desideriamo risposte

Il significato del verbo RISPONDERE risiede nell’azione di “replicare, reagire; soddisfare; essere responsabili di fronte a qualcuno”.

Come riportato sul sito una parola al giorno, “questa parola cela una radice profonda che origina nelle solennità latine. Ed è l’ennesima evidenza del fatto che è il consueto a riservare le curiosità più sorprendenti.

Il latino ‘respondere’ nasce componendo il concetto di un ‘promettere di rimando’: una replica tutt’altro che generica. Non dobbiamo dimenticare che l’antica Roma – specie ai suoi albori – era governata da un diritto estremamente formale, che si articolava in riti e formule, di chiara matrice religiosa. Aveva i tratti tipici della magia: un gesto sbagliato, una parola non pronunciata e l’atto o il negozio non avevano validità. L’atto solenne del respondere ha però invitato da subito estensioni notevoli di significato, che gli hanno fatto prendere già in latino il versatile profilo che ha oggi il nostro ‘rispondere’ – dall’echeggiare al soddisfare.

La base di un replicare, di un reagire si sviluppa in una vasta tavolozza di usi concreti: si può rispondere con atti (rispondo con una pernacchia), con parole, in maniera docile e obbediente (l’auto risponde benissimo alla guida) o ribelle (il ragazzino si permette di rispondere). Si può rispondere soddisfacendo (l’albergo risponde alle aspettative), si può rispondere avendo una responsabilità (dell’integrità del bene risponde il custode). Dell’originaria promessa non resta nemmeno l’ombra: ma quel promettere di rimando precipita nell’immagine un’eco, da cui tutto il resto si dipana“.

Pensandoci, non sembra affatto un caso che il verbo “rispondere” significhi anche “soddisfare”. Tutti, in fondo, desideriamo risposte. A volte ne riceviamo di concrete, altre volte dobbiamo accontentarci di una non risposta e di una mancata reazione che, per sua natura, denota di per sé un atto comunicativo.

Come recita il primo assioma della comunicazione, definito da Paul Watzlawick e dagli studiosi della scuola di Palo Alto, “non si può non comunicare“.

Ciò vuol dire che “le parole, il silenzio o l’attività hanno valore di messaggio, influenzano gli altri e gli altri a loro volta rispondono a tale comunicazione con altra comunicazione“.

Quanto contano le risposte per tutti noi? Per voi non so, ma per me contano moltissimo.

Le risposte ci donano un senso di compiuto, l’idea di un cerchio che si chiude e poi si riapre per assumere nuove forme.

Oggi ho più di una ragione concreta per credere ancora nei sogni!

Qualche volta però smettiamo di crederci. Magari perché qualcuno ci dice di smettere, che i sogni si fanno prevalentemente da bambini e che da adulti non c’è da sperare o sognare ma solo da agire, sgomitare, sopravvivere, restare a galla, affondare chi sta accanto e vuol condividere lo spazio di sopravvivenza con noi. Così dice qualcuno.

Io non ho mai creduto che i sogni non servissero agli adulti e nemmeno che fossero prerogativa solo dei bambini. Senza non saprei come vivere e la mia vita sarebbe priva di stimoli che valga la pena coltivare, priva di passioni che tolgono il fiato e, qualche volta, la voglia di dormire.

Ciò che ancora mi dona entusiasmo è sapere che da qualche parte ci sarà un interlocutore che abbia voglia di ascoltarmi, soprattutto di trattarmi da persona. E anche quando dall’altra parte della cornetta, o del mondo o del web, l’altro umano non risponde o risponde con un no, la bellezza che resta è la speranza che abbiamo riposto in quel tentativo. 

Qualche anno fa raccontai sul blog il più bel rifiuto che abbia mai ricevuto fino ad ora. Un rifiuto (adesso preferisco chiamarlo “risposta”) che mi ha fatto sentire considerata come persona, come elemento nel mondo degno di una risposta anche da parte di un gigante come Gianni Minà. 

Nulla che fosse scontato per me. Neanche un No è mai stato scontato per me: in generale è la risposta a non essere qualcosa di scontato. Ho ricevuto e incassato tante non risposte, tanti silenzi. Ma in certi casi anche un No diventa un pretesto per riflettere, ascoltare, imparare a non insistere, aspettare, comprendere fino in fondo qual è il senso del mestiere del comunicatore e qual è il senso dell’impegno di chi cerca di comunicare, in qualsiasi forma, a un pubblico piccolo o grande.

Dipende dal no, quindi. Dipende dalla capacità dell’altro di porsi in empatia con chi ha di fronte o all’altro capo del telefono o del web. 

Non ho mai smesso di sognare, direi proprio di no. Soprattutto quando mi accingo a contattare persone di cui stimo le parole e l’esempio per proporre un’intervista sul mio blog. Non smetto di sognare perché il risultato non deve essere mai solo l’ottenimento di un sì ma principalmente il dialogo che si può instaurare con le persone. Non smetto, poi, perché quello che faccio ha davvero senso, per me e per gli altri, e perché quello che faccio non ha obiettivi di guadagno economico ma di semplice e puro guadagno dell’animo.

Una risposta è già un sì a prescindere, al di là del contenuto del messaggio e dell’esito finale per noi. La risposta è la conferma che ci hai creduto e il risultato – davvero – non è nel mio caso portarmi a casa un nuovo testo, pubblicare una nuova intervista o un nuovo blog post. 

Il risultato è quello che divento dopo lo scambio che ho costruito con attenzione e sforzo di profondità. È il salto che faccio quando leggo una risposta appena arrivata nella inbox, il tuffo al cuore quando ci provo, quando scelgo con estrema cura le parole da usare, quando rileggo. L’attimo di esitazione prima di inviare, la sorpresa quando poi scopro che quel qualcuno mi ha fornito la conferma che posso ancora credere in qualcosa. 

È tutto qui? Sì, forse è davvero tutto qui. Ma da qui parte un lungo viaggio, da fare insieme all’interlocutore oppure da soli o con qualcun altro che arriverà e accoglierà con una risposta diversa la nostra essenza. Qualcuno in grado di decifrare il nostro animo, farlo anche un po’ proprio e, infine, condividere il proprio mondo con noi.

Certi messaggi e certe e-mail sono per me come le lettere a Babbo Natale che da bambina posizionavo sull’albero affinché gli venissero recapitate tramite chissà quale magia. Non so come facevo a credere a una stupidaggine del genere, eppure lo facevo.

Mi aspettavo regali in cambio, certo. Ma una volta chiesi a Babbo Natale anche di rispondermi alla lettera e di mettere una crocetta a un questionario (forse si trattava solo una domanda). 

Alla fine vogliamo una cosa sola. Vogliamo risposte. E talvolta le risposte arrivano in modi inaspettati.

Qualche sera fa ho trovato sul pavimento di un ristorante una moneta da 5 centesimi. L’ho raccolta e l’ho portata a casa.

Non penso di credere alla sfiga che dicono si avveri se non raccogli la monetina da terra, ciononostante non sono mai stata una persona razionale e ho spesso creduto, certamente sbagliando, ai famosi “segni” (non parlo dei cerchi nel grano, sebbene io creda che esistano gli alieni e che siano migliori di noi). Con l’età che avanza forse la mia scrittura sta diventando un pericolo per i livelli di glicemia di chi legge. Ma penso che continuare genuinamente a credere che il bene esista sempre e resista al mondo, sia la scelta più sensata da fare.

Quel che va storto va raccontato, ma che senso avrebbe non credere più a nulla e a nessuno? Affossarsi e pensare che il mondo sia solo un luogo corrotto a che serve e a chi giova? Forse giova agli stessi che tentano di corromperlo in tutti i modi.

È stata una settimana strana per me quella appena trascorsa. Racconterò presto alcune novità che sto progettando per il blog, e non solo per quello. Questo strumento di scrittura, questo luogo non luogo, sta andando oltre quello che speravo in partenza: più passa il tempo più mi rendo conto che non si tratta solo di un diario e di un contesto di confronto con altre persone, ma di un viaggio ai confini di me. E straordinarie sono le persone che, grazie a questo posto, sto scoprendo e interpellando per farmi raccontare le loro storie e le loro visioni.

Sento che le ali di queste idee finalmente si stanno aprendo. Sento che potremo spiccare il volo insieme anche senza indossare il paracadute.

Voglio credere a tutto, nonostante quel tutto riveli spesso facce deludenti della stessa medaglia. Voglio pensare che tutto sia possibile (ok, forse non proprio tutto ma avete capito il senso). E anche quando l’impossibile non avviene, voglio continuare a cercarlo. Perché il bene e il bello, evidentemente, si nascondono proprio lì. Tra le pieghe dell’impossibile, a prescindere dal fatto che poi si tramuti in possibilità concreta.

Il secondo assioma della scuola di Palo Alto dice che “ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione“.

La differenza tra una risposta (così come la intendiamo comunemente) e un silenzio potrebbe risiedere nella componente relazionale. Cosa scriviamo e come lo scriviamo sono le due principali variabili in gioco. Va da sé che, per richiedere interviste ad esempio, non potrei mai applicare lo stesso trasporto linguistico con chiunque e dunque anche la comunicazione risente di chi siamo, di come stiamo in quel momento, dello scatto che il nostro cervello ha quando ci riconosciamo in qualcuno.

Avevano ragione gli studiosi di Palo Alto. E ho ragione di pensare che tutti noi vogliamo risposte. Che vogliamo riconoscerci nel mondo, che quando ci riconosciamo nel mondo vediamo nuovi spiragli di luce e nuove speranze. Ma conta molto, in tutto ciò, anche in cosa vogliamo riconoscerci. Ed è qui che si gioca la definizione di chi siamo realmente. Perché siamo nel mondo insieme agli altri, nel bene e nel male.

E la scelta finale si disputa proprio tra queste due forze opposte: talmente opposte da essere entrambe essenziali per farci capire quale sia per ciascuno di noi la strada maestra.


Quella appena trascorsa è stata una settimana che non dimenticherò. Il motivo è che sono riuscita a prendere contatti con una persona straordinaria di cui non svelo per il momento l’identità. Una persona di cui, un giorno, vi svelerò il nome, a tempo debito e quando il nostro progetto sarà pronto per nascere e vedere la luce. Soprattutto quando il progetto sarà pronto per essere accolto da tutti voi e, lo spero, in qualche modo capace e forte abbastanza per cambiare in meglio la vostra vita, per portarvi a una riflessione profonda.

Spesso mi piace legare le mie emozioni più profonde a certe canzoni, a musica e parole che si fondono per dare forma a qualcosa che diventi di ciascuno e che per ciascuno sia diverso.

A questa settimana e alla persona straordinaria di cui presto vi racconterò, vorrei dedicare tra le altre una canzone intitolata “Alzo le mani” perché racconta l’incapacità di esprimere con la musica (nel mio caso con le parole) lo stupore e la magia della vita. Stupore e magia che solo la vita, appunto, nel suo essere può raccontare con i propri suoni naturali.

Per me in questa settimana il suono più bello è stato il trillo di posta in arrivo della mia casella e-mail. Difficile raccontare tutto questo, molte parole resteranno chiuse a chiave proprio lì in quella casella. Ma oggi voglio salutarle con questa poesia.

Il rumore della pioggia nel pomeriggio
Le cicale a Luglio in un campeggio
Il suono del traghetto che entra in porto
La frenata prima del botto
La sirena dell’ambulanza in avvicinamento
Quella che si sente in guerra guardando in alto
L’urlo della folla in uno stadio
Il rumore della vita

Io non suonerò mai così
Posso giocare, intrattenere, far tornare il buon umore o lacrimare
Ma non suonerò mai così
Non è solo cosa diversa, è una battaglia persa
Alzo le mani


Il telefono che squilla quando l’aspetti
Le dita di mio padre sulla sua Olivetti
Il cannone del Gianicolo di mezzogiorno
La serratura al tuo ritorno
La campanella che suona il tram quando riparte
Quella che in un attimo svuota la classe
Il respiro di un bambino lieve
Il silenzio della neve

Io non suonerò mai così
Posso giocare, intrattenere, far tornare il buon umore o lacrimare
Ma non suonerò mai così
Non è solo cosa diversa, è una battaglia persa
Alzo le mani


E poi capita che un suono sbatte addosso come un vento di cristallo
Che si aggrappa a una follia prigionero dello stallo come un mare
E come l’albero d’autunno lascia foglie sull’asfalto ad ammucchiarsi contro i muri
Chi si arrende senza sonno, senza storia, senza volte e quella sfilza di respiri

Io non suonerò mai così
Posso giocare, intrattenere, far tornare il buon umore o lacrimare
Ma non suonerò mai così
Non è solo cosa diversa, è una battaglia persa
Alzo le mani

(brano di Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzé)

Laura Ressa

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti