Michelangelo Fiore calcio Montessori

È cominciata parlando della differenza tra la marmellata industriale e quella biologica l’intervista a Michelangelo Fiore, allenatore di calcio giovanile che da oltre vent’anni organizza corsi di calcio per giovani dai 5 ai 12 anni. Nel 1997 Michelangelo ha conseguito l’abilitazione a Istruttore di Giovani Calciatori presso la FIGC Settore Giovanile e Scolastico Comitato Puglia e si è poi perfezionato presso il Centro Calcio Federale dell’Acquacetosa di Roma.
Oggi è allenatore del corso “Io gioco libero”, un percorso calcistico di ispirazione montessoriana che si tiene a Bari.

Michelangelo mi ha parlato della differenza tra il metodo Montessori e la scuola calcio tradizionale portandomi l’esempio della marmellata e dicendo che se ti abitui a mangiare quella industriale, non sarai in grado di apprezzare la genuinità di quella fatta in casa e ti chiederai quale davvero sia la migliore.

Marmellata a parte, perché hai deciso di allenare i bambini?

Facendo le dovute distinzioni, credo che sia scattato in me lo stesso meccanismo che a un certo punto è scattato in Maria Montessori: l’idea di provare a migliorare il mondo attraverso il rispetto dei bambini. Perché un bambino che cresce in modo equilibrato sarà un adulto equilibrato, capace di creare relazioni e dinamiche sociali sane. Un bambino che invece non è stato rispettato, che non è cresciuto in un clima sereno non sarà un adulto sereno e non potrà dare un apporto costruttivo alla società.
Da qui nasce la mia idea di dedicarmi ai bambini: lo sport è uno dei veicoli attraverso cui formarli.

Perché hai scelto proprio lo sport come strumento educativo?

Perché la dimensione sportiva è soprattutto una dimensione ludica. Il gioco del calcio può essere strumento di formazione non solo sotto il profilo psicofisico. La funzione sociale del calcio è quella di portare l’aggressività su binari socialmente accettabili: il sistema di regole permette infatti di contenere la spinta aggressiva del bambino perché lo sport sublima la lotta.

In questo percorso un maestro deve avere un approccio coerente, deve rispettare tutti e accettare i bambini per quello che sono. Ciò consente di creare nel gruppo un clima sereno che permette ai bambini di cogliere e riconoscere le capacità degli altri.
L’adulto in questo processo non deve stilare classifiche, non deve decidere quale bambino è titolare e quale non lo è. E alla fine accade che il bambino con più qualità le mette al servizio dei suoi compagni di gioco perché è appagato dal fatto che gli altri riconoscono il suo valore.
Questo è il senso dello sport.


Che significato ha per te il metodo Montessori in una società che esalta spesso la figura del vincente?

Per risponderti cito Maria Montessori: “Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo si educa per la competizione e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace.”
La competizione è figlia di una società che vede il mondo come frutto di relazioni di conflitto, di prevaricazione. Una società giusta parte invece dall’idea che tutti sono importanti e che nessuno va lasciato indietro. Ecco perché Montessori ha parlato di collaborazione e cooperazione: ognuno deve sentirsi libero di contribuire secondo le proprie capacità.
Il metodo Montessori aiuta i ragazzi a essere ricercatori, a studiare il mondo per fenomeni. Non uno studio mnemonico quindi, il bambino è protagonista e non è un contenitore da riempire di nozioni.
Nel modello montessoriano il bambino è libero di scegliere le attività da svolgere: gli si propongono dei materiali e quando il bambino decide come utilizzarli ed agisce di conseguenza, scaturisce l’acquisizione di una competenza. Quindi il bambino impara attraverso l’azione e non attraverso la spiegazione.
In questo approccio non ci sono né vincitori né vinti.

Nello specifico come applichi il metodo Montessori al calcio?

Il primo passo è l’osservazione. Bisogna chiedersi: cosa fa un bambino quando è libero di agire?

Montessori ha parlato di un parallelismo tra embrione biologico ed embrione spirituale. E cioè ha affermato che così come avviene uno sviluppo meccanicistico dell’embrione biologico che segue un proprio codice, allo stesso modo per ognuno di noi esiste uno spirito cosmico. Quando tutte le parti sono in armonia, il bambino dà il meglio di sé. La fiammella della vita non va mai spenta ma alimentata.

Per quanto riguarda il calcio, io parto proponendo ai ragazzi dei giochi.
Come sappiamo il gioco più naturale per i bambini è rincorrersi, secondo il modello ancestrale predatore-preda. Il gioco dell’acchiapparello calato nel contesto del calcio è tutto contenuto nella dinamica attaccante-difensore e questo è uno dei primi giochi che propongo. Le regole esistono, vanno rispettate e via via diventano sempre più strutturate e complesse seguendo lo sviluppo naturale dei bambini.

Nel metodo montessoriano non si fornisce loro già la soluzione, si favorisce anzi lo sviluppo dello spirito critico.
All’inizio propongo tre/quattro giochi, la volta successiva scelgono loro quali giochi fare. Se si interferisce nel processo di scelta, non si può osservare in maniera efficace perché in quel caso il bambino non è più libero di agire.
Se certe attività non vengono più scelte, vuol dire che i bambini hanno già trovato la soluzione e hanno acquisito la competenza oppure che si trovano di fronte a sfide troppo complesse per loro: a partire da lì, si introducono nuovi giochi.
Il punto focale è che non conta il risultato ma il processo attraverso cui quel risultato è stato raggiunto.

Poi arriva il momento della partita, che ripropone sul campo le dinamiche della vita e crea anche un po’ di frustrazione.

La dislocazione in campo avviene in maniera spontanea, ognuno segue la propria inclinazione dopo aver sperimentato tutti i ruoli.
Dopo la partita si conclude l’allenamento con un gioco piacevole: se tutte le attività fossero frustranti, se fosse l’adulto ad assegnare i ruoli, il bambino non si divertirebbe e si creerebbe un circolo vizioso. Se invece si diverte, il bambino torna la volta successiva.

La competizione è l’origine della guerra, perché in senso negativo significa selezione e invece i bambini vanno educati a una sana competizione. Se ci pensi in fondo lo sport allena alla vita, è una forma di ritualizzazione e l’esperienza della vita è anche accettazione: devo comprendere i miei limiti e accettarli.
Lo sport quindi porta alla coscienza di sé e di conseguenza all’accettazione. Ma viene manipolato e contaminato quando perde la sua funzione formativa e spinge alla non accettazione dei limiti.
La competizione non sana produce una società in cui non c’è rispetto dell’altro e gli uni prevaricano sugli altri.

I bambini che seguono i tuoi corsi instaurano rapporti di amicizia. Che riscontro hai dai loro genitori?

I bambini non sono competitor, sono compagni di gioco, vengono messi sullo stesso piano e di conseguenza anche i genitori sono amici e si frequentano anche al di fuori del corso. Si crea insomma una comunità di persone con gli stessi obiettivi: il benessere e il divertimento. Nessuno vince e nessuno perde, vince lo spirito del gioco.

Se perdi dunque non devi considerarti sconfitto perché se hai dato il meglio di te nel rispetto delle regole hai già vinto. Quando viene rasserenato su questo, il bambino non vive l’ansia da prestazione e sa di non dover dimostrare niente a nessuno.
Il rispetto degli altri passa dal rispetto di sé.

Ti sarà capitato di assistere a qualche litigio. Come intervieni?

Innanzitutto è necessario capire come il bambino vede il mondo e abituarlo a risolvere le questioni in maniera democratica.
Se, ad esempio, un bambino vuole una certa palla (ne faccio usare diverse) e mi dice che la vuole perché è sua, io gli chiedo “e perché è tua? L’hai comprata? Mi fai vedere lo scontrino?” – poi I bambini ridono di fronte a queste domande.
Il pallone è un bene comune da condividere, quindi questi dissidi vengono risolti con sasso-carta-forbice: chi è sorteggiato usa per primo la palla, chi non è sorteggiato la usa al turno successivo.
Anche se la situazione degenera con spintoni, il punto focale deve restare uno: educare il bambino alla pace. E come si fa?

La tecnica più utile è quella di sdrammatizzare. Durante i litigi uso spesso una progressione che alla fine li fa ridere tanto da fargli dimenticare la lite. Dico: “si inizia sempre così, tu dai un calcio e lui uno schiaffo, tu il pugno e poi lui ti da uno spintone, tu vai a prendere un coltello e lui prende la pistola, poi lui prende il fucile e tu il cannone” – e vado avanti così fino ad arrivare alla guerra nucleare e alla distruzione del pianeta. Mentre dico tutto questo, loro ridono.

E concludo dicendo: “Volete la fine del mondo? Facciamo prima a darci la mano e a fare la pace”.
Cerco di fare in modo che i bambini non tornino mai a casa turbati, si devono riconciliare con quelli con cui hanno litigato e il bambino dalla parte del giusto deve imparare anche ad accettare gli errori degli altri.
La cosa più importante nello sport è divertirsi, giocare.
Invece il calcio moderno al quale siamo abituati purtroppo è un business e svolge una funzione di controllo sociale, perché distrae l’attenzione delle masse dalle questioni importanti. Io cerco di insegnare ai bambini i valori che poi contano nella vita.

Tu che bambino eri e quali valori cerchi di trasmettere ai tuoi ragazzi?

Sono stato un bambino fortunato e molto amato dai miei genitori. Sono cresciuto in un cortile dove si giocava a calcio e c’era anche un cinema, motivo per cui sono diventato anche appassionato cinefilo. A sette anni ho visto Amarcord di Fellini. Del cinema mi piace la perdita della coscienza del tempo, mi perdevo nei film.

Oltre alla lealtà, voglio trasmettere loro l’importanza del rispetto di sé e dell’accettazione dei propri limiti perché il miglioramento della società parte dal miglioramento di sé.
Tiziano Terzani diceva che la vera rivoluzione è quella che avviene dentro di te.

Il calcio se ci pensi è come il jazz, difatti è anche improvvisazione: non puoi seguire uno spartito che è già tutto scritto.

Laura Ressa

L’intervista è stata rilasciata e scritta a ottobre 2021

Ed è stata inoltre pubblicata nello stesso periodo su EPolis Bari

L’immagine di copertina e le foto che corredano il testo sono state gentilmente fornite da Michelangelo Fiore

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti