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Il Forum Salute Mentale nasce nel 2003 da persone convinte della necessità di ridurre lo scollamento tra enunciati e pratiche nel campo delle politiche per la salute mentale.
Si tratta di una piazza in cui le persone che, per ragioni e a titolo diverso, frequentano i luoghi della salute mentale si incontrano e si confrontano. Tutti convinti che il mestiere della cura pretende una coraggiosa scelta di campo: cosa sempre più difficile da attuare, soprattutto per i più giovani, nella solitudine e nella frammentazione che caratterizza oggi la società.

Il Forum è anche un sito aperto a confronti, proposte, testimonianze: http://www .news-forumsalutementale.it/

Proprio dal crescente dibattito e confronto portato avanti in questi anni sul Forum è scaturita la necessità di ridare senso e dignità alla legge 180 che ha decretato la chiusura dei manicomi. Peppe Dell’Acqua e Carla Ferrari Aggradi si sono fatti portavoce della forte esigenza di restituire dignità ai servizi dedicati alle persone con disturbi psichiatrici, affinché tali servizi rappresentino una risposta concreta e reale alle esigenze dei pazienti.

Non è la prima volta per il disegno di legge «Disposizioni in materia di salute mentale», proposto dal Forum Salute Mentale, che è stato già presentato nel 2017 a firma di Nerina Dirindin e Luigi Manconi, e poi riproposto dall’onorevole Elena Carnevali e dalla senatrice Paola Boldrini.

Ora il ddl, per la terza volta, è stato ben accolto e depositato dagli onorevoli Debora Serracchiani e Filippo Sensi.

Come dichiarato dal Forum Salute Mentale: “Il disegno di legge intende conferire ulteriore efficacia ai principi della “legge Basaglia”, rilanciando l’attualità delle linee di fondo e valorizzandole nell’attuale contesto costituzionale, normativo e sociale. Non un’iniziativa legislativa di revisione. Nessuna delle disposizioni introdotte con questo disegno di legge modifica o integra il testo della l. 180/1978, fatta eccezione per la previsione di un’ulteriore garanzia sostanziale e processuale contro la disumana pratica della contenzione meccanica nei servizi psichiatrici.


Gli obiettivi sono dunque:

📌 rilanciare l’applicazione della l. 180/1978

📌 rafforzarne i contenuti di assistenza effettiva e universale sul territorio nazionale

📌 confermare la portata di definizioni e principi che non meritano di mutare ma di essere sviluppati ed estesi.

Come ricorda il Forum nella sintesi di presentazione del ddl:
Il diritto alla salute , il quale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità non è “assenza di malattia”, ma si definisce come stato “psicofisico di benessere ”.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, cui questa proposta di legge fa esplicito e reiterato richiamo, all’articolo 1 dichiara “che lo scopo della convenzione è promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità”.


Il diritto alla cura è coniugato nel contesto degli altri diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, recepita dall’Italia nel 2009. Tale importante documento ha confermato le anticipazioni della legge di riforma italiana del 1978, ampliandone la portata e declinandole a livello del singolo soggetto, cui vengono riconosciuti libertà fondamentali e la titolarità di ogni decisione sulla propria vita. Nel contrastare ogni forma di discriminazione legata a disabilità o a diagnosi, essa rimanda a un concetto di welfare d’inclusione e non solo di protezione.


L’Italia ha sottoscritto il dettato della Convenzione e dunque dovrebbe:

✅ mettere in campo azioni attente di vigilanza e promozione di dispositivi organizzativi

✅ realizzare campagne culturali

✅ impiegare risorse umane qualificate per affermare e rendere esigibili i diritti delle persone con disabilità

✅ sostenere le famiglie, troppo spesso abbandonate a se stesse

✅ rendere “visibili” i gruppi sociali a maggior rischio di discriminazione, esclusione e stigmatizzazione.


Esiste inoltre un problema grave da affrontare circa l’impiego delle risorse economiche destinate ai servizi di salute mentale. Come specifica il Forum nella sintesi del ddl:

Le “Strutture residenziali” sono presenti in tutte le Regioni. In alcune, poche, si conta di 1 posto letto ogni 10.000 abitanti in altre si arriva fino a 5 volte tanto. Quasi ovunque si consumano più della metà ( fino ai ¾) delle risorse regionali per la salute mentale. La tendenza a ricorrere al “posto letto residenziale” sembra in crescita inarrestabile e riduce irrimediabilmente la consistenza e la capacità di intervento dei servizi territoriali.
[…] Le ingenti risorse, passivamente dedicate alla “residenzialità”, sarebbero sufficienti per ripensare a forme diverse dell’abitare, dell’inserimento lavorativo, del vivere sociale. I progetti riabilitativi individuali, dove attivati, producono risultati tanto evidenti quanto inaspettati.


Il guasto maggiore nell’assetto dei servizi per la salute mentale è il ricorso illimitato, confuso e costosissimo a certe strutture. La conseguenza ancora peggiore è la delega totale della gestione, della cura, delle risorse al privato.

Il Forum specifica inoltre:

Le strutture residenziali hanno avuto in questi ultimi anni, in particolare dopo il 1998, a seguito della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, una notevole crescita numerica: dalla ricerca Progres residenze (Iss, 2001), i posti-residenza nelle Regioni risultavano essere circa 17.000. Da allora l’espansione si è rivelata inarrestabile.
Il numero, anche se non verificato, è comunque rilevantissimo. Oltre 20.000 persone (forse 30.000) che, a vario titolo, sono ospitate in strutture residenziali.

I tempi di permanenza, meglio si direbbe di ricovero se non di internamento, diventano sempre più consistenti. Vi sono persone, e non sono poche, che in queste strutture rimangono inerti da più di 30 anni. […] E, come isole lontane, queste strutture hanno perduto il contatto con la terra ferma, col servizio pubblico, col DSM, con una qualsivoglia razionale attenzione a un progetto articolato e condiviso. […]
In conseguenza dell’espansione residenziale sanitaria e delle scarse possibilità di dimissione dei pazienti accolti, le ASL finiscono per attuare deroghe di fatto alle normative nazionali e regionali sui tempi di ricovero, sulle dotazioni strutturali e di personale; anche i controlli in questo ambito sono, in alcuni casi, divenuti superficiali o addirittura inesistenti.
Molte strutture rischiano di diventare contenitori di emarginazione sociale della disabilità psichica, contrariamente alle finalità dichiarate, con conseguenti fenomeni di “wandering” istituzionale tra luoghi di ricovero.
L’offerta di ricoveri in cliniche private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, in alcune regioni al limite della scandalo, accessibili anche senza coordinamento da parte dei CSM, completano il quadro della residenzialità e rappresentano l’espansione di modelli di assistenza ospedaliera al di fuori della cultura territoriale dei progetti “obiettivo” e dei “piani” per la salute mentale “ post legge 180′′.

E del resto anche i Centri di salute mentale (CSM), presenti mediamente in numero adeguato in tutto il territorio nazionale (1 ogni 80-100mila abitanti), non sono equamente distribuiti e sono aperti per fasce orarie ridotte. Ad eccezione di alcune realtà regionali, i Csm sono aperti per 8- 12 ore al giorno per 5 giorni alla settimana. Gli interventi di gestione della crisi, di presa in carico individuale, di sostegno alle famiglie e all’abitare, di integrazione sociale, sono insufficienti o del tutto assenti. Frequente è la riduzione alle sole visite ambulatoriali per prevalenti prescrizioni farmacologiche.


“Come conseguenza” – annota la Commissione parlamentare d’inchiesta – “le tipologie delle prestazioni risultano poco o per nulla declinate sulle necessità della persona, a partire dalla disponibilità all’ascolto, mancano il sostegno integrato con il sociale presso il domicilio, la risposta all’emergenza e alla crisi nelle 24h, la mediazione familiare in situazione di allarme”.


Altro punto nodale a cui il disegno di legge vuole tentare di porre rimedio è il ricorso frequente e reiterato al Trattamento sanitario obbligatorio (TSO), chiaro sintomo di:

🔴 carenza di offerta

🔴 incapacità di intercettare il disagio mentale sul nascere

🔴 assenza di azioni di tipo preventivo dell’acuzie.


Considerazioni analoghe vanno fatte per quel che riguarda la totale e definitiva chiusura degli Opg.

La sintesi del disegno di legge su questo si pronuncia così:

Il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) rappresenta, drammaticamente, l’unico servizio all’interno del territorio che risponde nell’arco delle 24 ore. Il suo buon funzionamento è strettamente dipendente dalla coerente organizzazione dipartimentale e da un investimento rilevante sul Centro di salute mentale ben radicato nella comunità. La fragilità del servizio territoriale, e spesso la totale mancanza di coordinamento e di comunicazione producono sovraffollamento, pratiche di contenzione, porte chiuse. […]
Gli Spdc rimangono per la maggior parte (8 su 10) luoghi chiusi non solo per i ricoverati, ma anche, dall’esterno all’interno, per le associazioni di familiari e utenti, per il volontariato formalizzato e informale, a scapito di un “sapere esperienziale” prezioso che viene perduto. E’ largamente diffusa la pratica della contenzione meccanica. Il trattamento è ovunque prevalentemente farmacologico. In ragione del pregiudizio della pericolosità, spesso le porte sono blindate, appaiono i video citofoni, le telecamere chiamate a proteggere una preoccupante inaccessibilità e a produrre un forte impatto stigmatizzante.
[…] La qualità della vita delle persone in trattamento è spesso misera e in nome della sicurezza è fatto divieto ai pazienti di possedere gli effetti personali usati comunemente nella vita quotidiana.

Il Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e la sua regolamentazione rappresentano il punto di massimo equilibrio tra il bisogno di cura e la mancanza di consenso, fino al limite estremo del rifiuto ostinato. Nella pratica presenta distorsioni e disattenzioni tali da renderlo strumento di repressione e di mortificazione anziché veicolo di cura.

Le modalità di esecuzione del TSO variano in base all’appartenenza territoriale. Anche le statistiche rivelano differenze molto significative sul ricorso a questa pratica (da un tasso di 6/100.000 per anno in alcune regioni a 30/100.000 in altre) mostrando le drammatiche differenze delle politiche territoriali.


Fa molto male, nel 2023, apprendere quanto poco sia stato recepito di una legge del 1978 che voleva migliorare le condizioni dei pazienti psichiatrici.

Fa male capire che al centro delle agende politiche c’è stato, finora, altro e che la dignità della cura sia stata solo un mix di proclami e belle parole mai divenute fatti concreti.

Adesso il primo passo da fare, per tutti, è quello della consapevolezza. Sapere cosa non funziona è cruciale per tutti perché la dignità umana e i servizi di cura sono fondamentali in una società che si professa “civile”. Conoscere dunque e informarsi sono i primi fondamentali doveri di ciascuno di noi, a prescindere dal vissuto personale, a prescindere dal fatto che si sia o meno affrontato direttamente o indirettamente un disagio psichico.

Tutti hanno il dovere di informarsi!

Partendo da questo assunto, possiamo ben capire che dopo l’informazione, in quanto membri di una società civile, ci spetta il compito di divulgare. Se lavoriamo nei settori coinvolti, ci spetta poi un passo in più: agire. Ma non dobbiamo credere che l’azione sia solo un fatto limitato al mondo professionale a cui apparteniamo. Banalmente, agire dovrebbe starci a cuore perché potremmo trovarci anche noi domani ad aver bisogno di servizi di assistenza psichiatrica. Potremmo avere un parente o un familiare che ne hanno bisogno, e allora ci scontreremmo con una realtà che ha ben poco a che fare con la cura e molto con pratiche burocratiche rigide per nulla attente alla dignità delle famiglie e dei pazienti.

In una società civile abbiamo tutti il dovere morale e personale di impegnarci con ogni mezzo affinché qualcosa cambi in meglio.

La salute è il primo interesse che dovremmo avere, non solo egoisticamente per garantirci la nostra e quella dei nostri cari ma anche perché nelle nostre comunità garantire la salute delle persone vuol dire garantire uguali diritti per tutti e le stesse possibilità di essere partecipi attivamente nella vita pubblica.

Oggi parlare di uguaglianza fa gola a chi vive di proclami che trovano poi scarsa attuazione nel quotidiano. E invece il balzo che dobbiamo fare, tutti quanti, riguarda la presa in carico reali dei drammi della società, delle disuguaglianze diffuse, della mala sanità. E dobbiamo prendercene carico anche in termini divulgativi, non per sostenere questo o quel partito politico ma per fare il bene delle nostre comunità, davvero.

Su questo fronte voglio impegnarmi in prima linea, ne ho parlato in varie occasioni con lo stesso Peppe Dell’Acqua, professionista che ben conosciamo e persona estremamente aperta al dialogo e al confronto anche sui nuovi linguaggi di comunicazione. Lui e le persone coinvolte nel Forum Salute Mentale stanno facendo una grande lavoro: dobbiamo unirci tutti a questa onda di impegno.

Spero che questo impegno coinvolga anche te che stai leggendo, spero che ti appassioni. Spero che tu voglia contribuire, fosse anche con un commento, un parere, un confronto o una condivisione sull’argomento.

La diffusione parte da piccole gocce che diventano un mare di possibilità. Tutto quello che potrai fare, quindi, sarà un dono prezioso.

In chiusura mi preme dire che negli ultimi tempi, con rammarico, vedo che si fa molta comunicazione su temi di “tendenza”, ovvero su quei temi di cosiddetta uguaglianza sociale che rientrano, però, in circoli viziosi di puro interesse economico. Si parla di certificazioni di parità, di certificazioni di sostenibilità, di libri sul linguaggio inclusivo che riempiono solo le tasche di chi li scrive e divulga. Nascono giornali e riviste sui temi più trendy, nascono persino nuove professioni che dovrebbero, in apparenza, farsi portavoce degli ultimi. Tutto questo rientra, come dicevo, in un puro business di interessi economici che ben poco valore umano porta nelle reti sociali, che non migliora la qualità dei servizi offerti a chi soffre e versa in condizioni di disagio di ogni tipo.

Bisogna dunque uscire definitivamente dalle logiche di business e di autopromozione, dialogare con le persone, capire i loro bisogni reali, farsi portavoce anche del proprio disagio, ascoltare chi ha qualcosa di senso da raccontare e non limitarsi a un racconto che segue solo il gregge e si fa vessillo dei trend topic del momento.

Per approfondire:

Dare “gambe” alla 180, sarà la volta buona?

Un ddl-manifesto per ricominciare

Salute mentale, un disegno di legge per i diritti dei pazienti

Salute mentale, la proposta Pd: “Recuperare lo spirito della legge Basaglia, va applicata pienamente”

Conferenza stampa per illustrare il Ddl “Disposizioni in materia di salute mentale”

Laura Ressa

Copertina: locandina creata con Canva

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti