esempi virtuosi capitalismo star trek

Esempi virtuosi: a volte ne sentiamo parlare. Spesso, tra essi, bisogna imparare a distinguere cosa è propaganda e cosa è verità poiché, soprattutto quando si tratta di aziende, i cosiddetti “comportamenti virtuosi” decantati possono essere stati studiati a tavolino per rivendere un’immagine epurata. In quei casi gli aspetti virtuosi sono veri solo in apparenza. Di maschere e apparenze fasulle ho già parlato in un altro articolo.

Qui vorrei concentrarmi su un tema differente che dovrebbe starci a cuore e farci riflettere: gli esempi virtuosi (quelli veri) possono davvero migliorare il mondo?

La domanda è a doppio taglio. Parto già col dire che forse una risposta certa a questa domanda non c’è e non ci sarà mai. Tutto è relativo: le variabili in ballo sono tante, dalla qualità della vita ai governi, e dunque i destini dei paesi e delle persone sono in mano a pochi. Le scelte decisive del mondo si giocano su tavoli riservati e non dipendono quasi mai dalle azioni dei singoli individui né dalle singole realtà virtuose.

L’eterno romantico, che crede davvero nei buoni esempi, mi risponderebbe che vale sempre la pena agire per il bene comune. Che le buone azioni si compiono senza pretendere nulla in cambio e che anche una goccia nel mare può fare la differenza. Sono tutte cose giustissime con le quali fino a poco tempo fa mi trovavo pienamente d’accordo. Oggi invece quella convinzione in me comincia seriamente a vacillare.

In che modo una goccia di bontà può davvero cambiare e fare la differenza in un oceano pieno zeppo di fango? E se il fango non diminuisce, qual è l’utilità della goccia? E se nelle immediate vicinanze della goccia, il fango continua a dilagare a cosa servono gli esempi davvero virtuosi?

Se posso e devo cambiare in meglio la mia vita, posso certamente impegnarmi per cambiare in meglio anche il mio contesto di vita. Ma cosa fare affinché questo sforzo profuso per il bene non si limiti alla propria auto-conservazione ma abbia risvolti positivi anche sugli altri e, in un mondo ideale, anche su tutto il resto?

Guerre, disastri ambientali e riscaldamento globale sono i primi temi che ci vengono in mente se pensiamo a quel che non gira per il verso giusto nel nostro mondo. E scappare altrove, in alcuni di questi casi non serve a nulla. Il dissesto ambientale riuscirà a trovarci ovunque andremo. Forse a breve anche la guerra riuscirà a trovarci ovunque.

La facilità con cui conosciamo questi problemi e tuttavia facciamo spallucce è a dir poco disarmante, per non dire vomitevole. Ce ne sono tanti – guardatevi intorno – che, nonostante il dissesto globale del mondo e il serio rischio di una terza guerra mondiale, si preoccupa soltanto del proprio qui e ora, accumulando denaro come se dovesse portarselo nella tomba, facendo del male al prossimo solo per diletto, cercando di acquisire maggior potere per prevaricare.

Mi chiedo su cosa si fondi la vita di simili individui. Mi chiedo cosa faranno quando guarderanno in faccia la catastrofe di cui sono i primi artefici e responsabili.

Il capitalismo e la distribuzione iniqua delle risorse

Se penso ai tanti danni del nostro tempo, e della storia dell’umanità in genere, penso al capitalismo. Per fornire una definizione completa, scomodo nientemeno che Wikipedia.

In economia, il capitalismo è un sistema economico in cui alcune imprese e/o alcuni privati cittadini possiedono mezzi di produzione, ricorrendo spesso al lavoro subordinato per la produzione di beni e servizi a partire dalle materie prime lavorate, al fine di generare un profitto attraverso la vendita diretta o indiretta ad acquirenti degli stessi. Tale produzione, basata sulla domanda e sull’offerta nel mercato generale di tali prodotti, è nota come economia di mercato, contrapposta all’economia pianificata, caratterizzata invece da una pianificazione centrale da parte dello Stato. Anziché pianificare le decisioni economiche attraverso metodi politici centralizzati, come nel caso del feudalesimo e del socialismo, sotto il capitalismo tali decisioni sono del tutto decentralizzate ovvero nate sulla base di libere e volontarie iniziative dei singoli imprenditori.

In senso politico, con il termine “capitalismo” ci si riferisce a quegli ordinamenti statuali che pongono il “capitale” (il reddito, la proprietà, ecc.) al centro della tutela costituzionale.

Nel capitalismo, come è noto, chi possiede il capitale detiene anche il potere. Come è altrettanto noto, nella società capitalista le risorse sono distribuite in modo iniquo e le maggiori ricchezze restano in mano ad un ristretto numero di persone.

Le disparità dilagano ovunque: basta osservare la società moderna e quel che accade quasi in ogni città e nazione in maniera capillare. Il ricco passeggia per strada accanto al mendicante. E purtroppo dobbiamo ammettere che la beneficienza, benché possa essere considerata un gesto nobile, poco fa e poco cambia nello stato delle cose. Le disparità restano, con la sola differenza che il ricco di turno, con quel gesto, riesce a lavarsi un poco la coscienza.

Nella sezione che Wikipedia dedica alle critiche al capitalismo c’è scritto quanto segue:

Un’argomentazione moderna importante è che il capitalismo semplicemente non è un sistema, ma soltanto un insieme di domande, problematiche e asserzioni riguardanti il comportamento umano, simile alla biologia o all’ecologia e alla sua relazione al comportamento animale, complicato dal linguaggio dalla cultura e dalle idee umane. Jane Jacobs e George Lakoff hanno argomentato separatamente l’esistenza di un’etica del guardiano fondamentalmente legata alla cura e alla protezione della vita, e di un’etica del commerciante più legata alla pratica, esclusiva fra i primati, del commercio. Jacobs pensava che le due fossero sempre state separate nella storia, e che qualsiasi collaborazione fra di esse fosse corruzione, cioè qualsiasi sistema unificante che pretendesse di fare asserzioni riguardanti entrambi, sarebbe semplicemente al servizio di se stesso.

Per Benjamin Tucker il capitalismo è la negazione del libero mercato, perché l’esistenza del capitalismo è basata su privilegi statalisti: i Quattro Monopoli (dazi, brevetti, catasto, valuta ufficiale). Altre dottrine si concentrano sull’applicazione di mezzi capitalisti al capitale naturale (Paul Hawken) o al capitale individuale (Ayn Rand) – dando per scontata una struttura morale e legale più generale che scoraggi l’applicazione di questi stessi meccanismi a esseri non viventi in modo coercitivo, p. es. la “contabilità creativa” che combina la creatività individuale con il complesso fondamento istruttivo della contabilità stessa.

A parte argomentazioni molto ristrette che avanzano meccanismi specifici, è alquanto difficile o privo di senso distinguere le critiche del capitalismo dalle critiche della civiltà europea occidentale, del colonialismo o dell’imperialismo. Queste argomentazioni spesso ricorrono intercambiabilmente nel contesto dell’estremamente complesso movimento no-global, che è spesso (ma non universalmente) descritto come “anti-capitalista”. Una critica legata al numero di vittime provocato dal capitalismo è trattata nel libro nero del capitalismo.

Cito Karl Marx:

«Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell’enorme maggioranza della società.

Ma non discutete con noi misurando l’abolizione della proprietà borghese sul modello delle vostre idee borghesi di libertà, cultura, diritto e così via. Le vostre idee stesse sono prodotti dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà, come il vostro diritto è soltanto la volontà della vostra classe elevata a legge, volontà il cui contenuto è dato nelle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.» (Marx, Engels, Il manifesto del partito comunista, 1848)

Capitalismo a parte, credo che nella storia dell’uomo non ci sia mai stato un tempo d’oro in cui le maggior parte delle persone agisse per il bene comune o per una equa distribuzione delle risorse.

E non c’è mai stato perché credo che sia insito nell’uomo l’istinto di prevaricazione. Proprio per questo motivo gli esempi virtuosi e le persone che realmente fanno del bene e operano per il bene comune restano, appunto, delle belle eccezioni che confermano la regola.

Qual è la differenza che possiamo fare come singoli?

Un articolo del 2019 scritto da Federico Taddia offre alcuni spunti sulle piccole rivoluzioni quotidiane per cambiare il mondo. Si tratta di gesti semplici che tutti potremmo mettere in pratica. E sono validissimi ancora oggi a distanza di qualche anno.

Se è vero che i cambiamenti positivi ci sono, così come gli esempi virtuosi, è vero pure che tali cambiamenti hanno un impatto sulla qualità della nostra vita.

Il Better Life Index (BLI) è uno strumento web interattivo creato per permettere alle persone di misurare autonomamente la propria qualità di vita. Lo strumento invita a osservare l’andamento del benessere nei vari Paesi a seconda dell’importanza che viene attribuita agli 11 temi proposti, che sono: relazioni sociali, istruzione, ambiente, impegno civile, salute, abitazione, reddito, lavoro, soddisfazione di vita, sicurezza e equilibrio lavoro-vita privata.

Qui la lista di dettaglio degli indicatori del BLI“. (dall’articolo La qualità della vita secondo l’Ocse, la situazione in Italia)

Di qualità della vita ha parlato anche il Sole 24 Ore e qui trovate alcuni dei metodi possibili per la sua misurazione.

Ma il tema è più complesso di così. Le classifiche sulla qualità della vita mostrano solo una parte della realtà e una parte infinitesimale del problema. Sono, ancora una volta, inique, legate alle scelte dei governi, alle condizioni di ricchezza più o meno favorevoli, alle condizioni di partenza dei territori.

Dunque la domanda torna prepotente: se la qualità della vita non ci garantisce di poter vivere in un mondo giusto dove non esistano guerra, corruzione, distruzione, violenza, disuguaglianza e molto altro, qual è il nostro scopo nel mondo? Come si cambiano davvero le cose?

Il futuro dell’umanità nella visione di Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek

Osservando l’immagine di copertina che ho scelto, forse vi sarete chiesti cosa centri Spock con l’argomento di questo articolo. La ragione è semplice: sotto molti punti di vista la società rappresentata nella saga di Star Trek è una società perfetta a cui l’uomo è giunto dopo ulteriori errori e a seguito di una terza guerra mondiale.

Ce lo raccontano molti appassionati della serie. Tra tutti ho scelto la descrizione riportata nell’articolo Star Trek non è solo fantascienza, è filosofia:

[…] Il Pianeta Terra di Star Trek è un pianeta meraviglioso, le guerre sono un lontano ricordo, le malattie più comuni sono state debellate. La società, anche se ordinata per gradi, sembra tendere a quello che è il vero concetto di anarchia, ovvero una libera associazione di individui. Tutti lavorano con un obiettivo comune, approfondire la conoscenza umana. Superare i confini conosciuti esplorando l’ignoto. Senza distinzioni di sesso, religione e razza. Questa società ha abbandonato il passato fatto di violenza, cerca la pace. Famosissimo il saluto del comandante Spock: Lunga vita e prosperità.

Durante l’antichità esploravamo nuove terre al fine di trovare luoghi da depredare, in questo futuro invece si esplora per accrescere la propria cultura […]“.

Nel 1991 la rivista Humanist pubblicò un’intervista esclusiva al creatore di Star Trek e umanista Gene Roddenberry. In occasione del cinquantesimo anniversario del debutto della serie originale (8 settembre 1966) la medesima rivista ha pubblicato alcuni estratti di quell’intervista.

Riporto di seguito alcune affermazioni molto interessanti rilasciate da Roddenberry in quella occasione.

[…] I’ve been sure from the first that the job of Star Trek was to use drama and adventure as a way of portraying humanity in its various guises and beliefs. The result was that Star Trek—in the original series but even more powerfully in the second series—is an expression of my own beliefs using my characters to act out human problems and equations.

[…] A statement my grandmother made to me many years ago [was]: “Keep pure, keep your head up, keep listening, and something will come along that you can do.” She told me that one of the tricks of life was to keep pure. By that she meant keep true to your own beliefs. There are always opportunities. I would hate to think that, if I hadn’t done Star Trek, I wouldn’t have found something else that means just as much to me.

[…] Perhaps I received too good an education in the 1930s school I went to, because I knew what proportion of people and races the world population consisted of. I had been in the Air Force and had traveled to foreign countries. Obviously, these people handled themselves mentally as well as anyone else. I guess I owe a great part of this to my parents. They never taught me that one race or color was at all superior. I remember in school seeking out Chinese students and Mexican students simply because the idea of different cultures fascinated me. So, having not been taught that there is a pecking order in people, a superiority of race or culture, it was natural that my writing went that way.

[…] I find that I’m growing and hope I will continue in that process. Not being so sure of everything and having an open curiosity is also important. I think I have, for example, a political philosophy now, but I have no guarantee that it won’t change or, more correctly, evolve further. I don’t think it is going to change markedly, but I am capable of changing as I learn more about the world and myself. Once I was very difficult to deal with. In my early years, I had set up the things a person must do to be a “proper person.” That became a problem for my later years. I have discovered that we’re not all proper people and that we’re all very capable of error. […]“.

Parafrasando e traducendo queste citazioni, cerco di riassumere di seguito il pensiero di Roddenberry.

Il dramma e l’avventura hanno rappresentato modalità efficaci per ritrarre l’umanità nelle sue varie forme. Il risultato è stato Star Trek.

Sua nonna si raccomandava: “Continua a essere puro, tieni la testa alta, continua ad ascoltare, e arriverà qualcosa di bello anche per te”. Con l’insegnamento di mantenersi puro, la nonna di Roddenberry intendeva suggerirgli di rimanere fedele alle proprie convinzioni.

I suoi genitori non gli hanno mai insegnato che una razza o un colore fossero superiori. A scuola cercava di interagire con studenti cinesi e messicani perché l’idea di culture diverse lo affascinava. Non essendogli stato insegnato un ordine gerarchico nelle persone, una superiorità di razza o cultura, è stato naturale che la sua scrittura andasse proprio in quella direzione. 

Il dubbio ha caratterizzato il pensiero e la filosofia di Roddenberry. Egli credeva di poter cambiare man mano che avesse imparato di più sul mondo e su se stesso, con la consapevolezza costante che non si può essere perfetti e che siamo nati per sbagliare.

Credo che quella di Roddenberry sia un’eredità importante. Non solo perché ci dona speranza in un futuro dell’umanità in cui l’evoluzione tecnologica ci porterà a vivere una rinascita del mondo ma anche per i messaggi di equità e rispetto che ci lascia.

Di certo la storia raccontata in Star Trek può essere considerata come un modello a cui tendere. O forse sarebbe più giusto chiamarla utopia?

A cosa servono gli esempi virtuosi?

Per tornare alla domanda che dà il titolo a questo articolo, in tutta onestà non credo che l’eccezione sovvertirà mai la regola. E allora la domanda, tutto sommato lecita, che porta molti ad agire senza dare ascolto a valori e senza coscienza del mondo è: a che servono gli esempi virtuosi?

A che serve comportarsi bene per davvero se il mondo non cambia?

A che serve non fare i furbi se attorno a noi c’è chi lo fa e ci calpesta?

A che serve costruire comunità virtuose dove quasi tutti si aiutano vicendevolmente se poi, appena usciti da quelle comunità, le persone si fanno lo sgambetto o, nei casi più estremi, si ammazzano?

Non ho la risposta a tutto. Nessuno ce l’ha. E queste sono domande che mi pongo da talmente tanto tempo che credo sia arrivato il tempo di trovare una risposta esaustiva.

Sia chiaro: io sono una fan degli esempi virtuosi ovviamente. Cerco nella mia vita di rispettare sempre il prossimo e le esigenze altrui, agendo per il bene e facendo leva su valori che si possono esplicare solo con le azioni e che dunque non starò qui a sciorinarvi per iscritto.

Ma vorrei chiedere la risposta (o le risposte) alle mie domande proprio a voi che adesso state leggendo.

A cosa servono gli esempi virtuosi? A cosa serve agire per il bene comune anche se, appena fuori dal confine dei nostri passi, il mondo gira al rovescio?

Grazie a chiunque vorrà commentare e contribuire a tener vivo questo argomento così importante!

Per farvi capire che sono consapevole che le opinioni che ci scambieremo qui non cambieranno il mondo, concludo l’articolo con una frase di Paulo Coelho che recita proprio: Il mondo cambia con il tuo esempio, non con la tua opinione.

Laura Ressa

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Immagine di copertina: dal sito Wallpaper Flare

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti