Qualche tempo fa Vincenzo Moretti ha scritto queste righe nel suo articolo Toc Toc Italia:
“Caro Diario, sono anni che rimugino sul rapporto tra talentoorganizzazione e contesto (cultura) territoriale. Come sai ripensarci su non è mai facile, ma resto dell’idea che valga la pena provarci, magari chiamando a partecipare un po’ di belle cape”.

Rileggevo il suo articolo e un grillo parlante nella testa cercava di ricordarmi tutte le storie in cui Talento, Organizzazione e Contesto sono stati così vicini da toccarsi e poi incastrarsi senza lasciare spiragli scoperti. Storie di talenti, di persone che hanno scelto di realizzare un desiderio, che hanno imboccato una strada diversa o che semplicemente hanno percorso con costanza quella tracciata.
Perché, è vero, il concetto di talento è spesso rimaneggiato in modo improprio ma in realtà non è un dono che esula dall’ordinario: è una dote da coltivare, altrimenti resta una pianta a cui non diamo acqua e che, con il tempo, marcisce perché pensiamo che sia sempreverde.

Dopo aver discusso di questi argomenti con altre persone, ho messo in moto le parole ed ecco qui le riflessioni scaturite.


Caro Vincenzo,
qualche sera fa ero a tavola con le persone a me più care. Le parole che hai scritto nel tuo post mi riecheggiano da quando le ho lette e quella sera è accaduta una cosa che accade quando si vuole condividere la bellezza: ho mostrato alle persone che amo il tuo post e il video spiegando il significato dell’acronimo T.O.C.
Così tutti insieme ci siamo messi a riflettere sulle parole Talento, Organizzazione e Contesto scavando nella memoria per riportare a galla casi interessanti e concreti di persone che hanno messo in campo il proprio talento per dar vita a progetti, iniziative, ricerche scientifiche e che, un mattone dopo l’altro, hanno calato il proprio lavoro nel tessuto territoriale e sociale.
Ci sono venute in mente alcune persone che abbiamo incrociato nelle nostre vite. Ci siamo resi conto di quanta tenacia sia necessaria per provare a cambiare le cose cominciando a lavorare non soltanto su di sé ma soprattutto sul contesto e sui modi per migliorarlo e valorizzarlo.
Il talento parte da dentro, ma non attiene solo al dentro. Il talento è opportunità che bisogna andare a cercare là fuori: zaino in spalla e una mente aperta a creare connessioni vere, a conoscere gli altri, a dar vita a reti interconnesse e a mettere in atto quelle buone pratiche di cui tu parli sempre e che danno sapore, direzione e colore alle azioni. Ma cosa sono le buone pratiche? A cosa servono dunque e chi le ha messe in pratica? Dove le troviamo e a chi ci potremmo ispirare per fare lo stesso, per costruire le nostre buone prassi?
Per capirlo cerco sempre di pensare a chi ha agito mettendo a disposizione degli altri le proprie conoscenze e il proprio saper fare.
Un pensiero dopo l’altro, e ci siamo ritrovati a seguire la scia dei ricordi. Le storie di persone di talento si sono accavallate nella nostra mente e abbiamo cominciato a ricordare i volti incrociati.

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Photo by Jon Tyson on Unsplash

 

È tornata a galla la storia di un gruppo di ricercatori che ha fondato un’associazione finalizzata allo studio dei cetacei. L’obiettivo è tutelare il territorio e studiare l’impatto ambientale. Si tratta di persone che realizzano documentari e allestiscono spazi espositivi per mostre ed eventi sulla salvaguardia dell’ambiente marino.
In quel viaggio nei ricordi ecco che ci è tornata alla mente la notizia di un giovane assegnista di ricerca che è stato designato di recente come responsabile di un importante progetto d’esplorazione internazionale finanziato dal Committee for Research and Exploration of the National Geographic Society. I suoi obiettivi sono: studiare il territorio, comprendere meglio gli ambienti marini, fare la differenza in un campo, quello della ricerca scientifica, che spesso è scarsamente foraggiato e legato più ad interessi economici che alla spinta verso il miglioramento delle condizioni di vita di chi abita questa terra.

Poi c’è la storia del giovane laureato in biologia che, dopo l’università, è tornato nella sua città natale per dedicarsi alla produzione di birra artigianale e che poi dalla produzione è passato alla divulgazione trasmettendo la sua passione per la birra attraverso corsi di degustazione aperti al pubblico. Ascoltarlo mentre racconta le caratteristiche delle diverse birre artigianali è stato per me uno dei momenti più interessanti e accrescitivi degli ultimi mesi: nei suoi occhi non ho visto solo una grande passione ma anche una profonda conoscenza del tema di cui mi stava parlando.

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Photo by Tim Bennett on Unsplash

 

Dunque la teoria del fare bene le cose è un leitmotiv che torna prepotente: non puoi inventarti dall’oggi al domani. Se vuoi conoscere devi studiare, devi avere la mente ben aperta, devi provare, misurarti con l’errore e tentare di nuovo.
Più di ogni altra cosa devi avere a cuore il modo in cui agisci: lavorare bene diventa quindi uno stile di vita, un obiettivo da seguire in ogni ambito, un fiore da far sbocciare, la fermentazione di una buona birra, l’immersione in fondali di cui vogliamo scoprire i segreti.

Quel sabato sera passato nella culla dei ricordi ha fatto scorrere nei nostri occhi le immagini quasi come se quelle immagini appartenessero ad un lungo film. In quel film abbiamo anche ricordato la storia di due ragazzi che hanno realizzato un programma radiofonico per divulgare informazioni sul mondo della canapa, un mondo spesso sconosciuto e volutamente ignorato per anni. I due creatori del programma si sono rimboccati le maniche a costo zero: hanno reperito l’attrezzatura necessaria per registrare la trasmissione e creare un prodotto fatto in casa.
Ed effettivamente il gusto delle cose fatte in casa si percepiva nel soggiorno in cui registravano le loro puntate. Dalla cucina proveniva l’odore intenso delle torte appena sfornate e dal giardino si sprigionavano profumi di piante e fiori freschi. Il loro è stato un lavoro certosino di ricerca delle fonti: hanno intervistato associazioni che si occupano di diffondere la cultura della canapa e, in quel viaggio, anch’io ho avuto la fortuna di realizzare insieme a loro una puntata della trasmissione radiofonica. Mille prove, estrema cura dei dettagli, una visita presso un’azienda che produce canapa. Quell’esperienza per me è stata formativa e, pensandoci a posteriori, mi ha fatto comprendere quanto grande possa essere l’impegno profuso per una passione. Non lo credevo possibile, ma ora so cosa significa dedicare tempo ed energie per una propria creatura, senza risparmiarsi mai.
Il loro impegno derivava da un grande interesse verso l’argomento trattato ma anche dall’attenzione al territorio e alle infinite possibilità di una pianta che ha ricadute importanti anche su alcuni percorsi di cura delle malattie.

Poi ci sono le storie di persone vicinissime a me: storie di umiltà estrema e lavoro portato avanti con dignità e senza troppo rumore. Storie che spesso non vengono mai a galla perché, come diceva Gino Bartali, “certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. 

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Gino Bartali: foto tratta da Wikimedia

 

E allora mi chiedo: tutte queste bellissime realtà e i progetti di persone di cuore e talento sono destinate a perire o possono procedere verso una strada luminosa?
Il territorio cura i propri talenti? I contesti organizzativi hanno a cuore le competenze delle proprie persone? Sanno far fiorire nuove possibilità in loro? Sanno riconoscere i meriti? Sanno intravedere lo spiraglio di una luce che vuole esplodere ma che ha bisogno di aiuto per diventare una Supernova?

Ecco Vincenzo, ti ho raccontato alcune storie di persone con una talentuosa anima perché, secondo me, senza un’anima profonda non ci può essere talento e avere talento in territori in cui il lavoro è un lusso, richiede uno sforzo ancora più grande. Quindi il contesto conta se c’è un fondamento dietro ogni cosa che facciamo, ma il contesto può anche ostacolarci.

Un territorio o un’organizzazione possono diventare un ostacolo quando chi li abita non sa riconoscere le sue perle preziose e le spinge a sbocciare altrove.
E allora la domanda è: ci va di raccontare queste storie? Forse cominciare a raccontarle è un primo passo per farle splendere e illuminare gli altri attraverso la loro luce. Soprattutto dove ne abbiamo più bisogno.

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Photo by Miguel Salgado on Unsplash

 

Laura Ressa

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Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti