
Ultimamente si parla molto di crisi, di opportunità che mancano, di fuga dei cervelli.
Il fenomeno non riguarda solo i nostri piccoli orticelli e le certezze che cerchiamo di costruire. Riguarda uno scenario più ampio.
Finché non si arriva a livelli di sfiorata povertà, in pochi si accorgono del reale valore del lavoro e di ciò che esso comporta.
Il lavoro va pagato sempre.
Non bisogna mai scendere a compromessi sul trattamento assicurativo, ad esempio.
Bisogna disporre di tutte le tutele, trovarsi in un ambiente nel quale il lavoratore venga trattato con dignità umana, svolgere il proprio compito affiancati da colleghi più esperti ricevendone la giusta formazione, godere dei diritti relativi a ferie e permessi, e, ultimo ma non ultimo, disporre degli strumenti di protezione adeguati per compiere le proprie mansioni in sicurezza.
Posti questi punti fissi imprescindibili, vorrei soffermarmi su un altro tema: la capacità di adattamento all’interno del contesto occupazionale.
Mi capita spesso di ascoltare i racconti di persone che non riescono a inserirsi.
Gente che vorrebbe scappare dall’Italia ma non muove un passo fuori dalla provincia in cui abita, che vorrebbe lavorare ma il call center no, è troppo pesante, il babysitting no, è troppo lontano per me e poi non sono così disperato.
Capita di sentire commenti simili, e spesso capita di ascoltarli pronunciati dalle stesse persone che promuovono la funzione nobilitante di qualsiasi professione svolta con dignità.
Per poter lavorare, o almeno inserirsi in un circolo virtuoso, è necessario valutare la possibilità di accettare anche il lavoro in un call center se questo può aiutarci ad arrivare più in là nella nostra evoluzione professionale.
Non si sa mai dove ci porteranno le strade che decidiamo di intraprendere, e il fatto di volerle intraprendere ci restituisce la misura di quanto vogliamo rischiare per lavorare.
Candidarsi rispondendo a tanti annunci, iscriversi ai portali di ricerca, inviare CV come ami da pesca a strascico è ben lontano dal fare colloqui, rischiare in nuove opportunità, provare, sbagliare, incontrare direttamente le aziende.
Nelle situazioni sociali, alla domanda – cosa fai nella vita? – non ci piace rispondere – lavoro in un call center – o – cambio pannolini – ma se per cominciare quella è l’unica strada, perché non rischiare e vedere dove ci porterà?
In seguito potremo tornare sui nostri passi e decidere che quel lavoro non era per noi.
Arrendersi in partenza non porta risultati.
Non importa se ci giudicheranno perché abbiamo svolto molti tirocini o perché non abbiamo fatto anni di gavetta nella stessa azienda: dalla nostra parte avremo il bagaglio di persone conosciute e di cose imparate.
Quello fa più curriculum delle lamentele e, un giorno, se avremo saputo preparare bene il terreno, porterà certamente i suoi frutti.
Laura Ressa
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Immagine di copertina: Photo by Charles Koh on Unsplash