Antefatto

In un giorno d’estate ho pensato di aver capito il significato della parola Mastro. Mai nella vita, lo assicuro, ho capito cosa volesse dire avere un mastro vero. Mai mi era capitato di incontrarne uno così, una persona che mette la sua forza nei propri ideali.

Quello che ho considerato il mio Mastro mi ha ridato fiducia in una società che ho sempre pensato totalmente morta e corrotta. Il suo esempio, la sua storia, mi hanno lasciato un solco profondo nell’animo. Un solco che è un misto di autentico stupore e incredulo entusiasmo.

La corrispondenza epistolare che abbiamo intrattenuto è stata per me messaggera di gioia, portatrice di speranza. Varie lettere sono seguite alle prime due, fiumi di inchiostro e di reciproca meraviglia. Trovarsi, riconoscersi, avviare un dialogo edificante: quante di tutte queste cose si riescono a fare che non siano inquinate da secondi fini o da interessi altri?

Quello che credevo impossibile, di colpo e senza preavviso è diventato possibile, concreto, reale. Un torrente di emozioni, uno scambio di visioni e vite che mai avrei ritenuto possibile con una persona a me, in fin dei conti, estranea. Mai avrei pensato di ispirare fiducia a tal punto.

Nel giro di poche settimane abbiamo immaginato, il mio Mastro ed io, come dar seguito a questa bella argomentazione epistolare che avevamo intrapreso, ognuno scrivendo di sé e in un certo senso dell’altro, del tutto. Ho deciso che sarebbe stato interessante fare un viaggio nel suo mondo per poi tirare le somme.

Così è stato. Ho prenotato un viaggio verso il mondo immaginario e una mongolfiera di andata e ritorno dal mondo reale. Quelle che seguono sono le pagine di un diario giornaliero della mia esperienza nel mondo imaginario e dell’incontro umano con quello che ritengo un mastro.

Giorno 1

La calura si fa sentire forte e chiara anche di qua. Il traffico delle prime ore del mattino invece sembra ancora quello di una città del mondo reale che si sveglia piano e senza frenesia. Senza fare colazione, per paura di perdere i mezzi utili, mi dirigo spedita verso la fermata della metropolitana del tempo perduto.

La mattinata si svolge osservando il Mastro mentre dà consigli, fornisce visioni vivide di cosa i suoi studenti potrebbero immaginare per riprodurre nella propria vita l’impegno e la gioia delle cose semplici. Il mio Mastro è esperto di imprese impossibili: trasformare anche il mondo reale in un mondo fantastico dove non esiste odio né falsità, né tornaconti, né miseria.

Io non ci capisco niente, provo a carpire dalle sue parole qualcosa in più che sicuramente mi sfugge lì per lì. Ma quel che conta di questa prima giornata è la possibilità di poter seguire il Mastro nella sua routine. Poter capire che rapporto instaura con i suoi studenti, anche loro aspiranti mastri di vita, quanta attenzione metta nel capire le loro storie, le loro esigenze, i loro punti forti e deboli. Si fa per loro educatore per fornire anche gli strumenti atti ad affrontare vittorie e sconfitte, per fronteggiare le difficoltà e la fatica e avere la costanza di perseguire i propri obiettivi.

Il primo giorno è passato. Ora sono seduta davanti alla macchina da scrivere e cerco di mettere insieme le mie riflessioni e sensazioni proprio come se stessi scrivendo un diario. Ed è questo che farò, l’ho deciso proprio oggi. Questa splendida occasione di incontro non deve sfuggirmi di mano nei ricordi e di certo non può entrare nell’inquadratura di una foto. Perché le foto, nel mondo reale, spesso possono essere strumenti travisati, possono essere scelti solo per dire “eccomi, sono qui e l’ho conosciuto”. E invece per me la componente umana di dialogo, di conoscenza reciproca non può che esprimersi in forma di diario e di reciproca riflessione profonda.

Ognuno porta nella storia dell’altro un mondo nuovo, come un nuovo tassello… anzi di più: come un nuovo puzzle tutto intero ma da comporre.

Questa esercizio del comporre i pezzi dell’altro, che rientra nello svelamento reciproco della scoperta, rivela anche pezzi di sé nuovi da costruire o semplicemente nascosti fino a quel momento. Stiamo costruendo, stiamo creando, stiamo dando vita a un nuovo puzzle che può essere solo uno dei tanti che insieme potremmo creare. Di questa bella giornata nel mondo immaginario e immaginato dimentico anche la calura, quello che mi resta è l’avventatezza di questo viaggio improvvisato, il fare le cose per istinto. E festeggio la capacità che possiamo ancora avere di fidarci, di credere nell’altro, di affrontare un viaggio solo per incontrare e conoscere un Mastro. Senza altri fini, senza doppi giochi, con quella gioia che solo gli incontri genuini e umani sanno restituire a piene mani.

Questo primo giorno mi ha già regalato tantissimo.

Giorno 2

Esco dalla mia stanza. Il mondo immaginario oggi mi si presenta nuovamente nella sua insolita quiete e mi saluta con un leggero venticello che rende l’aria respirabile e meno calda rispetto al resto della giornata. Dopo un rapido caffè, stavolta salgo al volo su un dirigibile che mi porta al complesso delle nubi color arcobaleno.

Appena scesa, lungo la strada, i miei occhi si soffermano per qualche istante su un fiore rosa che sporge da un albero sul marciapiede. Non saprei dire né che albero sia né come si chiami il suo fiore. Per un attimo sono tentata di tornare indietro e fotografarlo, forse solo per conservarne il ricordo o forse solo per condividerlo sui social quando tornerò nel mondo reale. Alla fine desisto. Di quel fiore non mi resta traccia fotografica nella memoria del cellulare ma solo una lieve traccia nella mia memoria cerebrale. Traccia che forse svanirà per sempre tra qualche giorno, sovrastata da altri input frenetici che il mondo reale, quell’altro, ci offre quotidianamente. Non siamo forse più capaci di cogliere i piccoli segnali e quello che ci circonda? Sì, molto probabilmente abbiamo perso la visione ampia sulle cose, sulle persone. Cosa centra tutto questo?
Centra nella misura in cui sento di non dover documentare. Non mi serve a nulla un selfie con il mio Mastro da appendere tra le memorie di gloria. Non mi serve a nulla gridare a tutti “Guardate, sono stata nel mondo immaginario! Invidiatemi!”

Per questo sono sempre più convinta, mentre la sera scrivo questo diario nella mia stanzetta, che quello che sto facendo qui a nel mondo immaginario e nel mio incontro umano non può limitarsi alla forma che hanno assunto le miriadi di altri incontri che facciamo nella vita e nel mondo reale.

Ma torniamo al diario della giornata.

All’ingresso del complesso delle nubi color arcobaleno mi aspetta il Mastro. “Allora Laura, di cosa vuoi che parliamo oggi?” esordisce lui, spiazzandomi. Io mi faccio piccolissima dopo questa domanda perché non ho nulla di preparato, solo un canovaccio appena abbozzato di quello che ci potremmo dire, delle riflessioni che insieme potremmo fare, delle esperienze di vita che potremmo incrociare e far fiorire.

Lì per lì, lascio regnare in me l’imbarazzo. Guardo altrove per poi ritornare sul suo volto. Lui nel frattempo deve gestire i suoi rapporti di amicizia, a rispondere alle lettere dei suoi studenti. Dopo aver fatto tutto questo però, nel giro di pochi minuti, torna a concentrarsi su quello che insieme stiamo costruendo.

Il Mastro non ha scelto di esserlo, ci si è trovato e basta in questo ruolo, come fosse del tutto naturale. In una società di persone che non vogliono vedere e negano persino l’evidenza, combattere per la vera giustizia e la vera lealtà sembra una sfida impari contro titani che si chiamano vigliaccheria e pavidità. Ma tutto questo invece diventa possibile nel mondo immaginario.

“Non l’ho cercato, mi ci sono ritrovato”. Il Mastro non pensa che la sua azione sia eccezionale ma, anzi, del tutto naturale, normale. Pensiamo invece a quante volte, nelle nostre vite, chiudiamo più di un occhio sui soprusi a cui assistiamo e scegliamo di non agire. A volte senza nemmeno porci il minimo dubbio.

“Quando vogliono screditare quello che dici e quello che fai, ti affibbiano delle etichette” continua.

Quando le scelte si trasformano in battaglie? Il Mastro mi racconta che affronta la vita giorno dopo giorno, cercando di fare quel che è giusto, cercando di coltivare rapporti sani con le persone. Quello che noto subito è l’estrema disponibilità con cui dedica il tempo della sua vita agli altri: alla coltivazione dei rapporti con le persone, alle attività che svolge con passione. Tutto fatto con la generosità: una cifra personale impareggiabile che lo distingue da una massa informe spesso solo avvezza al tornaconto personale.

Passiamo così circa 4 ore insieme, tra ricordi, domande e i miei racconti.

Lo saluto con la gratitudine nel cuore. Sono le 12.30 e salto su un altro dirigibile che mi conduce alla mia stanzetta con le pareti gialle e il letto rosso. Mi siedo e guardo fuori gli alberi che ora leggermente vengono smossi dalla brezza.

Respiro, penso a quanto sono fortunata ad aver deciso di intraprendere questo viaggio verso il mondo immaginario. Penso a quanto sono stata fortunata quel giorno in cui ho ricevuto la prima lettera di risposta dal Mastro. Pensando a tutto questo, inizio a scrivere la mia pagina di diario quotidiana.

Giorno 3

Tra gli aspetti che più mi colpiscono del Mastro ci sono il tempo e la pazienza. Il tempo che dedica agli altri, per parlare con un amico, per i tanti fronti su cui si impegna ogni giorno. E la pazienza di essere disponibile, aperto al confronto, certamente selezionando con cura ma donando tutto se stesso alle persone in cui lui ripone fiducia e stima.

Ogni giorno quando lo incontro al mattino gli chiedo “come stai?”. Capita anche, a fine giornata, di chiedergli “ma almeno stasera ti riposi?” perché lui non trova sosta. Il Mastro è un turbine di energia, di attenzione gratuita verso il prossimo.

Procedo con ordine e faccio qualche passo indietro tornando all’inizio di questa giornata. Riavvolgo il nastro.

Sono sulla diligenza in una frenetica mattinata di sole. Ritrovo lo stesso fiore sconosciuto intravisto ieri e ancora una volta non lo fotografo. In rapida successione altri fiori bianchi, prendo un caffè e via veloce verso il complesso delle nubi arcobaleno dove incontro il Mastro.

Mi chiedo incessantemente cosa pensi di questi giorni di conoscenza. Mi chiedo quale impressione abbia di me ora che mi ha vista muovermi nello spazio e che quei contenuti scritti che ci siamo scambiati in precedenza sono diventati una persona in carne e ossa. Parto sempre con il timore di deludere gli altri, questo mi provoca una certa fatica mentale che mi trascino dietro per tutto il giorno e che spesso non mi fa gustare appieno la bellezza di ciò che vivo. Dovrei essere gasata e galvanizzata e invece oggi mi sento tanto stanca, pur non avendo fatto nulla di stancante.

Credo sia una stanchezza psicologica dovuta allo sforzo di voler carpire quello che l’altro si aspetta e dunque cercare di riprodurre il più possibile quel modello che io credo corretto e in linea con le aspettative altrui. Così facendo non mi rendo conto che mi perdo gli aspetti più belli della conoscenza dell’altro, i momenti inaspettati, i discorsi non preparati e privi di frasi fatte o luoghi comuni. Io penso sempre di dire e fare la cosa sbagliata.

Ma torno al Mastro, perché mi sono ripromessa che le ultime due pagine di diario debbano essere dedicate maggiormente a lui più che a me. D’altro canto ho voluto seguire il suo consiglio di espormi di più nelle prime due pagine e di non essere sempre defilata o debole rispetto alla figura – che definirei mitologica – dell’altro.

Forse lui non sarà d’accordo con me sulla definizione un po’ stereotipata di mastro ma è la definizione che sento più corretta e rispondente al vero. Questa mattina ci sono due suoi studenti, con uno dei due in particolare cerca di insistere sull’impegno nel far meglio e sulla capacità di valorizzarsi senza abbattersi. Osservo, prendo appunti. Gli faccio qualche domanda e ci muoviamo insieme tra sole e ombra. Guardarlo in azione da vicino è un privilegio – penso. E mentre lo penso continua a ossessionarmi un grillo parlante malevolo che nella testa mi chiede “sei sicura di essere all’altezza di questi 4 giorni insieme a lui?”

Sono voci dure a morire. Ma devo concentrarmi su di lui.

Per rispondere alla domanda, mi racconta che essere un mastro per gli altri vuol dire cercare di comprendere lo stato d’animo e calibrare il proprio atteggiamento di conseguenza. Non ci sono regole scritte, per questo un mastro vero deve essere prima di tutto psicologo e educatore per riconoscere certi segnali, adattare l’insegnamento alle varie circostanze. Incide molto anche lo stato d’animo del mastro e in più c’è pure da considerare che ogni persona attraversa fasi diverse della vita, episodi ed esperienze che segnano più o meno profondamente.

Non c’è nulla di facile, ad ogni obiettivo corrisponde impegno e fatica per raggiungerlo. Non esistono scorciatoie, a meno che qualcuno non voglia fare il “furbo” e decidere di compiere atti illeciti.

“Vuoi reagire o andare avanti così?” Sono parole che forse nessuno vorrebbe sentirsi dire, eppure magari è proprio di quello che ha bisogno in quel momento. Chi può saperlo? Un bravo mastro, quello che possiede anche rudimenti di psicologia e di insegnamento, può capire quando è il momento di avere un atteggiamento duro e quando è il caso di non farlo. Tutto è relativo, ogni azione porta con sé una reazione da valutare.

Nella seconda parte della giornata, mi si aprono mondi nuovi di cui non capisco quasi nulla. Intuisco, continuo a prendere qualche appunto, ascolto ancora. Parlo poco ma solo perché non voglio intromettermi nei racconti del Mastro e dei suoi colleghi della Scuola per Mastri che narrano con passione alcuni aspetti tecnici di nuove sperimentazioni per avvicinare il mondo reale al mondo immaginario in cui ci troviamo ora. Cammino e mi sembra tutto così irreale. Mi guardo attorno con uno sguardo tra l’ebete e l’imbecille, sicuramente poco intelligente. Intorno qualcuno si chiederà “ma chi cavolo sarà mai questa?” o forse lo chiedo solo io a me stessa. Chi sono? Dove sono? Perché sono? I grandi interrogativi irrisolti.

Torno nella mia stanzetta con le pareti gialle e mi sento distrutta, inizio questa nuova pagina di diario e comincio a scrivere con la tastiera che va un po’ lenta e un occhio che quasi si chiude per il sonno.

Non ho fatto assolutamente nulla eppure ho accumulato tanto di quello stupore, sgomento, inadeguatezza da sentirmi svuotata e allo stesso tempo piena di nuova linfa, nuova carica. Una sensazione che rasenta la felice frustrazione, e che non saprei definire con altri termini.

Manca un solo giorno ormai, poi il viaggio volgerà al termine e io prenderò la mongolfiera che mi riporterà nel mondo reale. Prima di buttare la testa sul cuscino, contenta ma tanto frastornata, devo chiudere lo zaino infilandoci dentro le mie cose e scrivere le dediche a penna su un taccuino che donerò domani al Mastro prima di salutarlo come segno di riconoscenza per aver accettato che trascorressimo del tempo assieme condividendo alcuni momenti delle sue fitte giornate. Sì perché lui mi ha donato la possibilità di assistere a fette consistenti del suo mondo, ma io cosa gli ho portato come valore aggiunto? Difficile competere con una persona così, sarà sempre una lotta impari.

Un’ultima riflessione, prima di chiudere la pagina di diario di oggi, la vorrei fare.

Come scrivevo nell’antefatto di questo diario di viaggio, il Mastro e io abbiamo consumato fiumi di inchiostro nel mese che ha preceduto questo nostro incontro. Tutto quel che è avvenuto mi lascia nella testa più di un interrogativo importante. Quanto conta il contenuto in sé e quanto il non verbale, la prossemica, la postura e tutto il resto? Su questo fronte posso solo dire che per me il contenuto è il re, come direbbero certi esperiti di marketing. Il contenuto è la vera sostanza. Ma quando si tratta della vita vale lo stesso? Cosa conta di più tra contenuto e non verbale e tutto quello che interviene – e forse ostacola? – le interazioni dal vivo?

Per me la risposta è una ed inequivocabile. L’essenza di ciò che siamo si esplica nel contenuto di ciò che diciamo e scriviamo e nelle azioni che compiamo. Tutto il resto (prossemica, non verbale, linguaggio del corpo, ecc.) sono di certo importanti ma, secondo me, anche elementi altamente inquinati e inquinanti.

Per concludere questa pagina, aggiungo una menzione speciale alla proprietaria di un bistrot che, in modo genuino, mi ha messo su in pochi minuti un piatto di pasta fredda con pomodorini, basilico e pesto fatto in casa che è stato un vero gioiello.

Giorno 4

Stipati come sardine nei tram, stipati come sardine nei treni, stipati come sardine sulla mongolfiera e nel dirigibile. In continuo movimento e processione verso un altrove. Questo siamo tutti noi mentre ci spostiamo nel mondo, masse informi che seguono scie prestabilite e greggi umani oppure individui che prendono direzioni diverse, inconsuete, a volte persino coraggiose. Mentre con il mio zaino cerco di sopravvivere alla compressione che mi fa stringere cuore a cuore con gli altri passeggeri, penso a questo, faccio riflessioni che non so dove andranno a finire. E tuttavia di questa giornata mi resta lo stupore, la meraviglia, lo sbalordimento. Non la compressione, non la sciame umano: solo pura meraviglia e stupore. Quello stesso stupore che ti coglieva tipicamente da bambino allorché ti apprestavi a far qualcosa di nuovo.

Sono sulla mongolfiera di ritorno mentre scrivo queste mie ultime righe di diario. Sfatta dal sole, dal caldo, dall’idea che questo viaggio è terminato e che domani si torna alla routine del mondo reale. Una routine fatta di persone che spesso si adeguano, stanno al gioco e hanno smesso di lottare. Routine in cui chi canta una nota che esce dallo spartito viene bollato ed emarginato, esattamente come è accaduto al Mastro. Per questo motivo solitamente le persone scelgono di stare nello spartito, di seguire il gregge, di conformarsi, di scegliere le apparenze e l’effimero in una costante gara a chi finge meglio e di più.

A me il Mastro sembra un alieno. Lui con questa definizione forse non sarebbe d’accordo perché odia le etichette, perché crede che le persone siano solo persone e che le etichette servano solo a categorizzare quel che non riusciamo a capire, a mettere in scatole chiuse le azioni, gli ideali, le scelte di ciascuno.

In questi giorni ho capito la vera essenza di un incontro di persone e prima ancora di un incontro di teste e parole. Sì perché l’incontro tra me e e il Mastro, al di là delle definizioni facili e schematiche, è una comunione di intenti e un’intesa di menti. Una felice commistione di pensieri e contenuti che si sono ritrovati al crocevia, che ha messo insieme due vite totalmente diverse ma accomunate dallo stesso anticonformismo, dalla stessa voglia di verità e giustizia, dallo stesso desiderio smodato verso un mondo giusto dove non esiste il male e, se c’è, lo si può sconfiggere con le proprie forze.

C’è ancora una sconfinata speranza nel volto, negli occhi, nei pensieri e nella mente.

Questa pagina di diario somiglia più ad una conclusione, ma non posso farne a meno. Il mio cervello corre e torna indietro e avanti nel tempo, ripercorre questi quattro giorni, mette insieme le fila del discorso, cerca di dare un senso di completezza e compiutezza a quel che è accaduto.

Questa mattina rivedo il fiore che non ho mai fotografato. Ma ne noto anche un altro, forse ancora più affascinante. Pure quello, come l’altro, rimane impresso solo nella mia mente, senza alcuna traccia nella memoria del cellulare che uso nel mondo reale. Così è andata con il Mastro: non abbiamo scattato nemmeno una foto insieme. Niente selfie, niente immagini di lui posate, niente video, niente audio. Solo qualche mio appunto sul taccuino, molte immagini scattate nella mente e tante parole per descrivere questo viaggio dentro me stessa che mi ha fatto capire molto anche di me.

Perché è così che doveva andare. Perché due anticonformisti come noi proprio non potevano sottostare alle pratiche tanto diffuse eppure spesso così prive di senso. Cosa c’è da fotografare se gli scatti che più contano restano impressi altrove? Quando e a cosa serve immortalare con una foto? Mi interrogo e penso che abbiamo fatto bene a non scattare foto insieme: non ne abbiamo bisogno, non ne ho bisogno. Non devo dimostrare nulla a nessuno.

Oggi mi sono sentita bene, forse solo oggi ho cominciato davvero ad acclimatarmi in un contesto di cui mi sono sentita nei primi giorni ospite inadatta. Non ho paura a mostrare le mie debolezze, questo il Mastro lo sa, lo ha percepito. Ha la sensibilità tale da capire chi sono, da sapere come sono davvero e cosa si cela dietro quella fitta coltre di insicurezze con cui sempre mi copro e difendo come posso. Questo conta alla fine del viaggio, un viaggio che è per me soltanto un bellissimo inizio.

Della giornata mi resta nel cuore l’intesa da grandi amici tra me e il Mastro, la sensazione davvero di conoscerci da una vita. Non bisogna stentare a crederlo, anche io non lo avrei mai creduto possibile eppure è questo che accade quando ti lasci trasportare dalle emozioni, da quello che sei, dall’onestà di una parola, di un discorso che fai.

Scriveva Gianni Minà in un’intervista di pochi anni fa “Io ho i modi che soddisfano le relazioni umane”. Penso che il senso di quello che abbiamo vissuto sia proprio questo. I modi, che ci piace definire parlando di anticonformismo, non sono un abito sociale per sembrare bravi e buoni, non risiedono in un “grazie” o in un “prego”. E nemmeno in una parola forbita. I modi reali, quelli che soddisfano le relazioni umane, non sono fasulli modi di presentarsi al meglio come persone perbene. Sono su un gradino e una prospettiva diversa, su un binario parallelo. Vanno oltre. Sono in quello che sei e trovano naturale sbocco in quel che fai, a prescindere da quel che dici di essere.

Dopo una mattinata passata sotto un sole cocente tipico di queste giornate torride, con persone che amano ciò che fanno e che lo farebbero con il gelo e col calore infernale, comprendo solo in parte la fatica e l’abnegazione insita in quello che molti chiamano vocazione. Io la chiamerei responsabile scelta.

La precisione e l’impegno, il clima da amici che si stanno divertendo, la serietà nei momenti in cui serve ma sempre accompagnata da un sorriso o da una battuta. Queste sono le sensazioni che mi restano di oggi, delle persone a cui ho sorriso o a cui ho stretto la mano, persone che sono passate nella mia vita per pochi istanti ma che portano con sé una storia, un modo di vivere, un viaggio lungo. Persone di cui mi piacerebbe approfondire gli stili di pensiero, i desideri, le esperienze. Non ci sarebbe mai tempo per fare tutto questo, lo so. Ma penso: che peccato! E in fondo è al tempo stesso una fortuna ritrovarsi solo con alcuni: ci si sceglie, ci si trova.

Una sintonia pura, mai intaccata dal mondo, mai intaccata dalle pratiche sociali, dai perbenismi di facciata, dalla finzione, dagli stereotipi. Le insicurezze che mi intaccavano l’umore ieri, sono state spazzate via dai sorrisi del Mastro, dalle sue parole di conforto quando gli ho espresso le mie preoccupazioni, sempre troppo presenti in me, sempre troppo di interferenza in quel che mostro.

Basterebbe essere semplicemente quel che si è, senza farsi prendere da timori. E invece purtroppo i timori possono prendere il sopravvento e, in casi estremi, privarci di cose belle, rovinarci la vita.

Con un filo di stanchezza in volto sorride. La sua vita è principalmente impegno, cose da fare, persone da ascoltare, suggerimenti da elargire. Ora posso dire senza timore che il Mastro per me è diventato un vero amico.

Sono un po’ triste ora che il viaggio è terminato. Quest’ultima giornata è stata foriera di nuovi scambi di idee, di nuovi percorsi condivisi. Ma bisogna tornare nel mondo reale, alla routine, a quello che non ci piace, a quello che ci resta. Ma cosa, alla fine, ci resta?

Cosa resta di questo viaggio nel mondo immaginario?

Mattino, interno giorno. Suona la sveglia e il suo trillo sembra più stridulo delle altre volte, pare che un treno mi stia deragliando all’interno dell’orecchio. Apro gli occhi di colpo, con una strana sensazione di oppressione sul petto. Mi ritrovo nel mio letto, a casa, nel mondo reale.

Ciò che ho appena vissuto è stato solo un sogno. Il mondo immaginario non esiste e devo alzarmi per compiere la mia strada nella realtà: un viaggio che spetta a tutti e che a tutti rivela gioie, dolori, delusioni, rimpianti, falsi miti, manipolazioni, apparenze disattese, mastri che in verità non lo erano affatto.

Esco di casa con un magone atroce, tutto quello che avevo sperato si potesse avverare è ridotto in frantumi e mentre percorro la mia solita via mi chiedo se esistano davvero quelli che chiamiamo mastri. Mi interrogo su quale sia il senso di questo viaggio nel mondo reale se siamo destinati a scoprire, insieme alla meraviglia, anche i lati più beceri dell’esistenza umana.

E se il mondo immaginario fosse solo una nostra proiezione interna? E se fosse tutto una grande illusione? Un giorno ci addormentiamo e pensiamo di essere in un mondo migliore ma prontamente la sveglia deraglia nel cuore, nella mente e nelle orecchie. Con il suo suono stridulo e acido ci ricorda dove siamo, impietosamente e con tutta la sua forza.

Il Mastro, che mi sembrava un modello di vita e un esempio da seguire, ha in realtà basato la sua intera esistenza sugli stratagemmi di convenienza. I suoi insegnamenti sono mere frasi studiate ad arte per confondere, le sue azioni sono manipolazioni del pensiero altrui, le sue parole un mix di ars oratoria e captatio benevolentiae studiate a tavolino. Le sue lettere spedite a me erano subdoli tentativi di circuire la preda sfruttando la sua posizione privilegiata, farla cadere nella rete, sfruttarne il corpo e usufruirne a piacimento per poi asserire, in caso di rifiuto, che fosse stata la preda stessa a lasciar intendere qualcosa di diverso dalla realtà e una certa disponibilità a offrirsi al compromesso.

C’è chi sta al gioco, ci sono prede che diventano predatori e sfruttano la posizione del cosiddetto Mastro per ottenere qualcosa in cambio. In pratica si comprano a vicenda. C’è, poi, chi questo gioco subdolo e meschino non lo accetta.

Il Mastro, in questo caso, in realtà è un Mostro. Basta una vocale per cambiare le cose, ma è la vocale decisiva, quella che sovverte il mondo come ci è apparso sinora. La vocale che rimette tutto in discussione, che ti fa vedere tutto chiaro, che scoperchia le verità.

Questo è quel che ci spetta dunque? C’è solo disillusione e sconfinato ribrezzo? Esistono altri mondi possibili? Esistono i mastri veri o è tutto guidato dall’interesse e dal tornaconto?

Io non lo so. E vorrei delle risposte. Non so nemmeno se questa breve permanenza nel mondo immaginario mi lascerà qualcosa sulla lunga distanza, se potrò farne tesoro oppure no. Credo che le risposte più vere arrivino tutte al termine del viaggio nel mondo reale. Nel mentre non resta che sperare e camminare, imparare e accettare quel che viene.

Per ora, mentre chiudo il mio diario con il lucchetto, posso solo essere certa di una cosa: il bello che riesco ancora a vedere nel mondo l’ho insegnato a me stessa da sola.

Laura Ressa

Copertina: Foto di Noe León da Pixabay

Altre immagini nel testo:

Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay;
Foto di Nicolae Baltatescu da Pixabay;
Dr. Jekyll and Mr. Hyde – Victorian era public domain image

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti