riesce bene e dialogare con gli altri per imparare da loro e condividere saperi e capacità (anche con piccole sessioni di formazione).
Divulgare belle esperienze e progetti interessanti: una sorta di social network di notizie che allargano lo sguardo sul mondo e su ciò che di bello si può fare oltre il lavoro oppure nel lavoro.
Ritrovare il senso di quello che facciamo perché non sempre il senso lo troviamo facilmente. Guardare le cose che accadono aiutati dallo sguardo e dalla prospettiva degli altri.
A chi è rivolta l’idea?
A persone che condividono la voglia di fare qualcosa che esca dagli schemi quotidiani del Dovere.
A persone che vogliano coltivare o scoprire le proprie reali capacità e hobby e che vogliono farlo in condivisione con gli altri.
A chi crede che le cose belle esistono, si possono fare e, per dirla alla Moretti, “possono cambiare il mondo”
Come si fa a realizzarla?
Si può partire con qualcosa di semplice online, un luogo digitale in cui condividere la propria passione e scoprire quelle degli altri. Un sito web che possa un giorno essere anche un luogo fisico.
Le attività possono essere varie, questi alcuni esempi:
Incontri a tema online/offline
Presentazione e discussione su film o libri
Realizzazione di piccoli progetti narrativi (stile Piccola Scuola) o esperimenti di altro genere sempre in ambito creativo/professionale.
Il sogno e l’idea partono da qui ma non finiscono qui.
Dove arriveranno ancora non lo so ma, come accade sempre, si comincia da un mattone e il mattone vuole sempre diventare altro.
Quindi per ora vi lascio con un video che racconta proprio il mattone che vuol essere qualcosa in più…
Penso che molti, moltissimi fra noi vorrebbero essere qualcosa in più, solo che magari mancano le occasioni, i luoghi giusti, le persone con cui condividere bellezza, la spinta a voler diventare quel qualcosa in più anziché accontentarsi del dover essere.
Dove arriverà questo mattone?
Ancora non conosco la destinazione, questo luogo sognato e immaginato per ora non esiste. Ma se sono qui a raccontarvelo è perché voglio che esista prima o poi.

Qui trovate la playlist YouTube dei tavoli di lavoro della Piccola Scuola Jepis Bottega
Laura Ressa
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