
Una chiacchierata sui temi della salute mentale e su: cura, guarigione, dignità e umanità del percorso che affrontano operatori, pazienti e famiglie. Questi sono stati i temi messi sul tavolo insieme al professor Peppe Dell’Acqua il 23 giugno alle ore 18.30 durante la diretta streaming sui canali Frasivolanti.
Ecco di seguito alcune tappe salienti del percorso professionale che ha attraversato il professor Dell’Acqua nella sua lunga carriera.
Psichiatra, iniziò a lavorare nel 1971 con Franco Basaglia. Dalla fine degli anni ’70 e per i successivi venti anni contribuì alla progettazione, sperimentazione e gestione dei primi centri di salute mentale territoriali aperti 24 ore. Nel 1973 condivise con Giuliano Scabia e Vittorio Basaglia la singolare esperienza del laboratorio dal quale uscì Marco Cavallo, il cavallo azzurro simbolo della liberazione e dei riconquistati diritti dei “matti”.
Ha diretto per più di 17 anni il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. Ha svolto e organizzato consulenze scientifiche in Italia, in Europa e nelle Americhe. Ha seguito l’aspetto della comunicazione e della formazione, sia degli operatori che delle famiglie di persone con disturbo mentale. Si è occupato in particolare della formazione e del sostegno dei familiari di persone con disturbo mentale.
Tra i promotori del Forum Salute Mentale, ha insegnato psichiatria sociale presso la Facoltà di Psicologia di Trieste. Ha pubblicato “Fuori come va?” (2003 Editori Riuniti e 2010 Feltrinelli), “Non ho l’arma che uccide il leone” (1980 EL Trieste e 2007 Stampa Alternativa) e con Roberto Mezzina “Il folle gesto” (1988 Edizioni Sapere 2000). Consulente scientifico della fiction RAI “C’era una volta la città dei matti”, è Direttore della Collana 180 – Archivio critico della salute mentale, Edizioni alpha beta.
Per il suo impegno nel campo della deistituzionalizzazione ha ricevuto il «Premio Nonino 2014».
Per me è stato un onore poter intervistare Peppe Dell’Acqua. Durante la diretta mi ha detto di non chiamarlo professore, ma io ero alquanto emozionata (lo vedrete nel video). E mi sono lasciata prendere da quella emozione che ci ha condotti piano piano a dialogare su temi cruciali per la nostra società.
Vi lascio alla visione e all’ascolto dell’intervista e più giù vi aspetto per qualche considerazione finale.
Video dell’intervista (link)
Podcast dell’intervista (Spreaker)
Non ci sarebbe molto altro da aggiungere a ciò che potete ascoltare in questa intervista. Anzi, da un certo punto di vista c’è poco da aggiungere ma molto invece da poter dire ancora.
Con il professor Peppe Dell’Acqua si potrebbe stare ore a parlare, lasciandosi soprattutto trasportare dall’ascolto delle sue parole: così vivide, così attente, così curiose, ancora piene di speranza verso il futuro, desiderose di adoperarsi per chi verrà e mai arrese.
Durante l’intervista Peppe Dell’Acqua mi ha corretto: non bisogna parlare di “pazienti” ma di “persone”. Troppo spesso chi attraversa un disagio mentale viene etichettato come un oggetto privo di nome, viene descritto a partire dal nome del disturbo da cui è affetto. Così facendo si perde la dimensione umana della cura, che non può essere solo un approccio standard da applicare all’occorrenza per tutti allo stesso modo ma deve mettere in primo piano la persona che affronta la malattia. Le persone dunque non possono essere etichettate a partire dalla malattia che le affligge. Questi individui sono prima di tutto le loro storie, la loro vita, i loro affetti e le loro passioni. Tutto questo non può, non deve ridursi a una diagnosi e ad un’anamnesi.
Sorridendo, durante la diretta ho detto che a volte la parola “paziente” sembra quasi voler indicare la pazienza che queste persone devono avere nel momento in cui si affacciano ai percorsi di cura. Il professor Dell’Acqua ha sorriso insieme a me di questa interpretazione bizzarra del termine, confermando che ci vuole tanta pazienza quando si affronta un disagio mentale perché la società non ascolta e non vuole comprendere. A volte anche il medico non ascolta, limitandosi a prescrivere e a descrivere i parametri di quello che viene chiamato paziente.
I pazienti dunque non sono pazienti e neanche “utenti”: sono persone. Chiamarli con nomi diversi dai loro nomi reali serve solo a porre una certa distanza tra noi e loro, tra i cosiddetti normali e i cosiddetti rotti. Serve, in definitiva, al medico per non lasciarsi trascinare dalla storia della persona affetta dal male. Per curare può sembrare utile, secondo alcuni approcci, la pratica del distacco. Peppe Dell’Acqua pensa che l’approccio medico debba risuonare, oltre che nella cura tout court, anche nella “narrazione”.
Mi ha colpito molto sentir parlare uno psichiatra di narrazione. Al professor Dell’Acqua piace ascoltare le storie degli altri, delle persone con cui stabilisce un dialogo. Lo ha fatto anche con me chiedendomi qualcosa in più sulla mia vita, su che lavoro faccia e dove viva (lo aveva già capito dal mio accento barese). Quello che caratterizza gli umani è proprio il dialogo, la possibilità di scoprire e incuriosirsi alle vite degli altri. Tutto questo, beninteso, non per mera voglia di sapere o per cosiddetto gossip, ma per comprendere fino in fondo chi si ha di fronte.
La chiacchierata con Peppe Dell’Acqua mi lascia dentro un profondo senso di riconoscenza. In un mondo che gira vorticosamente e che ci vuole tutti amanti della frenesia, è bene riscoprire il valore della lentezza, dell’ascolto dell’altro.
Mia sorella Anna, condividendo sui social il video dell’intervista, ha scritto una didascalia molto bella che voglio condividere qui con voi.
Ha scritto “Questo dialogo in diretta è durato circa 50 minuti. Uno sproposito per la frenesia dei social! Ma smettete di scrollare un attimo e iniziate ad ascoltare… Potreste stupirvi interessati e conquistati dal racconto di un pezzo di storia e di scienza italiana e dalle riflessioni sull’intangibile che ci riguarda tutti e di cui si parla spesso in maniera superficiale.”
Da quanta frenesia siamo invasi ogni giorno? Quello che ci occorre più che mai è fermarci, imparare di nuovo ad assaporare, dialogare, ascoltare davvero.
Godetevi questa intervista, riascoltatela anche se volete. Per convincervi a farlo non vi dirò che dura poco, ma vi dico che vale la pena ascoltare.
Peppe Dell’Acqua e io ci siamo ripromessi di ritrovarci ancora per questo tipo di chiacchierata, magari con cadenza mensile. Spero che il progetto si possa attuare: mi impegnerò al massimo affinché avvenga e aspetto i vostri commenti e riflessioni anche su quello che vorreste ascoltare, sui temi che vorreste approfondire attorno al macrotema della salute mentale.
Laura Ressa
Copertina: immagine creata con Canva in occasione dell’intervista